CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2019, n. 3745
Imposte dirette – IVA – Credito – Compensazione – Rettifica – Sanzioni – Ravvedimento operoso
Rilevato che
1. con sentenza n. 125/38/10 del 18/11/2010 la CTR della Lombardia, confermando la sentenza della CTP di Lecco e in accoglimento del ricorso proposto dalla S.F. & F.lli s.p.a. (d’ora in avanti solo S. s.p.a.), annullava l’atto di contestazione sanzioni riguardante l’IVA relativa all’anno d’imposta 2003;
1.1. come si evince dalla sentenza della CTR e dagli atti delle parti:
a) l’atto di contestazione è stato emesso a seguito della compensazione di un credito IVA per un importo superiore al limite previsto dalla legge, cui aveva fatto seguito la rettifica da parte della società e il pagamento di quanto dovuto con gli interessi corrispettivi; b) a fronte di tale comportamento, l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto che la violazione posta in essere dalla società contribuente non era meramente formale, che all’eventuale sanatoria doveva procedersi con la procedura di ravvedimento operoso (in ipotesi non attivata) e che, pertanto, erano dovute le sanzioni contestate; c) la CTP accoglieva il ricorso proposto dalla S. s.p.a.; d) l’Agenzia delle entrate proponeva appello davanti alla CTR;
1.2. la CTR motivava il rigetto dell’appello evidenziando: a) era vero che il limite di legge previsto per la compensazione era stato superato, tuttavia «la società accortasi dell’errore, ha presentato un nuovo Modello F24, versando contestualmente le imposte compensate in eccesso» ed avvisando della cosa l’Agenzia delle entrate; b) conseguentemente, l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 13, comma 1, lett. a), del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 appariva «eccessiva, a fronte della buona fede e volontà ad adempiere della contribuente, come stabilito dall’art. 10, legge 212/2000 (Statuto del contribuente), trattandosi di errore meramente formale, corretto immediatamente dal contribuente»; c) poiché, pertanto, non era stato arrecato alcun danno all’Erario, giusto il pagamento eseguito dalla società, trovava applicazione «il disposto dell’art. 6, comma 5, D.Lgs. 472/97, relativo alla non punibilità degli errori formali, in presenza di mancanza di ostacolo all’attività di controllo dell’Amministrazione Finanziaria»;
2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
3. la S. s.p.a. resisteva in giudizio depositando controricorso.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della I. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 e degli artt. 6, comma 5, e 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la violazione compiuta dalla società contribuente non è meramente formale ma sostanziale, con conseguente necessità che vengano corrisposti sia gli interessi moratori che la sanzione prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997 (o, in subordine, quella prevista dall’art. 13, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 471 del 1997);
2. con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella sussistenza di un danno erariale conseguente alla violazione perpetrata dalla S. s.p.a., danno erroneamente escluso dalla CTR;
3. i due motivi, che possono essere unitariamente esaminati in ragione della loro stretta connessione, sono fondati;
3.1. in via generale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema d’IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997» (Cass. n. 16504 del 05/08/2016; conf. Cass. n. 4555 del 22/02/2017; Cass. n. 15612 del 27/07/2016; Cass. n. 23755 del 20/11/2015);
con specifico riferimento alla fattispecie è stato poi precisato che «il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti» (Cass. n. 18080 del 21/07/2017; conf. Cass. n. 8247 del 04/04/2018; Cass. n. 18369 del 26/10/2012; Cass. n. 8681 del 15/04/2011);
3.2. la CTR ha, dunque, errato nel ritenere l’insussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, in quanto la compensazione oltre il limite massimo fissato dalla legge costituisce una violazione sostanziale, che arreca danno all’Erario, comportando il mancato versamento del tributo alla scadenza prevista dalla legge, sicché sono dovuti anche gli interessi moratori;
3.3. né è applicabile in ipotesi la previsione dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000;
3.4. basterà evidenziare che, con riferimento ai primi due commi, della disposizione in parola, la S.C. è orientata pacificamente nel ritenere che: «in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, dello Statuto del contribuente, costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono» (Cass. n. 537 del 14/01/2015; conf. Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002);
3.5. nel caso di specie, il contribuente che ha violato una specifica disposizione di legge, senza fondare l’errore a suo dire compiuto su atti interni dell’Amministrazione finanziaria non può essere considerato in buona fede; né ha alcuna rilevanza il comportamento successivo tendente ad una sanatoria senza ricorso all’istituto del ravvedimento operoso;
3.6. inoltre, come già evidenziato, la violazione integra gli estremi della violazione formale di cui all’art. 10, comma 3, della I. n. 212 del 2000;
4. in conclusione, il ricorso va accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, può essere deciso nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente;
4.1. la S. s.r.l. va, altresì, condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo in ragione di un valore della lite dichiarato di euro 45.255,00;
4.2. vanno, invece, compensate tra le parti le spese relative alle fasi di merito del presente giudizio, in ragione di un orientamento giurisprudenziale consolidatosi solo dopo la proposizione dell’originario ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla S. F. & F.lli s.p.a.; condanna la controricorrente a rifondere alla ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese relative ai giudizi di merito.
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