CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 agosto 2022, n. 24285
Pubblico impiego – Docente – Contratti a termine – Reiterazione abusiva – Immissione in ruolo – Risarcimento del danno – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Roma, adita dal Ministero dell’Università dell’Istruzione e della Ricerca, ha riformato la
sentenza del Tribunale di Viterbo che aveva accolto solo in parte le domande formulate da E. C. e, ritenuta la reiterazione abusiva dei contratti a termine intercorsi fra le parti, aveva condannato il Ministero al risarcimento del danno mentre aveva rigettato la domanda di conversione dei rapporti;
2. il giudice d’appello ha richiamato i principi di diritto enunciati da questa Corte con la sentenza n. 22552/2016 ed ha evidenziato che l’appellata aveva stipulato dopo il 10 luglio 2001 cinque contratti di supplenza, di cui il primo su organico di fatto ed i successivi su organico di diritto;
3. ha ritenuto illegittima solo la supplenza annuale conferita per l’anno scolastico 2004/2005, in quanto il rapporto a termine era stato reiterato dopo il superamento del limite massimo di 36 mesi, ma ha escluso che potesse trovare applicazione nella fattispecie il principio di diritto enunciato da Cass. S.U. n. 5072/2016 perché la C. era stata immessa in ruolo a partire dall’anno scolastico 2006/2007 e non aveva allegato e provato danni diversi ed ulteriori rispetto a quelli già riparati dall’intervenuta stabilizzazione;
4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso E. C. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali ha opposto difese il MIUR con tempestivo controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrenta denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod. proc. civ., «violazione e/o falsa applicazione del considerando n. 16 dell’ art. 2 della Direttiva del Consiglio 1999/70/CE nonché del preambolo (commi 2, 3, 4, dei punti 6, 7, 10 delle considerazioni generali, della clausola 1 lett. B ), della clausola 2 punto 1, della clausola 5 punto 1) dell’Accordo Quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, recepito e allegato alla Direttiva Comunitaria 1999/70/CE . – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 4, 5 (commi 4 e 4 bis), 10, 11 del d. Igs. n. 368/2001; anche in combinato disposto con l’art. 4 della legge 4.6.1999 n. 124- permanenza del diritto anche in ipotesi di immissione in ruolo»;
1.1. contesta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le stabilizzazioni intervenute in forza dello scorrimento delle graduatorie costituiscono misura adeguata a sanzionare l’abusivo ricorso ad una successione di contratti a termine e sostiene che siffatta conclusione contrasta con i principi dettati dalla direttiva 1999/70/CE come interpretati dalla Corte di Giustizia, la quale, con la sentenza Mascolo, aveva rilevato l’aleatorietà della misura della stabilizzazione e la conseguente assenza di forza dissuasiva e di effettività;
2. la seconda censura, ricondotta sempre al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., denuncia, sotto altro profilo, la violazione e/o falsa applicazione della direttiva 99/70/Ce e dell’accordo quadro alla stessa allegato nonché la violazione «dell’obbligo internazionale derivante all’Italia dall’art. 6/1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo»;
2.1. la ricorrente insiste nel sostenere che l’immissione in ruolo non integra una misura sufficientemente effettiva e dissuasiva e pertanto, in presenza di un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, deve essere riconosciuto quanto meno il risarcimento del danno, anche al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di privati;
3. il terzo motivo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione della Direttiva, dell’Accordo Quadro, del d.lgs. n. 368/2001 nonché dell’art. 2697 cod. civ. perché, ai fini del risarcimento del danno, è sufficiente allegare l’illegittima reiterazione del rapporto a tempo determinato, atteso che il diritto dell’Unione impone l’effettività della tutela, non assicurata allorquando venga posto a carico della parte un onere probatorio che di fatto paralizza l’esercizio del diritto;
4. con la quarta censura è denunciata la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. perché, si sostiene, il Ministero, virtualmente soccombente, doveva essere condannato al pagamento delle spese di lite;
5. infine la ricorrente formula istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia e richiamano l’ordinanza della Corte di Appello di Trento, pronunciata in fattispecie analoga, per sostenere che il danno prodotto dalla abusiva reiterazione dei rapporti a termine deve essere risarcito in quanto l’immissione in ruolo ed anche la stabilizzazione disposta ai sensi della legge n. 107/2015 non costituiscono misure proporzionate, dissuasive, idonee a garantire la piena efficacia dell’Accordo Quadro;
6. i primi tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, prospettano questioni sulle quali questa Corte si è già più volte pronunciata con ordinanze (cfr. fra le tante Cass. n. 10650/2021, Cass. n. 18344/2020, Cass. n. 23050/2020, Cass. n. 23051/2020) alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.;
