CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 marzo 2021, n. 6150
Tributi – Accertamento – Interposizione fittizia – Frode carosello – Indebita deduzione di costi e detrazione ai fini Iva
Rilevato che
– con sentenza, n. 81/24/12, depositata in data 31 luglio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto da B. & Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore avverso la sentenza n. 46/06/11 della Commissione tributaria provinciale di Vicenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento R84030200126/2010 con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.f., aveva contestato nei confronti di quest’ultima, l’indebita deduzione di costi, ai fini Ires e Irap, e detrazione ai fini Iva, per l’anno 2007, in relazione ad operazioni di acquisti di materie prime (pelli) da un fornitore extracomunitario, che vedevano la contribuente s.r.l., quale fatturante fittizia (“cartiera” interposta di secondo livello, acquirente, a sua volta, dalle società M. s.r.l. e M. s.r.l., interposte di primo livello) e la Conceria P. s.p.a., quale reale beneficiaria (interponente) dei vantaggi fiscali conseguiti attraverso l’interposizione fittizia soggettiva;
– la CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) l’avviso di accertamento motivato per relationem era valido essendo stato il p.v.c.- benché non allegato ad esso- previamente notificato alla contribuente e avendo l’atto impositivo riportato, peraltro, seppure sinteticamente, il contenuto del p.v.c.; 2) vari erano gli elementi indiziari dai quali si desumeva complessivamente l’esistenza di una frode carosello: a) le dichiarazioni rese (nel 2009) da M.L., amministratore di fatto delle società cartiere di primo livello, nel corso del procedimento penale incardinato presso il Tribunale di Vicenza, circa l’esistenza di un preciso accordo frodatorio tra le cartiere di primo (M. s.r.l. e M. s.r.l) e secondo livello (B. s.r.l.) e l’interponente (Conceria P. s.p.a.) finalizzato a fare acquisire le merci (pelli) dall’interponente a prezzo ridotto (del 10/12%) rispetto al normale mercato di importazione nonché alla spartizione della restante Iva ( in parte contenuta nel prezzo pagato al fornitore estero); a tali dichiarazioni originarie, ad avviso del giudice di appello, occorreva dare maggiore valore rispetto a quelle con le prime contrastanti successivamente rese dal medesimo (negli interrogatori del 2011), non avendo queste ultime neanche convinto il giudice penale che, considerando anche ulteriori elementi, aveva condannato F.B., legale rappresentante della società contribuente; b) il carattere di cartiere delle società interposte di primo livello, desumibile da numerosi inadempimenti civili e fiscali, in termini di omesse dichiarazioni fiscali e omessi versamenti di imposta, dall’impiego, quali rappresentanti legali, di soggetti qualificabili come “teste di legno”, nullatenenti, non qualificati a dirigere un’impresa e, talora, con precedenti penali, dalla inconsistenza patrimoniale (essendo, peraltro, l’immobile di proprietà prima della M.l e poi di M., di limitate dimensioni e di uso prevalente come ufficio, inidoneo a consentire una effettiva operatività commerciale) e organizzativa nonché dalla volatilità delle medesime; c) l’anomalia di una importazione che era avvenuta con diversi passaggi non aventi alcuna giustificazione se non quella della realizzazione del meccanismo fraudatorio; d) la provenienza delle risorse finanziarie per il pagamento della merce direttamente dalla interponente che pagava in via anticipata, con due passaggi intermedi, non disponendo le società interposte di primo e secondo livello di mezzi propri; 3) quanto alla consapevolezza della frode da parte della contribuente – premessa la irrilevanza della eccepita regolarità fiscale e contabile, della effettività delle consegne delle merci e dei relativi pagamenti, nonché della dedotta applicazione di prezzi in linea con il mercato – il coinvolgimento consapevole della contribuente si desumeva da una serie di elementi indiziari, quali le dichiarazioni di M.L., la inconsistenza patrimoniale e organizzativa delle società interposte di primo livello che non poteva non essere valutata con sospetto dalla contribuente, l’anomalia delle serie di passaggi per una importazione che avrebbe potuto essere attuata direttamente dalla destinataria finale e l’acquisto delle merci a prezzi ribassati, circostanza che, conoscendo la contribuente il mercato delle pelli, non poteva essere da questa ignorata;
