CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 marzo 2022, n. 9959
Tributi – IRPEF – Previdenza integrativa aziendale – Liquidazione prestazione in forma capitale – Tassazione
Rilevato che
1. A.M., ex dirigente E. S.p.a. (“E.”), iscritto al Fondo pensione denominato “PIA” (previdenza integrativa aziendale), presentò all’Amministrazione finanziaria tre istanze di rimborso IRPEF della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta E. e quanto dovuto per effetto dell’applicazione dell’aliquota del 12,50%, prevista per i redditi di capitale dall’art. 42, comma 4, t.u.i.r., e dell’art. 6, della legge n. 482 del 1985. Formatosi il silenzio rifiuto, il contribuente impugnò il diniego e chiese la condanna dell’erario al rimborso di euro 138.317,93, oltre interessi. La Commissione tributaria provinciale di Torino accolse il ricorso, con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Piemonte, che disattendeva l’appello dell’ufficio finanziario;
2. la vertenza giunse all’esame di questa Corte che, con sentenza n. 24923/2012, accolto il ricorso principale dell’Agenzia e respinto quello incidentale del contribuente, cassò con rinvio la pronuncia d’appello e prescrisse al giudice del merito (vedi pag. 5 della decisione della Corte) «[di accertare] se e quando, sulla base delle norme contrattuali applicabili, i capitali rinvenienti dalla contribuzione siano stati effettivamente rinvestiti sul mercato finanziario, quali siano stati i risultati dell’investimento ed in qual modo sia stata determinata l’assegnazione delle eventuali plusvalenze alle singole posizioni individuali, e, sulla scorta di tale indagine, quantifichi la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcoli l’imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l’ammontare del suo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l’aliquota del 12,5%, secondo la disciplina dettata dall’articolo 6 l. 482/85; fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1 lett. a) e 17 del TUIR.»;
3. il contribuente ha riassunto il giudizio avanti alla C.T.R., quantificando, sulla base di una perizia di stima allegata agli atti, in euro 194.820,17 la somma da sottoporre all’aliquota del 12,5%, con conseguente individuazione del suo credito verso il fisco nella misura di euro 42.373,39 (oltre interessi di legge);
4. la Commissione regionale, nel contraddittorio dell’Agenzia, in aderenza alla tesi della parte privata, sul presupposto che si trattava di un “vecchio iscritto” all’apposito Fondo prima del 1993, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha (ri)determinato in euro 42.379,39 la somma spettante al contribuente;
5. l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di due motivi; gli eredi del contribuente resistono con controricorso, e depositano una memoria;
Considerato che
1. con due distinti motivi di ricorso [«1. Violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., per mancata attuazione del principio sancito nella sentenza di cassazione con rinvio e comunque di quanto ivi statuito.
2. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 124 del 1993, art. 13, del d.l. n. 669 del 1996, art. 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16, 17 e 42 (ora 45), della l. n. 482 del 1985, art. 6 e dell’art. 2697, c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha trascurato le norme di legge che regolano la tassazione in misura ridotta ed anche il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio della Cassazione, secondo cui l’aliquota del 12,5% poteva trovare applicazione limitatamente agli importi corrisposti dal Fondo derivanti dall’impiego sul mercato, ad opera del Fondo medesimo, del capitale accantonato. Con la precisazione che, a tal fine, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello (che non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni sull’onere della prova, nella specie spettante al contribuente, il quale aveva presentato una domanda di rimborso dell’imposta versata in eccedenza su un asserito reddito di capitale), non costituiva idoneo mezzo di prova la perizia di stima, prodotta dal contribuente, nella quale il rendimento del capitale era calcolato sulla base della differenza tra il totale erogato al dipendente e il capitale accumulato negli anni, secondo quanto risultante da una certificazione dell’E. (e non del Fondo PIA) che, in tal modo, si limitava ad attestare la rendita del proprio capitale. L’ufficio finanziario soggiunge che, in realtà, nella fattispecie concreta non esisteva alcun rendimento nel senso indicato dalla sentenza di invio.
