CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 ottobre 2021, n. 26875
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in cassazione – Revisione degli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito – Inammissibilità
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia veniva accolto l’appello proposto dall’Ente Mostre Enologiche in liquidazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 417/24/2013, la quale aveva riunito e rigettato tre ricorsi avverso altrettanti avvisi di accertamento per l’anno di imposta 2006 con accertamento di maggior imponibile IRES e IRAP, per il 2007 ai fini IRES, IRAP e IVA, per il 2008 per maggiore IVA.
2. Nello specifico veniva contestato all’Ente di aver indebitamente utilizzato per i tre anni di imposta fatture emesse dalla cooperativa Unione Vini Italiana (UIV) e per il 2007-8 dalla società E.I.Q.S. S.r.l. (EIQS), sia sotto il profilo dell’oggettiva inesistenza delle operazioni contestate, sia dell’inesistenza dei costi oltre che del difetto di inerenza. Le fatture afferivano a due contratti di appalto di servizi stipulati dalla contribuente, rispettivamente, con la UIV in data 3 luglio 2006 e con la EIQS nel 2007, il primo registrato il 31 luglio 2006 e il secondo senza data certa, elementi posti dall’Agenzia, unitamente alla genericità delle fatture contestate, alla base delle riprese.
3. Il giudice d’appello non condivideva la decisione del giudice di prime cure, rigettando in via preliminare le doglianze della contribuente sulla durata della verifica fiscale e di inesistenza della motivazione del giudice di primo grado e, nel merito, riteneva che le fatture, come redatte e contabilizzate, fossero valide e inerenti all’attività esercitata dall’appellante.
4. Avverso la decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate per due motivi, cui replica la contribuente con controricorso.
Considerato che
5. In via preliminare va esaminata e disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata dalla contribuente, per violazione del principio di autosufficienza dal momento che – a differenza di quanto paventa la contribuente – il ricorso non è carente di sommaria esposizione dei fatti di causa, ai fini dell’art. 366 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la quale è presente nel corpo dell’atto, ove in modo accorto la sintesi dei fatti è intervallata da riferimenti alla decisione impugnata e all’esposizione delle ragioni di censura.
6. Con il primo motivo di ricorso – ex art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – l’Agenzia deduce la nullità della sentenza impugnata, in violazione e falsa applicazione dell’art.36 del d.lgs. n.546 del 1992, per motivazione apparente nella parte in cui apoditticamente afferma che i singoli contratti sono dettagliati in modo preciso e non danno adito a difficoltà di interpretazione e ritiene che le fatture contestate sono relative a costi esistenti ed inerenti.
7. Il motivo non è inammissibile come eccepito in controricorso ma è infondato. Non sussiste la denunciata contraddittorietà intrinseca al primo motivo, chiaramente diretto a denunciare l’apparenza della motivazione per violazione dell’art.36 del decreto sul processo tributario, né il mezzo incorre in difetto di autosufficienza dal momento che, come sopra già considerato con riferimento all’intero ricorso, l’esposizione della censura è esaustiva e puntuale, specificamente diretta a colpire singoli passaggi della sentenza gravata. Infine, con il mezzo non è chiesto al giudice di legittimità un nuovo apprezzamento del fatto, ma di dichiarare la nullità della sentenza del giudice d’appello.
8. Tanto premesso, va rammentato che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232). Si rammenta inoltre che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053).
9. Nel caso in esame, la sentenza della CTR espone compiutamente il fatto e riassume i principali snodi processuali (pag.1 sentenza impugnata), sintetizza i motivi di appello e le difese dell’appellata (pagg.2-4, ibidem) e, sul merito delle riprese, esprime una chiara ratio decidendi, complessivamente sfavorevole all’Agenzia (pagg.6-8, ibidem). In particolare, dopo il rigetto in via preliminare delle doglianze della contribuente circa la durata della verifica fiscale e l’inesistenza della motivazione del giudice di primo grado, nel merito, il giudice d’appello ritiene che le fatture, come redatte e contabilizzate siano valide e inerenti all’attività esercitata dall’appellante; si tratta, dunque, di motivazione che si pone al di sopra del “minimo costituzionale”, la cui sola violazione attiva il sindacato giurisdizionale di legittimità per il vizio lamentato.
10. Con il secondo motivo di ricorso – ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.21 del d.P.R. n.633 del 1972 e 2697 cod. civ. per aver il giudice d’appello ritenuto che le fatture di cui alle operazioni in contestazione contenessero una descrizione delle prestazioni effettuate dalle società UIV e EIQS conforme alle previsioni dell’art.21 cit. e quindi avessero capacità di dimostrare, nel rispetto del riparto dell’onere della prova, l’esistenza del tipo delle prestazioni fatturate.
11. Il motivo è inammissibile. Va rammentato che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01). Il giudice di legittimità ha il potere di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservata l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
12. Orbene, il motivo investe l’accertamento di fatto operato dalla CTR sul contenuto delle fatture, diffusamente compiuto alle pagg.6-8 della sentenza come già sopra riportato, e puntualmente fondato sul quadro istruttorio tenendo conto delle difese delle parti, condotto secondo un iter argomentativo congruo e logico.
13. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
14. Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della contribuente, che liquida in € 17.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per spese borsuali, spese generali 15% Iva e Cpa.
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