– avverso la sentenza della CTR, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui resiste con controricorso l’Agenzia;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212/00 per avere la CTR erroneamente ritenuto valido l’avviso di accertamento recante la motivazione per relationem al p.v.c. che, ad avviso della contribuente, benché previamente alla medesima notificato, avrebbe dovuto essere allegato in considerazione dell’imprecisione con cui era stato redatto (assenza di numerazione di gran parte delle pagine e mancata indicazione del numero totale delle pagine);
– il motivo è infondato;
– alla luce del consolidato orientamento secondo cui l’onere dell’Ufficio, di mettere in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria, può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti conosciuti o conoscibili dal destinatario, come il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che sia stato notificato o consegnato al contribuente; né un tale rinvio può considerarsi illegittimo, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (v. e plurimis Cass. n. 24038 del 2018; n. 2806 del 2017; Cass. 13/10/2011, n. 21119; Cass. 10/02/2010, n. 2907);
– inoltre, in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, della L. n. 212 del 2000, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. Parimenti l’art. 42, secondo comma, ultima parte, del d.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che solo se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale (Cass. n. 28713 del 2017; n. 407 del 2015; n. 18073 del 2008);
– nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere valido ravviso di accertamento in questione motivato per relationem al p.v.c., essendo stato quest’ultimo non solo previamente notificato alla contribuente ma peraltro, seppure sinteticamente, riportato nell’atto impositivo; da qui la inconsistenza delle argomentazioni della contribuente relative alle carenze formali del p.v.c. che ne avrebbero resa difficoltosa la comprensione al destinatario;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5 c.p.c., l’omessa pronuncia e/o l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in merito all’eccezione – riproposta in sede di appello – di non corrispondenza al vero delle circostanze contenute nell’avviso impugnato concernenti: 1) la buona fede della verificata non configurabile stante l’asserita pre-esistenza del rapporto della contribuente con i fornitori esteri (“per essere la B. s.r.l. già cliente delle società estere”) dalla quale l’Ufficio aveva fatto discendere la prova della cooperazione e della partecipazione della contribuente al meccanismo fraudatorio – circostanza smentita dalla produzione da parte di quest’ultima, in allegato al ricorso introduttivo, della lista completa dei propri fornitori fin dalla sua nascita al 2007-;2) la consistenza organizzativa e patrimoniale delle società cartiere di primo livello per essere, ad avviso dell’ufficio, soggetti economici privi di struttura imprenditoriale (ancorché dalle visure ipocatastali storiche prodotte in primo grado dalla contribuente si evincesse la proprietà da parte delle due società – prima di M.l e poi di M. – di un immobile, costituito da uffici e magazzino, in cui esercitavano la propria attività commerciale già da diversi anni);
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c. c., e, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso, avallando in toto quanto affermato nel p.v.c., omettendo di considerare o erroneamente valutando gli elementi probatori forniti dalla contribuente in riferimento alla propria diligenza e buona fede o comunque all’assenza di dolo in capo alla stessa (copiosa e significativa produzione documentale comprovante la solidità all’epoca delle società M.l e M., proprietarie di beni immobili in cui esercitavano la propria attività, con ampia disponibilità a magazzino di merci su piazza; regolarità contabile e fiscale della contribuente, effettività delle operazioni con regolari consegne della merce e pagamenti tracciabili, applicazione di prezzi in linea con quelli di mercato) nonché omettendo di considerare o erroneamente valutando gli indizi del meccanismo fraudatorio e dell’accordo illecito forniti dall’ufficio inidonei a rivestire i caratteri di gravità, precisione e concordanza specie se raffrontati