CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 ottobre 2022, n. 30904

Tributi – IRPEF – Previdenza integrativa aziendale – Prestazioni erogate in forma capitale – Tassazione

Rilevato che

1. Contro il rifiuto tacito relativo all’ istanza di rimborso per l’Irpef relativo all’anno 2000 (per € 15.825,46) opposto dall’Agenzia delle Entrate di Torino ricorreva, dinanzi alla C.t.p. di Torino, R.B., dirigente E., sostenendone l’illegittimità, in quanto sull’imponibile a lui liquidato come previdenza integrativa aziendale non era stata applicata l’aliquota del 12,50% ma l’aliquota maggiore di € 24,23% determinata in sede di liquidazione del trattamento di fine rapporto.

2. La C.t.p., ove si costituiva anche l’ufficio finanziario, rigettava il ricorso sul rilievo che la disciplina previgente al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 aveva previsto l’applicazione dell’aliquota del 12,5% solo sui capitali corrisposti in dipendenza dei contratti di assicurazione sulla vita ex art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482 e non sulla capitalizzazione di pensione integrativa aziendale.

3. Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r del Piemonte ove si costituiva anche l’Ufficio; tale Commissione, con sentenza n. 18/6/07 respingeva l’appello.

4. Il contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della C.t.r. sulla base di due motivi afferenti, in sintesi, la natura previdenziale e non assicurativa del fondo di previdenza integrativa aziendale (PIA) in seguito alle modifiche apportate dall’accordo del 16 aprile 1986.

5. La Corte di Cassazione, con ordinanza del 28 dicembre 2011, n. 29486 accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava alla C.t.r. del Piemonte per un nuovo esame della controversia richiamando il principio statuito dalla sentenza del 22 giugno 2011, n. 13642 secondo la quale «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette a seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli articoli 16, comma I lett. a) del TUIR solo per quanto riguarda la sorte capitale corrispondente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cosiddetto rendimento si applica la ritenuta del 12,50% prevista dall’art. 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, lett. a) e 17 del TUIR».

6. Il contribuente riassumeva il giudizio dinanzi la C.t.r. del Piemonte chiedendo il riconoscimento di un rimborso di € 15.825,46, alla luce della natura assicurativa della previdenza integrativa aziendale PIA convertita in FONDE.; si costituiva anche l’ufficio finanziario che instava per il rigetto del ricorso ritenendo fosse onere della parte provare che le somme per le quali pretendeva la tassazione ad aliquota agevolata rappresentassero effettivamente la liquidazione del rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato.

7. Con la sentenza n. 1231/38/15, depositata in data 17 novembre 2015 (e successivamente corretta con ordinanza n. 397/16), la C.t.r. determinava in € 10.515,00 la somma spettante al contribuente R.B. come rimborso IRPEF.

8. Avverso la sentenza della C.t.r. del Piemonte, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Si è costituito in giudizio R.B. con controricorso e svolgendo due motivi di ricorso incidentale, di cui uno subordinato. La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 12 ottobre 2022 per la quale il contribuente ha depositato memoria.

Considerato che

1.Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» l’Agenzia lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha deciso sulla base di una consulenza contabile d’ufficio così violando il disposto di cui all’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992 che vieta al giudice tributario di sopperire alle carenze probatorie dell’ufficio finanziario.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., per mancata attuazione del principio di diritto sancito nella sentenza di cassazione con rinvio e comunque di quanto ivi statuito» l’Agenzia lamenta mancata attuazione del principio di diritto sancito nella sentenza di cassazione con rinvio.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, dell’art. 1 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1 del d. P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16, 17 e 42 (ora 45) della legge 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.» l’Agenzia lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., piuttosto che decidere sulla base del principio di diritto indicato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 30321 del 2011 – e, quindi, applicando il criterio secondo cui, per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la ritenuta del 12,50% si applica solo alle somme provenienti dalla liquidazione del cosiddetto rendimento imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato – ha disposto consulenza tecnica d’ufficio ed ha, poi, aderito ad una delle due tesi proposte in consulenza ossia a quella cd. sistematica discostatesi completamente dai criteri della sentenza delle Sezioni unite.

2. Con il primo motivo di ricorso incidentale, così rubricato: «Circa l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 384 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.» il contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., ha omesso l’esame del fatto storico principale costituito dalla sussistenza e dalla misura del rendimento imputabile al dirigente E. ad essa espressamente demandato dalla sentenza di Cassazione con rinvio.

