CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 settembre 2022, n. 26198
Licenziamento per giusta causa – Indebita fruizione di permesso sindacale – Abuso del diritto – Lesione del vincolo fiduciario – Proporzionalità della sanzione espulsiva
Rilevato che
1. la Corte d’appello di l’Aquila, pronunziando in sede di reclamo ex lege n. 92/2012, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 16 giugno 2015 da P. E. s.r.l. a S. I., sulla base di contestazione che addebitava al dipendente la indebita fruizione, nel giorno 29 maggio 2015, del permesso sindacale di cui all’art. 30, legge n. 300/1970, utilizzato per Finalità personali del tutto estranee a quella propria del permesso in oggetto; in particolare, la Corte di merito, premesso che la prova orale aveva confermato il fatto oggetto di addebito, ha ritenuto che lo stesso non potesse essere sussunto fra le condotte non punibili con il licenziamento alla stregua del contratto collettivo applicabile che sanzionava con il licenziamento solo l’assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni consecutivi o ripetuta per cinque volte in un anno nei giorni seguenti alle festività/alle ferie; ciò in quanto nello specifico non veniva in rilievo la sola assenza ingiustificata ma una condotta di vero e proprio abuso del diritto e quindi connotata da maggiore gravità oggettiva e soggettiva, rispetto a quella considerata dalla norma collettiva;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S. I. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; ascrive alla sentenza impugnata la omessa pronunzia sul motivo di reclamo con il quale aveva censurato la sentenza di primo grado per avere dichiarato la illegittimità del licenziamento anziché limitarsi al rigetto dell’opposizione proposta dal lavoratore avverso la ordinanza emessa in sede sommaria, ordinanza che in parziale accoglimento del ricorso ex art. 1 comma 48, legge n. 92/2012 aveva accertato la estinzione del rapporto e condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto; premesso che il giudice dell’opposizione, con statuizione non impugnata, aveva escluso che la società datrice avesse formulato domanda riconvenzionale, sostiene che tanto precludeva la declaratoria di legittimità del licenziamento;
2. con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 18, legge n. 300/1970, censurando la sentenza impugnata per non avere ricondotto la concreta fattispecie all’ipotesi dell’assenza ingiustificata punita con sanzione conservativa dal contratto collettivo;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 54 c.c.n.l. Gomma e Plastica censurando la sentenza impugnata sul rilievo che la norma collettiva puniva con sanzione espulsiva solo l’assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni consecutivi o ripetuta per cinque volte in un anno nei giorni seguenti alle festività e alle ferie mentre la sanzione conservativa, della multa o della sospensione dal lavoro, trovava applicazione alla stregua delle previsioni collettive nell’ipotesi in cui il lavoratore non si presenti al lavoro o abbandoni il proprio posto di lavoro senza giustificato motivo;
4. con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 2119 cod. civ. censurando la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva, in particolare sotto il profilo della non idoneità dell’unico episodio contestato a determinare il venir meno nella parte datoriale della fiducia nella correttezza dei futuri adempimenti;
5. con il quinto motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalla circostanza che il giorno 29 maggio 2015 egli aveva prestato la sua attività lavorativa in favore di terzi, dopo le ore 14,00, vale a dire in orario non coincidente con quello di lavoro;
6. con il sesto motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalle difese del lavoratore il quale aveva sostenuto di non avere mai beneficiato o richiesto alcun permesso sindacale per il giorno 29 maggio, avendo solo trascurato di avvisare la società dell’assenza dal lavoro;
7. il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad impugnare in capo all’odierno ricorrente il quale non ha specificato la concreta utilità giuridica derivante dall’eventuale accoglimento del motivo in esame, né tale utilità essendo comunque evincibile dagli atti di causa;
7.1. come chiarito da questa Corte, infatti, l’interesse all’impugnazione, costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire che va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; sicchè è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass. n. 13373/2008);
8. il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono da respingere, essendo inammissibili per genericità delle censure articolate; entrambi i motivi non si confrontano specificamente con la ricostruzione fattuale e la qualificazione giuridica della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto operata dalla sentenza impugnata la quale ha accertato che, in relazione al giorno 29 maggio 2015, era stato riconosciuto il diritto dello I. alla fruizione di un permesso sindacale ai sensi dell’art. 30 St. lav., circostanza della quale il dipendente aveva avuto piena consapevolezza per essergli ” il permesso de quo” stato consegnato, a mano, dal vice capo turno; tale permesso era stato utilizzato per finalità estranee alla previsione dell’art. 30 St. Lav. che riconosce ai componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 19 il diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti;
8.1. la qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l’accertamento della concreta vicenda, come sopra operato, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali; questo esclude la riconducibilità della condotta alle richiamate norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro;
8.2. ciò posto le censure articolate con il secondo motivo non contrastano in maniera argomentata tale ricostruzione e la relativa qualificazione ma si soffermano su aspetti, quali la prestazione di attività lavorativa in favore dei terzi nel giorno contestato avvenuta al di fuori dell’orario di lavoro, che sono estranee alla reale ratio decidendi posto che il rilievo disciplinare della condotta addebitata non è riferito allo svolgimento di attività in favore di terzi nel giorno di assenza ma nell’utilizzo improprio del permesso sindacale;
8.3. analogamente le doglianze formulate con il terzo motivo sviluppano in termini apodittici e meramente contrappositivi argomentazioni intese ad affermare la riconducibilità della concreta fattispecie a condotte punite con sanzione conservativa dalla norma collettiva, senza individuare lo specifico errore ascritto al giudice di merito nel pervenire alla soluzione contestata;
9. il quarto motivo di ricorso è infondato;
9.1. come è noto i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 25144/2010);
9.2. parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione dell’art. 2119 cod,. civ. non individua nella valutazione relativa alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento alcuno specifico profilo di incoerenza rispetto agli standard vigenti nella realtà sociale; le critiche articolate, infatti, tendono, piuttosto, a contestare la valutazione di proporzionalità del licenziamento sulla base della considerazione della unicità e “irripetibilità” della condotta addebitata, così trascurando di considerare che la lesione del vincolo fiduciario investe la generalità dei possibili futuri inadempimenti del lavoratore;
10. il quinto ed il sesto motivo di ricorso sono inammissibili in ragione della preclusione scaturente, ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. , dalla esistenza di «doppia conforme» non avendo il ricorrente in cassazione, indicato le ragioni di fatto poste a base dell’accertamento della illegittimità del licenziamento da parte del giudice di primo grado dimostrandone la diversità rispetto a quelle poste a base della sentenza resa in sede di reclamo, come suo onere (Cass. n. 20994/2019, Cass. n. 26774/2016); 11. al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019);
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000, 00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 1 5 % e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1. bis dello stesso art.13, se dovuto.
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