CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2021, n. 31012
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Operazioni pubblicitarie ritenute oggettivamente inesistenti – Prova contraria – Distribuzione di volantini e gadgets in fiere nazionali – Gadget con logo dell’azienda
Rilevato
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Lombardia, di rigetto dell’appello proposto avverso una sentenza CTP Milano, che aveva respinto il suo ricorso avverso due avvisi di accertamento emesso nei confronti della s.r.l. “D.A.S.” per maggior IRES, IRAP ed IVA anni 2011 e 2012; la CTR, riunite le impugnazioni proposte avverso gli avvisi di accertamento anni 2011 e 2012, ha confermato la sentenza di primo grado ed ha ritenuto che le operazioni pubblicitarie, fatturate alla società intimata dalla s.r.l. “P.N.” e consistite nella distribuzione di volantini e gadgets in diverse fiere nazionali, ritenute dall’ufficio oggettivamente inesistenti, fossero state in realtà effettivamente eseguite da quest’ultima società;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi:
che, con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 112 e 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., 111 comma 7 della Costituzione, essendo la sentenza affetta da motivazione solo apparente e per relationem, in ordine alla confutazione dei motivi di appello proposti da essa Agenzia, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., in quanto la CTR aveva rigettato il suo appello con motivazione oggettivamente perplessa e meramente apparente, che non dava conto né dell’iter logico, né delle prove e degli elementi che il collegio aveva esaminato; la CTR, nel confermare l’accertamento della CTP, aveva enunciato affermazioni in punto di fatto senza analizzarle e senza metterle in logica concatenazione, si che le sue conclusioni non erano sostenute da qualsivoglia ragionamento; nella decisione impugnata non era stata effettuata alcuna disamina del suo atto di impugnazione e delle contrapposte ragioni in esso enunciate;
che, con il secondo motivo di ricorso. l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., 654 cod. proc. pen., 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata era in contrasto con i principi in materia di onere della prova, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti; invero, in ipotesi di fatture ritenute dall’ufficio riferite ad operazioni oggettivamente inesistenti, l’amministrazione finanziaria ben poteva ritenere, anche sulla base di presunzioni, che le operazioni commerciali oggetto di fatture non fossero state poste in essere; ed essa Agenzia aveva indicato i numerosi elementi anche indiziari, sui quali aveva fondato la ritenuta fittizietà delle operazioni fatturate; a tal punto sarebbe stato onere del contribuente dimostrare la fonte legittima delle detrazioni o del costo altrimenti non deducibile, non essendo sufficienti all’uopo allegare la regolarità formale delle scritture e le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili; la CTR aveva erroneamente invertito l’onus probandi, ponendo tali prove a carico di essa Agenzia; in particolare, il proscioglimento in sede penale, in ordine ai medesimi fatti oggetto della controversia in esame, non vincolava il giudice tributario, attesa l’autonomia fra il giudizio penale e tributario e la diversa rilevanza che in essi potevano avere gli elementi presuntivi esposti; che la società intimata si è costituita con controricorso;
che il primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è infondato:
che, invero, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate ricorrente, la CTR ha confermato le conclusioni cui era giunta la CTP con plurime e fondate argomentazioni, svolgendo autonome e specifiche valutazioni circa la sussistenza delle operazioni pubblicitarie svolte dalla s.r.l. “P.S.” in favore della società intimata e circa la veridicità delle fatture emesse dalla prima in favore della seconda;
che le plurime valutazioni svolte dalla CTR, di cui si parlerà esaminando il secondo motivo di ricorso, sono indubbiamente idonee ad evidenziare il ragionamento valutativo svolto dalla medesima per confermare quanto sostenuto dal giudice di primo grado, si da far ritenere che la motivazione della sentenza impugnata sia priva delle gravi anomalie denunziate, collocandosi essa ben al di sopra del c.d. “minimo costituzionale”, inteso come contenuto minimo che deve avere la motivazione di una sentenza (cfr. Cass. n. 16599 del 2016; Cass. n. 33487 del 2018);