E questo perché il Fondo PIA non era un Fondo a capitalizzazione e la prestazione corrisposta al dirigente non era costituita da un capitale e da un “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accumulato. Ed infatti, per l’art. 4 dell’accordo E./Fndai (Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali) del 16/04/1986, la prestazione, nella forma della rendita, non era commisurata ai contributi versati dal dirigente, ma era stabilita in una determinata percentuale [pari al 70%] della differenza intercorrente tra la retribuzione percepita dal dirigente all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro e il valore annuo massimo della pensione erogata dal sistema previdenziale obbligatorio;
2. i due motivi, da esaminare insieme per connessione, sono fondati;
2.1. per chiarire i termini della questione di diritto in esame occorre innanzitutto ricordare la fondamentale pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13645, conforme a Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13642), secondo cui: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 della l. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n. 917 cit.»;
2.2. con specifico riferimento al Fondo PIA (e all’analogo strumento finanziario FondE., cui sono stati trasferiti i fondi di PIA a partire dal 1998, anch’esso menzionato dalla sentenza della C.T.R.), questa Corte, anche di recente (ex multis: Cass. 6/03/2019, n. 6514, da ultimo consolidata, tra le altre, da Cass. 13/05/2021, n. 12860; Cass. 19/07/2021, n. 20617; Cass. 21/10/2021, n. 29479), ha puntualizzato come la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6, della legge n. 482 del 1985, sulle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento, possa applicarsi solo agli importi derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, dovendo invece escludersi tale più favorevole tassazione rispetto alle somme versate dal contribuente ad un Fondo PIA che non abbia mai investito sul mercato finanziario (Cass. 15/06/2018, n. 15853; 19/06/2018, n. 16116; 29/12/2011, n. 29583; 12/01/2012, n. 280; 04/04/2012, n. 5376; 25/05/2012, n. 8320; 27/03/2013, nn. 7724-7728; 22/05/2013, nn. 12491-12496; 02/10/2013, n. 22492; 09/10/2013, n. 22950; 12/02/2014, n. 3132; 12/02/2014, n. 3136; 19/03/2014, n. 6380; 09/04/2014, n. 8310; 04/02/2015, n. 1977; 22/05/2015, n. 10604; 13/01/2017, n. 720;). Costituiscono, quindi, il “rendimento netto”, come ha ulteriormente chiarito questa Corte, le «somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate» (Cass. nn. 10285/2017 e 24525/2017);
2.3. nella prospettiva che qui rileva, pertanto, si deve escludere che possa considerarsi quale “rendimento” ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio E., poiché tale fattore costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato (Cass. n. 5436/2018; conf.: Cass. n. 4941/18). Si è anche chiarito (come ampiamente argomentato in motivazione dalla citata Cass. 19/06/2018, n. 16116) quale sia l’ambito dell’indagine fattuale pertinente al principio di diritto affermato dalle Sezioni unite (n. 13642/11), che impone la necessità di una «ricostruzione dell’impiego delle somme sul mercato finanziario», con apposita verifica se vi sia stato «l’impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato», e quale sia stato «il rendimento di gestione conseguito in relazione a tale impiego, giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50%». Inoltre, spetta al contribuente, che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso, quale attore in senso sostanziale, provare il fondamento della sua pretesa; l’interessato, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio «al conteggio proveniente dall’E., prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (Cass. 21/12/2016, n. 720; 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 13281);