6.1. le decisioni citate si pongono nel solco già tracciato da Cass. nn. 3472 e 3474 del 2020 che, nel ribadire i principi enunciati con le sentenze nn. 22552/2016 e 22556/2016, hanno affermato che «nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati su cd. organico di diritto, avveratasi a far data dal 10 luglio 2001 e prima dell’entrata in vigore della l. n. 107 del 2015, per i docenti ed il personale ATA deve essere ritenuta misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia UE nella sentenza dell’8 maggio 2019 (causa C494/17, Rossato), la stabilizzazione acquisita attraverso il previgente sistema di reclutamento, fermo restando che l’immissione in ruolo non esclude la proponibilità della domanda di risarcimento per danni ulteriori, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione da danno presunto»;
6.2. non si può dare seguito alla sollecitazione contenuta a pag. 13 del ricorso atteso che «il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di rimettere alla Corte di giustizia la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenza di un acte claire che, in ragione dell’esistenza di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale» (Cass. n. 14828/2018 e la giurisprudenza ivi richiamata);
6.3. i primi tre motivi vanno conclusivamente dichiarati inammissibili ex art. 360 bis cod. proc. civ. perché la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e le censure non prospettano argomenti che possano indurre a mutare l’orientamento già espresso;
6.4. le Sezioni Unite, nel respingere la tesi secondo cui l’inammissibilità va dichiarata solo in presenza di vizi genetici del ricorso attinenti alla sua struttura formale, hanno chiarito che la pronuncia in rito ex art. 360 bis cod. proc. civ. deve essere emessa ogniqualvolta al momento della decisione la Corte rilevi che la sentenza impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità già esistente alla data di proposizione del ricorso (ed è questo il caso perché il giudice d’appello ha richiamato i principi diritto enunciati da Cass.22552/2016 e da altre sentenze conformi pronunciate contestualmente all’udienza del 18 ottobre 2016) ed il ricorso non critichi adeguatamente gli argomenti sviluppati a fondamento del principio enunciato (Cass. S.U. n. 7155/2017);
6.5. ai fini della dichiarazione di inammissibilità, pertanto, rileva solo il confronto fra la giurisprudenza di legittimità ed il contenuto delle censure, sicché non è ostativa a detta dichiarazione la circostanza che al momento della proposizione del ricorso fosse ancora attesa la pronuncia della Corte UE sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della giurisprudenza nazionale formatasi sull’efficacia satisfattiva della stabilizzazione;
7. inammissibili sono anche le deduzioni sviluppate nella memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. perché le stesse, nell’invocare il principio di diritto affermato da Cass. n. 14815/2021, fanno leva sulla natura concorsuale della procedura alla quale la C. aveva partecipato, ed in tal modo prospettano una questione giuridica nuova, implicante accertamenti di fatto ai quali non fanno cenno né la sentenza impugnata né i motivi di ricorso, svolti sul presupposto dell’avvenuta immissione in ruolo secondo il sistema del cosiddetto doppio canale;
7.1. nel giudizio civile di legittimità le memorie di cui agli artt. 378, 380 bis e 380 bis 1 cod. proc. civ., sono destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con il ricorso ed a confutare le tesi avversarie, sicché con le stesse non è possibile dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica ( Cass. S.U. n. 1197/2006 e negli stessi termini fra le tante Cass. n. 17893/2020);
7.2. è altresì consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui «qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa» (Cass. n. 32804/2019);
7.3. il richiamato orientamento, come chiarito in motivazione da Cass. n. 10538/2020, non poteva essere invocato solo in relazione ai ricorsi già pendenti in cassazione allorquando l’accertamento di fatto si è reso necessario in ragione dello ius superveniens rappresentato, oltre che dalla legge n. 107 del 2015, dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 187 del 2016 e dalle pronunce della Corte di Giustizia riguardanti il precariato scolastico;
7.4. a quelle fattispecie non è assimilabile quella che qui viene in rilievo, perché la sentenza qui impugnata è stata pronunciata il 13 marzo 2017 e, pertanto, ogni questione inerente alla natura della procedura all’esito della quale è stata disposta l’immissione in ruolo doveva essere sottoposta innanzitutto al giudice del merito;
8. inammissibile è anche il quarto motivo perché, come già affermato da questa Corte in fattispecie sovrapponibili a quella oggetto di causa ( Cass. n. 13970/2020 e Cass. n. 8456/2021), il giudice d’appello, nel compensare integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio, ha esercitato il potere discrezionale allo stesso conferito dall’art. 92 cod. proc. civ. che non può essere sindacato in sede di legittimità qualora non risulti violato il principio della soccombenza, secondo cui la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse;
9. le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
10. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in € 3.000,00 per competenze professionali oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.