CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 aprile 2018, n. 8258
Irpef – Avviso di accertamento – Indennità chilometrica
Rilevato che
l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata la parziale illegittimità dell’avviso di accertamento, per IRPEF relativa all’anno 2002, emesso nei confronti di M. V. a titolo di maggior reddito assimilato a quello di lavoro dipendente (rapporto di collaborazione coordinata e continuativa), ai sensi degli artt. 47, comma 1, lett. c-bis, e 48, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora artt. 50 e 51 del “nuovo” TUIR), con riguardo alla “indennità chilometrica” corrisposta al contribuente, a titolo di rimborso spese, dal datore di lavoro G.T. s.r.l. per trasferte effettuate, con la propria autovettura, fuori dal Comune di lavoro;
il giudice d’appello ha ritenuto esatta la ricostruzione del reddito operata dal primo giudice, “sulla base dei conteggi effettuati dalla G.T. s.r.l. ogni mese (come da documentazione), e da cui risultano il corrispettivo variabile del 4% legato alla prestazione, i chilometri percorsi, l’importo di euro 0,31 a km, il tutto conforme al contratto di collaborazione allegato al ricorso”;
il V. resiste con controricorso.
Considerato che
con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 47, comma 1, lett. c-bis, e 48, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente ratione temporis) e dell’art. 2697 cod. civ.: censura la sentenza impugnata peravere il giudice ritenuto idonea la documentazione concernente l’indennità chilometrica, mentre a suo avviso si trattava di semplici prospetti di calcolo privi di valenza probatoria specifica in ordine alle distanze effettivamente percorse; il motivo è infondato;
premesso che la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è da escludere, non essendo stato violato il criterio di riparto dell’onere della prova, la censura, a fronte dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito (sopra riportato), si risolve in una critica generica della valutazione delle risultanze probatorie operata dal giudice stesso, da far valere, in ipotesi, come vizio di motivazione, e con adeguato carattere di specificità;
il secondo motivo, col quale è denunciata la “omessa motivazione” sul fatto decisivo indicato, è a sua volta infondato, poiché la sentenza non è affatto priva di motivazione;
in conclusione, il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in € 2100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
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