che è altresì infondato il secondo motivo di ricorso, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione dei principi in materia di onere della prova, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti;
che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8919 del 2020; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 18118 del 2016; Cass. n. 28683 del 2015; Cass. n. 6973 del 2015), le fatture costituiscono normalmente il titolo, in forza del quale il contribuente può detrarsi l’IVA e dedursi i costi in esse annotati; e spetta all’ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto; la relativa prova tuttavia può essere fornita anche in via indiziaria e presuntiva, in quanto la prova presuntiva non può essere collocata su di un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce pertanto una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 9108 del 2012); pertanto, l’ufficio, qualora ritenga, come nella specie in esame, che le fatture concernano operazioni oggettivamente inesistenti, siano cioè mere espressioni cartolari di operazioni commerciali mai poste in essere e contesti pertanto sia l’indebita detrazione dell’IVA, sia la deduzione dei relative costi, è tenuto a provare, anche sulla base di elementi meramente indiziari, che le operazioni fatturate non siano mai state effettuate; ed a tal punto sarà il contribuente tenuto a provare l’effettiva consistenza delle operazioni fatturate, prova che tuttavia non può consistere nella mera esibizione delle fatture, ovvero nella dimostrazione delle regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento utilizzati, potendo questi ultimi essere facilmente falsificati ed essendo normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reali operazioni che tali non sono; che, nella specie, la CTR ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi di diritto, in quanto non si è limitata a valorizzare circostanze meramente formali e cioè la regolarità formale delle scritture contabili prodotte dalla società intimata e dei mezzi di pagamento, ma ha altresì valorizzato la sussistenza di indizi, idonei a far ritenere che l’attività di sponsorizzazione, svolta dalla s.r.l. P.S.” in favore della società intimata, abbia avuto effettivamente luogo; ed anche se ha erroneamente attribuito l’onere di evidenziare detti indizi all’ufficio, mentre invece l’onere gravava sulla società intimata, ha pur sempre allegato una serie di elementi, dai quali ha ritenuto che le operazioni pubblicitarie svolte dalla citata s.r.l. “P.S.” abbiano effettivamente avuto luogo; che gli indizi valorizzati dalla CTR sono consistiti:
– nel fatto i gadgets con il marchio della società intimata erano stati effettivamente prodotti dalla s.r.l. “P.S.”, anche se in misura differente rispetto a quelle pattuite ed erano stati effettivamente introdotti in eventi fieristici dal proprio personale, anche se non in veste ufficiale e formale di operatori veri e propri, ma pur sempre introdotti per effettuare il servizio di pubblicità pattuito;
– nel fatto che la s.r.l. “P.S.” aveva consegnato ad ogni distinto cliente dei book fotografici ritraenti ragazze abbigliate con dettagli riferibili alle rispettive società committenti, ivi compresa la società intimata; e non era inverosimile che la società anzidetta pubblicizzasse più clienti per lo stesso evento fieristico, per eventi che si ripetevano con cadenza annuale; pertanto le analogie fra i book fotografici consegnati alla società intimata e quelli predisposti per altri clienti non costituivano prova presuntiva dell’inesistenza delle prestazioni pubblicitarie;
– nel fatto che nessuna prova era emersa circa la retrocessione, fuori dei canali bancari, del prezzo pagato dalla società intimata in tutto od in parte;
– nel fatto che il giudice penale avesse disposto il non luogo a procedere nei confronti del legale rappresentante della società intimata per le medesime fatture ritenute inesistenti nella presente sede tributarie con la formula “perché il fatto non sussiste”; invero, pur nel rispetto del principio del doppio binario, in forza del quale le valutazioni espresse in ambito penale non possono valere in sede tributaria, la formula assolutoria usata in sede penale costituiva un elemento di cui poteva tenersi conto, anche se a livello di mero indizio ed unitamente agli altri indizi sopra elencati, nel presente contenzioso tributario;
che, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate va respinto, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate e la condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in € 5.600,00, oltre agli accessori di legge;
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