2.2 Con il secondo motivo di ricorso incidentale (subordinato), così rubricato: «Illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. del fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nella quantificazione del rendimento» il contribuente lamenta la stessa circostanza ma sotto il profilo precipuo del vizio di motivazione.

3. Va premesso che si controverte in relazione ad una richiesta di rimborso avanzata da un dirigente E. in ordine alle trattenute sulle prestazioni erogate dalla medesima E. in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, in aggiunta al trattamento di fine rapporto. In particolare, cessato il rapporto di lavoro, il contribuente riceveva dall’E. la somma corrispondente alla liquidazione della propria rendita sulla quale era operata una ritenuta con applicazione della stessa aliquota applicata in sede di liquidazione dell’indennità di fine rapporto. La tesi del contribuente è che il prelievo fosse illegittimo perché la prestazione avrebbe dovuto essere assoggettata a ritenuta nella misura del 12,50%, in particolare in ipotesi di erogazione a fronte di polizze di assicurazione sulla vita, stipulata in epoca antecedente al 28/04/1993, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 13, comma 9, d.lgs 21 aprile 1993, n. 124, 1, comma 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482.

3. Tanto premesso, il secondo motivo è fondato.

Invero, in applicazione del principio processuale della «ragione più liquida», desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ. (Cass. 09/01/2019, n.____).

Come sopra evidenziato, il principio di diritto affermato dall’ordinanza con la quale questa Corte ha disposto il rinvio era lo stesso di quello affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.13642 del 2011 (ovvero applicazione della ritenuta del 12,50% alle somme rinvenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, per tale dovendosi intendere il rendimento netto imputabile alla gestione del Fondo sul mercato del capitale accantonato) e va rilevato che sulla res controversa, sempre in continuità di quel principio, questa Corte con numerose pronunce (Cass. 10/06/2016, n. 11941, Cass. 18/10/2017, n. 24525, Cass. 15/06/2018, n. 16116) ha chiarito che le somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento sono le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario, ma non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate; nel caso in esame, non sussistendo contestazione sulla circostanza che la prestazione oggetto di controversia sia stata interamente erogata dal Fondo PIA, la sentenza impugnata, nel riconoscere la sussistenza dei rendimenti sulla base della mera certificazione E. dalla quale, per come riportata dalla stessa sentenza impugnata, non si rinvengono somme investite sul mercato, ha malamente applicato il principio cui doveva uniformarsi. Inoltre, con riferimento al basilare concetto di “rendimento”, le Sezioni Unite precisano in motivazione che: a) si tratta del rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato. Tale rilievo, riguardante specificamente la previdenza complementare aziendale per i dirigenti dell’E. (disciplinata dagli accordi sindacali del 1986 e del 1998), chiarisce e integra la generale portata regolatrice del principio di diritto; b) che il prospetto E. certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale: sul punto Cass. 21/10/2021, n. 29479 ricorda, con estrema chiarezza, che la PIA non ha potuto né, tantomeno, avrebbe potuto svolgere – quale Fondo interno con accantonamento a bilancio E. – un’attività di investimento sui mercati finanziari. Pertanto, nessun rendimento derivante dall’investimento, da parte del Fondo PIA, sui mercati finanziari è ipotizzabile. La configurabilità di un rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato risulta incompatibile con il tenore dell’accordo E./Fndai del 16 aprile 1986, in quanto l’importo della prestazione spettante al dirigente era predeterminato in anticipo sulla base del rapporto tra l’ultima retribuzione e la pensione. Il rendimento altro non è che la mera differenza da quanto affluito nel Fondo PIA e quanto erogato in concreto ai dirigenti (Cass., 03/05/2022, n.13838); c) che simili conclusioni, del resto, sono asseverate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo di E., relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 13/11/2019, n. 29396; Cass. 23/11/2020, n. 26543).

4. Dall’accoglimento di questo motivo discende l’assorbimento del primo e del terzo motivo di ricorso nonché il rigetto del ricorso incidentale.

5. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, vanno dichiarati assorbiti i motivi primo e terzo, va rigettato il ricorso incidentale, cassata la sentenza impugnata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va decisa nel merito la controversia con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

6. La particolarità della fattispecie che ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, e di successive pronunce chiarificatrici, induce a compensare integralmente tra le parti le spese dei giudizi di merito e di quello di legittimità.

Le spese di questo giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il primo ed il terzo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.

Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e del primo giudizio di legittimità.

Condanna il contribuente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità che liquida in € 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.