CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2020, n. 18305
Inps – Cartella esattoriale – Notifica – Prescrizione quinquennale – Decorso del termine
Rilevato che
la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’estinzione dei crediti INPS oggetto di tre cartelle notificate ad A.S.;
a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha osservato come tra l’ultimo atto interruttivo, intervenuto dopo la notifica delle cartelle medesime (id est: la notifica di un’iscrizione ipotecaria), e l’intimazione di pagamento opposta fosse intermante decorso il termine quinquennale di prescrizione;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con due motivi;
l’INPS ha depositato procura speciale; è rimasto intimato A.S.;
è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Rilevato che
con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 76 e 77 del DPR nr. 602 del 1973 e degli artt. 2943, comma 1, e 2945, comma 2, cod.civ. per non avere la Corte di appello riconosciuto all’iscrizione ipotecaria, effettuata a carico del debitore, efficacia sospensiva del decorso del termine di prescrizione, quale atto preordinato e strumentale all’espropriazione immobiliare; il motivo è infondato;
ai sensi del combinato disposto degli artt. 2945, secondo comma, e 2943, comma primo, cod. civ., l’effetto tanto interruttivo quanto sospensivo della prescrizione è da ricollegare alla notificazione dell’atto con il quale «si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo»;
si è ritenuto che un tale effetto (id est: un effetto tanto interruttivo, quanto sospensivo della prescrizione) sia da ricollegare all’atto di pignoramento, poiché ad esso consegue l’introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui l’atto medesimo risulti notificato regolarmente al debitore (Cass. nr. 8219 del 2002; Cass. nr. 3741 del 2017 in motivazione ) non invece all’atto di precetto, idoneo a produrre (solo) un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo (Cass. nr. 19738 del 2014; Cass. nr. 7737 del 2007);
l’iscrizione ipotecaria prevista dall’art. 77 del d.P.R. 29 settembre 1973, nr. 602 non è atto con cui ha inizio («si inizia») il giudizio esecutivo;
Cass., sez.un., nr. 19667 del 2014 ha avuto modo di osservare come «a dispetto della “collocazione topografica” nel decreto di riferimento e dello stretto legame strumentale che lega iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 ed espropriazione» detta iscrizione non possa definirsi un «atto dell’esecuzione»; il fatto che, secondo la disciplina positiva, non necessariamente l’espropriazione debba seguire all’iscrizione ipotecaria, autorizza a ritenere che quest’ultima sia piuttosto «un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria»;
come avvertito da questa Corte, fin dalle pronunce più lontane nel tempo (ex multis, Cass. nr. 6517 del 1986; più di recente, invece, Cass. nr. 24306 del 2011), l’art. 2943 cit. nel prevedere l’efficacia interruttiva della prescrizione in relazione al compimento di atti giudiziali si riferisce soltanto ad atti processuali tipici e specificamente enumerati, quali l’atto introduttivo del giudizio ovvero la domanda proposta nel corso di un giudizio;
in coerenza con tali premesse, deve escludersi l’efficacia interruttiva permanente all’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del d.P.R. nr. 602 del 1973; alla medesima iscrizione può riconoscersi, piuttosto, l’idoneità a produrre effetti interruttivi istantanei qualora presenti i connotati dell’atto di costituzione in mora, a norma dell’art. 2943, comma 4, cod.civ., e cioè se integri una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore, secondo una valutazione che è oggetto di accertamento rimesso al giudice del merito;
con il secondo motivo di ricorso -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 2946 cod.civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha applicato il termine di prescrizione ordinario decennale ma piuttosto quello quinquennale, pur trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore;
le censure sono inammissibili in relazione all’art. 360 bis cod.proc.civ., poiché la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi nuovi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. nr. 7155 del 2017);
soccorre, in particolare, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. nr. 23397 del 2016), secondo il quale: «La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’ 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)»;
in linea con il richiamato principio, e con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che «In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla legge nr. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. »(Cass. nr. 31352 del 2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009);
allo stesso modo, non assume rilievo il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 ( art. 19, comma 4, e art. 20, comma 6) nella parte in cui è stabilito un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. nr. 23397 del 2016, Cass. nr. 31352 del 2018);
in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va complessivamente rigettato, non dovendosi invece provvedere in ordine alle spese, in assenza di attività difensiva anche da parte dell’INPS;
deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 -quater, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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