2.4. così tratteggiato il perimetro della causa, venendo adesso all’esame congiunto dei due motivi di ricorso, è evidente che la sentenza impugnata non si è attenuta ai princìpi di diritto sopra enunciati e neppure alle prescrizioni della sentenza di rinvio (Cass. n. 24923/2013), poiché, in sostanza, senza spiegarne la ragione e limitandosi a prendere atto del contenuto della perizia prodotta dal contribuente (cfr. pag. 7 della sentenza), ha ritenuto provato tout court il diritto al rimborso, mentre questo aspetto cruciale avrebbe dovuto essere oggetto di puntuale dimostrazione (come richiesto dalla sentenza di rinvio), nel giudizio di merito, con onere della prova a carico del contribuente. In altri termini, l’errore commesso dalla C.T.R. sta nell’avere dato per non contestato, in aderenza alla tesi dell’attore sostanziale, che esistesse un rendimento del capitale accantonato nel Fondo PIA, senza verificare, da un lato, l’an dell’investimento, ossia l’effettivo impiego sul mercato (finanziario o dei valori mobiliari) del capitale accantonato (nel Fondo PIA); dall’altro, ove appurata una simile destinazione del capitale, il quantum del rendimento, visto che soltanto tale importo era assoggettabile alla tassazione agevolata del 12,50%;
2.5. con riferimento al tema della prova, del tutto negletto dal giudice d’appello, merita ricordare l’ormai consolidato indirizzo sezionale, del quale in parte si è dato conto in precedenza (vedi supra p. 2.3.), che esclude che la prova del rendimento del capitale accantonato possa consistere nella certificazione E. della redditività, sul mercato, dell’intero patrimonio netto dell’impresa, poiché tale evidenza esprime una mera operazione matematica e non è il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti sul libero mercato. In particolare, nel solco della giurisprudenza di questa Corte, si rileva che dalla certificazione E. e dalla relazione attuariale, cui fa riferimento il controricorso (cfr. pagg. 37 e seguenti), non è possibile trarre elementi probatori idonei a dimostrare che il capitale accantonato del contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito sul mercato di riferimento (finanziario, mobiliare, o altro mercato);
2.6. questa Corte, infatti, ha ripetutamente precisato che né la certificazione E. né la consulenza di parte assolvono all’onere probatorio, spettante al contribuente che agisca per vedere riconosciuto il suo diritto al rimborso, poiché non recano alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce “rendimento”, sì da chiarire se si tratti effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass. 04/05/2021, nn. 11611, 11612; Cass. 28/04/2021, n. 11171; Cass. 20617/2021, cit., in connessione con Cass. 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 1328; 03/04/2019, n. 9246). Il prospetto E. certifica esclusivamente la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale. Quello indicato nella certificazione E., giova tenerlo a mente, è il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’E..
D’altronde, la relazione attuariale, prodotta nei giudizi di merito e più volte menzionata nel controricorso (a prescindere dal rilievo che essa non è mezzo di prova, ma mera allegazione difensiva), nulla dice circa l’incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato. In relazione a questo aspetto della lite, è decisiva la sottolineatura di Cass. 21/10/2021, n. 29479, che ricorda come, con estrema chiarezza «nella nota del 28 aprile 2014 dell’E. si afferma che la PIA “non ha potuto né, tantomeno, avrebbe potuto svolgere – quale Fondo interno con accantonamento a bilancio E. – un’attività di investimento sui mercati finanziari. Pertanto, nessun rendimento derivante dall’investimento, da parte del Fondo PIA, sui mercati finanziari è ipotizzabile”. La configurabilità di un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato risulta incompatibile con il tenore letterale dell’accordo E./Fndai del 16 aprile 1986, in quanto l’importo della prestazione spettante al dirigente era predeterminato in anticipo sulla base del rapporto tra l’ultima retribuzione e la pensione. Il rendimento altro non è che la mera differenza da quanto affluito nel Fondo PIA e quanto erogato in concreto ai dirigenti». Simili conclusioni, del resto, sono asseverate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo di E., relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. 19/06/2018, n. 16116; Cass. 13/11/2019, n. 29396; Cass. 23/11/2020, n. 26543);
3. in conclusione, accolti entrambi i motivi di ricorso, la sentenza è cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, poiché la vicenda fiscale è stata sviscerata anche sul piano dell’apprezzamento del materiale probatorio da parte dei giudici di merito, e in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo;
4. in ragione dell’epoca di formazione dell’indirizzo giurisprudenziale di riferimento, debbono essere compensate, tra le parti, le spese dei gradi di merito e quelle del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.
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