CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2018, n. 17307
Società a capitale misto – Sgravi contributivi – Riconoscimento – Requisito della regolarità contributiva – Cause ostative – Accertamento
Rilevato che
con sentenza depositata il giorno 1/2/2016, la Corte d’appello di Genova, dopo averne disposto la riunione, ha rigettato gli appelli proposti da I. M. S.p.A. e da I. S.p.A. contro due diverse sentenze del Tribunale di Genova che avevano rigettato le opposizioni proposte dalle società contro avvisi di addebito aventi ad oggetto crediti Inps per contribuzione dovuta a titolo di CIGS, CIGO e contribuzione di mobilità;
la Corte, a fondamento del decisum, e per quanto qui ancora di interesse, ha argomentato sulla base della natura della società, che in quanto a capitale misto, non può usufruire delle esenzioni contributive previste per le imprese industriali degli enti pubblici;
ha rigettato il motivo di gravame della I. M. avente ad oggetto il diritto al riconoscimento degli sgravi contributivi, in difetto del necessario requisito della regolarità contributiva, insussistente nella specie quantomeno con riguardo al periodo luglio-settembre 2012, ritenendo altresì irrilevante la tardiva regolarizzazione nel pagamento dei contributi effettuata dalla società;
inoltre, ha rigettato il motivo di gravame avente ad oggetto la misura delle sanzioni civili, ritenendo insussistenti i presupposti per usufruire della loro riduzione (in particolare l’irrilevanza dello stato soggettivo del debitore sulla contribuzione, a nulla valendo che l’omissione contributiva fosse stata indotta da interpretazioni giurisprudenziali o amministrative più favorevoli allo stesso debitore); analogamente, ha rigettato il motivo di gravame di riduzione delle sanzioni ai sensi dell’art. 116, comma 10, pur essendo intervenuto il pagamento dei contributi, in difetto del presupposto dei contrasti giurisprudenziali o amministrativi sulla materia; quanto infine alla riduzione richiesta ai sensi del comma 15, lett. a), la Corte l’ha esclusa, trattandosi di un provvedimento di competenza dei consigli di amministrazione degli enti impositori, i quali agiscono sulla base di direttive impartite in sede ministeriale;
infine ha accolto l’appello incidentale dell’Inps e ha posto le spese del giudizio di primo grado della controversia con la I. S.p.A. interamente a carico della società ricorrente;
contro la sentenza la I. M. S.p.A. propone ricorso per cassazione, sostenuto da quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti; Equitalia centro s.p.a. e la I. s.p.a. non hanno svolto attività difensiva;
la proposta del relatore ex art. 380 bis cod.proc.civ. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
Considerato che
1. – con il primo motivo la società ricorrente, denunciando la violazione di un complesso di norme (art. 3, d.lgs. CPS 12/8/1947, n. 869; art. 2 1. n. 1115/1968; art. 1 L. 464/1972; art. 1 L. 164/1975; art. 16 L. n. 223/1991; art. 2093 cod.civ., 22 L. n. 142/1990) censura la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO: rileva che, in base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35, gli enti locali, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni, sono tenuti ad avvalersi di soggetti costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati; sostengono che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comporta che le società medesime debbano essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.
1.1. – Deduce altresì che tale interpretazione è confortata dal d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, il quale dispone che la disciplina delle integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi si applichi anche alle “imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica” (art. 10, comma 1°, lett. 1); assume la parte ricorrente che la norma dell’art. 10 avrebbe disposto solo per l’avvenire, nel senso che solo a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015) può dirsi sorto l’obbligo contributivo per la cassa integrazione ordinaria per le imprese industriali degli enti pubblici il cui capitale non sia interamente di proprietà pubblica.
2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al contributo di mobilità e richiama le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo, considerata la natura della contribuzione, al cui pagamento sono tenute soltanto le aziende obbligate al versamento della contribuzione CIGO- CIGS.
3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, comma 10°, 13°, 15°, lett. a) L. n. 388/2000, nonché gli artt. 1175, 1227, 1375 cod.civ. e 1 L. n. 241/1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod.proc.civ., e rileva che sussistevano i presupposti per una riduzione delle sanzioni o delle somme oggettive, versandosi in una situazione di oggettiva incertezza connessa a contrastanti e sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali, sicché anche sotto il profilo della correttezza e buona fede sussisteva il suo diritto alla non applicazione o alla riduzione delle sanzioni civili e degli interessi.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1175, L. 27 dicembre 2006, n. 296, nonché dell’art. 8 D.M. 24 ottobre 2007, in relazione all’art.360, n. 3 c.p.c. e censura la decisione per avere negato il diritto allo sgravio contributivo, pur essendo stata la relativa domanda accolta dall’Inps, non sussistendo ragioni ostative al rilascio del DURC (documento unico di regolarità contributiva), ed avendo provveduto al pagamento successivamente alla notifica dell’avviso di addebito.