con gli elementi probatori di cui sopra forniti dalla contribuente;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d. P.R. n. 633 del 1972, e, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, per avere la CTR valorizzato nella individuazione del meccanismo fraudatorio il passaggio sottocosto (con una riduzione di prezzo del 10/12%) della merce dalle società cartiere di primo livello alla verificata, ancorché dalla documentazione prodotta dalla contribuente risultasse la vendita delle pelli ad un prezzo non inferiore a quello di mercato e comunque l’asserito sottocosto non fosse riconoscibile dalla contribuente (sostenendo peraltro l’Ufficio- come affermato contraddittoriamente dal giudice di appello- il carattere volatile di tali prezzi);
– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., e, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, attribuendo rilevanza e attendibilità alle dichiarazioni rese (nel 2009) dal M. nel corso del procedimento penale ancorché tali dichiarazioni fossero state successivamente smentite dal medesimo, nel corso degli unici interrogatori (nel 2011) riguardanti specificamente il rapporto con la verificata, affermando che non aveva mai avuto luogo alcuna spartizione dell’Iva, che gli ordini del pellame non erano preordinati, che lui e la sua organizzazione avevano avuto trattative dirette con i fornitori esteri;
– i motivi dal secondo al quinto che constano ognuno di due sub censure- da trattare congiuntamente per connessione- si espongono, in primo luogo, a profili di inammissibilità;
– quanto al secondo motivo, va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. sez. 5, n. 17141 del 28/6/2018; Cass. Sez. L, n. 13866 del 18/06/2014; Cass. 17 luglio 2007, n. 15882);
– quanto ai motivi terzo, quarto e quinto, la ricorrente ha cumulato censure per violazioni di legge e per vizi motivazionali senza però distinguere tra di essi nell’illustrazione del motivo: in tal modo impedendo un sicuro esercizio nomofilattico. In effetti, non può farsi carico alla Corte di individuare all’interno dell’esposizione ciò che costituisce violazione di legge da ciò che costituisce vizio motivazionale. Difatti (anche dopo l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c.) l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone alla parte sotto il profilo dell’autosufficienza di spiegare quali siano le ragioni della censura. E, appunto, senza che la Corte debba fare opera di supplenza (Cass., sez. 5, n. 2617 del 2015; Cass. sez. 3 n. 18375 del 2010; Cass. sez. 3 n. 12984 del 2006; Cass. sez. 3 n. 21659 del 2005);
– nel merito, i motivi sono comunque infondati;
– questa Corte ha chiarito che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018);
– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017, Cass., sez. 5, n. 1715/2007). Infatti, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Sez. 3 – , Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008). Ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Nella sentenza gravata la CTR, con una motivazione sufficiente e scevra da vizi logici- giuridici, ha correttamente applicato i principi di diritto in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e di formazione della prova presuntiva, in quanto – confermando la decisione di primo grado – con una valutazione in fatto – rispondente ai suddetti criteri giuridici- non sindacabile in sede di legittimità- ha ritenuto che la contestazione dell’Amministrazione fosse basata su elementi indiziari, idonei ad assurgere a prova presuntiva non solo dell’oggettiva fittizietà del fornitore (nella specie rappresentato dalle “cartiere di primo livello”), ma anche della consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; con ciò ha chiaramente disatteso- dopo averla riportata nella parte in fatto della sentenza- l’eccezione della contribuente di non corrispondenza al vero delle circostanze contenute nell’avviso;in particolare, sul piano dell’esistenza della frode carosello, la CTR ha valorizzato una serie di elementi indiziari- stimati gravi, precisi e concordanti- addotti dall’Ufficio concretantesi: a) nelle dichiarazioni rese (nel 2009) da M.L., amministratore di fatto delle società cartiere di primo livello, nel corso del procedimento penale incardinato presso il Tribunale di Vicenza, circa l’esistenza di un preciso accordo frodatorio tra le cartiere di primo (M. s.r.l. e M. s.r.l) e di secondo