CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 novembre 2022, n. 33763
Licenziamento – Fittizia risoluzione del rapporto di lavoro – Omissioni contributive – Avviso di addebito – Legittimità
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Firenze ha accolto il gravame proposto dall’I.N.P.S. – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – e respinto l’opposizione proposta da C. M. avverso l’avviso di addebito per euro 6.718,49 relativo al periodo agosto 2013 – maggio 2014, periodo nel quale era stato accertato che un’impiegata avrebbe proseguito a lavorare alle dipendenze dello studio professionale del rag. M. dopo la fittizia risoluzione del rapporto di lavoro con il licenziamento del luglio 2013;
2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale, nel riformare la sentenza di primo grado, ha ripercorso puntualmente tutte le risultanze istruttorie ed ha ritenuto di dover attribuire maggiore credibilità alle dichiarazioni rese dall’impiegata all’epoca dell’accertamento ispettivo piuttosto che alla deposizione resa dalla stessa in giudizio, osservando che «mentre le dichiarazioni originarie nella loro sintesi sono lineari e coerenti, quelle successive sono in sé implausibili oltre che confliggenti con ulteriori dati ora richiamati. E’ quindi inevitabile preferire la versione della lavoratrice che confermava la continuazione di fatto del rapporto di lavoro già assicurato, anche per il periodo ottobre 2013 – maggio 2014 oggetto di causa». A conforto di tale assunto, i giudici di appello hanno richiamato il consolidato orientamento di questa Corte in ordine all’efficacia probatoria dei verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e circa la libera valutabilità del contenuto delle dichiarazioni provenienti da terzi o dagli stessi lavoratori, espressamente esaminando e disattendendo il rilievo attribuito dal giudice di prima istanza alle ulteriori testimonianze assunte;
3. avverso tale pronuncia C. M. ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura;
4. l’I.N.P.S. resiste con controricorso;
5. è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
6. il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 2697, 2729, 1367, 1417 e 2094 cod. civ. in punto di ripartizione degli oneri probatori, di corretta applicazione delle regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, di prova per presunzioni semplici, di conservazione degli effetti del negozio giuridico e di accertamento dei requisiti del rapporto di lavoro subordinato, avuto riguardo alle risultanze istruttorie, analiticamente ripercorse nel motivo;
2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., contraddittorietà – illogicità – mera apparenza della motivazione, perché la Corte territoriale avrebbe dovuto dare conto del percorso argomentativo effettuato per giungere a ritenere che alcune delle prove acquisite dovessero e potessero letteralmente ignorarsi, in favore di prove di segno opposto che hanno costituito l’unico elemento in base al quale la decisione è stata integralmente riformata;
3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello omesso di chiedersi e spiegare il motivo per cui la dipendente si sarebbe indotta a rendere divergenti dichiarazioni (piuttosto che reputare, come assunto dal primo giudice, che le dichiarazioni rese in sede ispettiva fossero frutto di confusione ed imprecisione), poiché se veramente ella avesse voluto significare che il rapporto traeva origine sin dal contratto stipulato il 20 febbraio 2009 – che era un contratto a tempo indeterminato – allora, in sede di ispezione, avrebbe dovuto apporre la crocetta in concomitanza con la dicitura “lavoratore dipendente” tout-court, mentre è pacifico che risultasse valorizzato il riquadro relativo al rapporto di lavoro a tempo determinato, circostanza decisiva invece completamente ignorata dalla Corte territoriale;
4. il primo motivo è infondato, in quanto la Corte territoriale ha ricostruito analiticamente le risultanze istruttorie ed ha ampiamente motivato il proprio assunto decisorio in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dello studio professionale al momento dell’accertamento ispettivo, sicché non è configurabile la dedotta violazione di legge, considerato che «la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.)» (Cass. Sez. 3, 29/05/2018, n. 13395). Nella specie, il giudice d’appello ha ravvisato la sussistenza dei fatti posti a fondamento del credito contributivo azionato dall’Istituto previdenziale, senza pertanto violare le regole sull’onus probandi, onde le censure ampiamente sviluppate nel motivo sono piuttosto volte a proporre una diversa valutazione delle prove;
5. il secondo motivo è parimenti infondato, posto che i giudici d’appello, come già evidenziato al punto precedente, hanno ampiamente motivato il proprio convincimento e dato conto delle ragioni per le quali hanno ritenuto di dissentire dalla ricostruzione fattuale operata dal giudice di primo grado, con conseguente esclusione del denunziato vizio di omessa pronuncia; ad ogni buon conto, la censura svolta, ancorché riqualificata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., risulterebbe comunque infondata, atteso che «l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (così Cass. Sez. 6-L, 08/11/2019, n. 28887), dovendosi pure considerare che «la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito» (Cass. Sez. 2, 19/07/2021, n. 20553);
6. analogamente, è infondato il terzo motivo, considerato che, come più volte sottolineato, la Corte d’appello ha compiutamente dato conto delle motivazioni atte a supportare il diverso convincimento rispetto a quello reso dal giudice di primo grado, così come la ragioni per le quali ha ritenuto maggiormente credibile le dichiarazioni rese dalla dipendente in sede ispettiva rispetto alla deposizione resa in sede giudiziale, sicché ogni ulteriore censura sul punto non è valutabile in termini di omessa pronuncia su un fatto decisivo (tale non potendo reputarsi la “spunta” del tipo di rapporto in sede ispettiva, in considerazione anche della articolata motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale) bensì di inammissibile sollecitazione ad una diversa ricostruzione del fatto (in tal senso, Cass. Sez. U, 27/12/2019, n. 34476, secondo cui «È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito»);
7. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna – secondo la regola della soccombenza – della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
8. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese processuali, che liquida in euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.