5. I primi due motivi sono manifestamente infondati.
E pacifico che la I. M. S.p.A. è una società partecipata per una quota da soggetti pubblici. Si tratta pertanto di società a capitale misto.
Trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza ormai costante di questa Corte secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (cfr., ex aliis, Cass. 20 aprile 2016, n.7981; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816; da ultimo, Cass. 4 aprile 2017, n. 8704).
La forma societaria di diritto privato è, per l’ente locale, la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso in ragione della duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato (Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27513; Cass. 15 gennaio 2016, n. 600, in cui si è esplicitato che nelle società a capitale misto l’ente pubblico è soggetto alle evenienze della dialettica societaria, nell’esercizio del potere decisionale e nell’organizzazione aziendale, senza l’autonomia propria dei casi in cui detenga la totalità del pacchetto azionario).
Le argomentazioni della ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.
L’orientamento non può dirsi contraddetto dal d. lgs. 14 settembre 2015 n. 148 recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali che aveva abrogato l’art. 3 d. l.C.P.S. 12.8.1947 n. 869.
Già in precedenti decisioni, questa Corte (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre) ha sostenuto che dall’art. 10, su citato, e dall’art. 20, d.lgs. cit. non può affatto desumersi che, in precedenza, le società a capitale misto non fossero soggette alla contribuzione per cassa integrazione ordinaria e straordinaria, avendo la norma natura ricognitiva e di sistemazione della materia, non già un valore innovativo; a ciò deve aggiungersi che con la L. 29 dicembre 2015, n. 208, il legislatore, intervenendo proprio sull’art. 46, ha previsto che l’abrogazione (già disposta alla lett. b) non opera con riguardo all’art. 3 del d.lgs. del C.p.S. n. 869/1947, con ciò ripristinando l’art. 3 (in tal senso Cass. n. 8704/2017).
Ne discende che dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi elementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e mobilità delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico (da ultimo, Cass. 15088/2017).
6. Il terzo motivo è infondato. La corte di merito ha escluso la riduzione delle sanzioni sulla base del disposto del comma 10 e 15 dell’art. 116 comma L. cit., in assenza del presupposto rappresentato da contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo;
6.1. la decisione in tema di sanzioni è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale non è consentita nessuna indagine sull’elemento soggettivo del debitore della contribuzione al fine dell’esclusione o della riduzione di tale obbligo, neanche ove l’omissione sia indotta da interpretazioni giurisprudenziali o amministrative più favorevoli allo stesso debitore (v., anche Cass. 5088 del 1995, e Cass. n. 16093 del 2014; da ultimo, Cass. n. 15088/2017, cit.)
7. Anche l’ultimo motivo è infondato. Il giudice di appello ha escluso, pur in presenza di autorizzazione dell’INPS, il diritto allo sgravio preteso dalle società, per mancanza del relativo presupposto rappresentato dalla situazione di regolarità contributiva, come richiesto dall’art. 1 comma 1175 L. n. 296 del 2007, ritenendo irrilevante la pregressa ammissione al beneficio disposta in via amministrativa dall’INPS; le censure articolate, incentrate sull’insussistenza, in presenza di accertamento non definitivo della situazione di irregolarità contributiva, di cause ostative allo sgravio, appaiono superate dal rigetto dei motivi di ricorso delle due società, che ha determinato il definitivo accertamento dell’obbligo contributivo, pacificamente non adempiuto dalle società e quindi il venir meno del presupposto alla base delle doglianze articolate (Cass. n. 15088/2017, cit.), considerato altresì il carattere premiale della normativa sugli sgravi contributivi e non rilevando in proposito il riconoscimento in sede amministrativa del Documento Unico di Regolarità Contributiva, attese le peculiari funzioni e finalità cui lo stesso si riconnette; Cass. 23 giugno 2017, n. 15818; in tal senso Cass. 12 maggio 2016, n. 9816).
Né muta tale convincimento il pagamento tardivo effettuato dalla società dopo la notifica dell’avviso di pagamento, in considerazione del rilievo, già svolto da questa Corte, della necessità — ai fini in questione – di un provvedimento di competenza del consiglio di amministrazione dell’ente impositore, sulla base di direttive impartite in sede ministeriale (Cass. n. 15897 del 26/06/2017; da ultimo, Cass. 27/272018, n. 4561).
8. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento in favore dell’Inps controricorrente, anche nella qualità di procuratore speciale della esse SCCI delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Nulla sulle spese nei confronti delle parti rimaste intimate.
Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali (valore della causa € 320.000 circa ), e € 200 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese generali e altri accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti delle parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, qua ter del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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