CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 maggio 2022, n. 14668
Rapporto di lavoro – Sospensione cautelare dal servizio – Violazione del rapporto di fiducia – Carenza di specificità del ricorso
Rilevato che
1. con la sentenza n. 7691 depositata il 16.12.2016 la Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Velletri, ha respinto la domanda di L.M. diretta alla declaratoria di illegittimità del provvedimento, del 9.4.2002, di sospensione dal servizio e dalla retribuzione adottato dalla cooperativa P.V. s.c.r.l. (poi incorporata da Trans-sito società cooperativa) di cui era socio lavoratore;
2. la Corte territoriale ha rilevato che il provvedimento non aveva natura disciplinare bensì cautelare, ossia finalizzato ad allontanare dall’azienda – per il tempo necessario alla conclusione del procedimento disciplinare ove il M. aveva avuto modo di difendersi e di replicare – il lavoratore che aveva intrapreso un’attività (presso altra società, la F. s.r.l., di cui era anche socio al 33%) in concorrenza con l’attività svolta dalla società P.V.; che si trattava, invero, di evidente sovrapponibilità delle prestazioni svolte presso la P.V. (mansioni di ricezione e movimentazione di scenografie, scenari, costumi o simili) con quelle disimpegnate presso la F. (assistenza tecnica ed impiantistica necessaria allo svolgimento d’attività teatrali, cinematografiche e dello spettacolo in genere), comportamento espressamente sanzionato dall’art. 11 del Regolamento della cooperativa; che non risultava che il M. avesse informato gli organi della società né che avesse chiesto l’autorizzazione al Consiglio di amministrazione di svolgere l’ulteriore attività e di assumere la veste di socio, con ciò compromettendo il rapporto di fiducia “associativo” (“con conseguente diretta, poi, sul rapporto di lavoro); che era legittima la mancata corresponsione della retribuzione per il periodo della sospensione, essendo intervenuto un esonero del rapporto associativo e prevedendo – il Regolamento – la commisurazione del corrispettivo del socio in rapporto al tempo dedicato all’attività e alla tipologia dell’incarico che il M. aveva pacificamente sospeso, non avendo messo a disposizione le sue energie lavorative;
3. avverso tale sentenza ricorre il lavoratore con un motivo; la società è rimasta intimata.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione di legge”. Si argomenta che, in base ad alcuni arresti del giudice di legittimità, la sospensione cautelare rappresenta, come affermato dalla Corte di appello, un mezzo di autotutela (diverso dalla sospensione disciplinare), ma deve essere connesso ad un parallelo procedimento disciplinare e deve essere di durata limitata (corrispondente al periodo necessario a concludere gli accertamenti dei fatti o il procedimento disciplinare); la Corte territoriale ha, dunque, “fatto malgoverno delle norme” ammettendo che la sospensione potesse avvenire sine die, scollegata da un procedimento disciplinare o da un accertamento dei fatti, senza che fosse prevista dal Regolamento; inoltre, è pacifico che il M. cedette le quote dell’altra società dopo sei mesi, mentre la sospensione si è protratta per un periodo più lungo. La Corte territoriale ha, ancora, “fatto malgoverno delle norme” ove ha ritenuto legittima la sospensione della retribuzione, nonostante l’art. 10 dello Statuto della società prevedesse la cessazione del rapporto associativo solamente per recesso, decadenza ed esclusione, e il CCNL non consente la sospensione della retribuzione durante la sospensione cautelare dal servizio;
2. il ricorso è inammissibile;
2.1. il ricorso è completamente privo della indicazione, richiesta ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., dei motivi per cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata e delle norme che si assumono violate, componendosi esclusivamente di “libere” argomentazioni, senza alcun riferimento (non solo nella rubrica ma anche nel contenuto del motivo) a disposizioni normative violate oppure a vizi di motivazione, contenendo meri richiami di decisioni di legittimità e del giudice amministrativo e limitandosi a sottolineare il “malgoverno delle norme”;
2.2. nel giudizio di legittimità è onere del ricorrente indicare con specificità e completezza quale sia il vizio da cui si assume essere affetta la sentenza impugnata: è pertanto, inammissibile il motivo di ricorso col quale il ricorrente lamenti la violazione di una serie di norme sostanziali “in relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.”, senza precisare se intenda censurare la sentenza per motivi attinenti la giurisdizione o la competenza, per violazione di norme di diritto o per nullità del procedimento (Cass. n. 3248 del 2012);
3. ove anche si volesse qualificare l’impugnazione come intesa a prospettare la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 10 dello Statuto della cooperativa (unica disposizione indicata in ricorso), la censura sarebbe inammissibile, non essendo denunciabile direttamente, in cassazione, la violazione di un regolamento privo di carattere normativo per il suo carattere interno, dovendo, più correttamente, denunciare – come per gli atti negoziali – la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale oppure il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. (nella versione ratione temporis applicabile, ossia il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134), e trattandosi, inoltre, di profilo non affrontato dalla sentenza impugnata;
4. carenza di specificità è, altresì, rappresentata dalla censura attinente al CCNL, di cui non si consente nemmeno la individuazione in mancanza di indicazione del settore merceologico di applicazione, con conseguente genericità assoluta del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, oltre che di novità della questione, non essendo stata in alcun modo trattata – al pari della questione precedente – dalla decisione impugnata né avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della devoluzione al Giudice del gravame (cfr. Cass. n. 20694 del 2018);
5. in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla sulle spese a fronte della mancata costituzione della controparte;
6. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso, nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.