livello (B. s.r.l.) e l’interponente (Conceria P. s.p.a.) finalizzato a fare acquisire le merci (pelli) dall’interponente a prezzo ridotto (del 10/12%) rispetto al normale mercato di importazione nonché alla spartizione della restante Iva (in parte contenuta nel prezzo pagato al fornitore estero); a tali dichiarazioni originarie il giudice di appello ha attribuito maggiore valore rispetto a quelle con le prime contrastanti successivamente rese dal medesimo (negli interrogatori del 2011), non avendo queste ultime neanche convinto il giudice penale che, considerando anche ulteriori elementi, aveva condannato F.B., legale rappresentante della società contribuente; b) nel carattere di cartiere delle società interposte di primo livello, desumibile da numerosi inadempimenti civili e fiscali, in termini di omesse dichiarazioni fiscali e omessi versamenti di imposta, dall’impiego, quali rappresentanti legali, di soggetti qualificabili come “teste di legno”, nullatenenti, non qualificati a dirigere un’impresa e, talora, con precedenti penali, dalla inconsistenza patrimoniale – essendo, peraltro, l’immobile di proprietà prima della M.l e poi di M., di limitate dimensioni e di uso prevalente come ufficio, inidoneo a consentire una effettiva operatività commerciale- e organizzativa nonché dalla volatilità delle medesime; c) nella anomalia di una importazione che era avvenuta con diversi passaggi non aventi alcuna giustificazione se non quella della realizzazione del meccanismo fraudatorio; d) nella provenienza delle risorse finanziarie per il pagamento della merce direttamente dalla interponente che pagava in via anticipata, con due passaggi intermedi, non disponendo le società interposte di primo e secondo livello di mezzi propri; sul piano della consapevolezza della frode da parte della contribuente, il giudice di appello ha ritenuto- sempre con un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità – che l’Amministrazione avesse dimostrato il coinvolgimento consapevole della contribuente e, dunque, l’esistenza di un previo accordo illecito in base ad una serie di elementi indiziari, quali le dichiarazioni di M.L., la inconsistenza patrimoniale e organizzativa delle società interposte di primo livello che non poteva non essere valutata con sospetto dalla contribuente, l’anomalia delle serie di passaggi per una importazione che avrebbe potuto essere attuata direttamente dalla destinataria finale e l’acquisto delle merci a prezzi ribassati, circostanza che, conoscendo la contribuente il mercato delle pelli, non poteva essere da questa ignorata; al riguardo, la CTR ha poi escluso, conformemente ai principi in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, che potessero costituire una valida prova (a contrario) della estraneità della contribuente alla frode una serie di argomenti da quest’ultima addotti attinenti alla propria correttezza contabile e fiscale, alla effettività e regolarità formale delle operazioni effettuate sia in acquisto che in rivendita all’interno della catena, all’applicazione di prezzi in linea con il mercato, essendo unicamente rilevante, ad avviso del giudice di appello, con riguardo a tale ultimo profilo, la verifica della riduzione del prezzo del 10/12% nel passaggio dalle cartiere di primo livello alla contribuente, il che era emerso dalle risultanze della indagine della G.d.F. e dalle dichiarazioni di M.L.; pertanto, dalla sentenza impugnata si evince che il giudizio della CTR è stato formulato secondo le modalità di legge in tema di valutazione della prova indiziarla, in piena conformità al principio di diritto secondo cui «La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 13/03/2014; sez. 5, n. 16825 del 7/8/2020); ogni altra argomentazione sottesa alla proposta censura tende evidentemente ad una inammissibile rivalutazione di fatti e risultanze probatorie come accertate dal giudice di appello; peraltro, va osservato che, quanto al denunciato vizio motivazionale, anche nel vigore del vecchio testo del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., è inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006). Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014);
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia che liquida in complessivi euro 15.000,00, oltre spese prenotate a debito;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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