Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 6 depositata il 2 gennaio 2024
crediti non spettanti e crediti inesistenti
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 marzo 2023, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del 23 giugno 2022 del GUP del Tribunale di Milano, appellata da L.L., che era stato condannato alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, all’esito del giudizio abbreviato richiesto, del reato di indebita compensazione di crediti inesistenti, quale legale rappresentante della SC L. società cooperativa, operante nel trasporto merci per conto terzi, relativamente ai periodi di imposta 2016 e 2017, per importi superiori alla soglia di legge, in relazione a reati contestati come commessi in data antecedente e prossima al 30.12.2016 ed al 21.12.2017.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione cli legge in relazione all’art. 10-quater, comma 2, D.lgs. n. 74 del 2000 e correlato vizio di motivazione. In sintesi, si sostiene che i giudici di appello non avrebbero compiuto un’attenta analisi degli atti di indagine posti a fondamento dei due provvedimenti, non consentendo quindi di comprendere la diversità degli elementi probatori e delle prove documentali da cui desumersi chiaramente la consapevolezza del ricorrente dell’indebito utilizzo di crediti di imposta inesistenti. In particolare, secondo la di fesa, richiamata la nozione di credito inesistente ex art. 13, comma 5, D.lgs. n. 471 del 1997, poiché nel caso di specie la “non spettanza” del credito era suscettibile di essere rilevata attraverso solamente l’attività di controllo (processi verbali di constatazione) ex artt. 36-bis e 36-ter, d.P.R. n. 600 del 1973, in conseguenza del confronto tra i dati esposti in dichiarazione ed i documenti conservati e rinvenuti a seguito di verifica fiscale, ci si troverebbe di fronte ad un credito non spet tante, ravvisandosi un credito inesistente solo qualora lo stesso sia effettivamente non reale, ad esempio perché corretto da documenti falsi ancorché indicato in dichiarazione.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in data 21 ottobre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
In sintesi, secondo il PG la censura, basata su una lettura dei fatti alternativa rispetto a quella accolta dal giudice di merito, è priva di pregio. Il provvedi mento impugnato ha rilevato che l’imputato, quale legale rappresentante della
cooperativa meglio descritta in atti, ha utilizzato in compensazione, negli anni 2016 e 2017, crediti che devono ritenersi inesistenti perché acquisiti da società “cartiere” quali L.P. S.r.l. e L.S. S.r.l.
A fronte di motivo di appello perfettamente sovrapponibile all’odierno motivo di ricorso, il giudice di merito ha rilevato che l’inesistenza dei crediti non è fondata su controlli automatizzati o presuntivi ma su concreti dati di fatto. Risulta accertato che le due predette società cartiere, formalmente amministrate dallo stesso soggetto ed aventi la medesima sede fittizia, non disponevano di strutture aziendali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è complessivamente infondato.
2. L’impugnazione in sede di legittimità si appalesa ai limiti dell’inammissibilità in quanto generica per aspecificità, non confrontandosi con la sentenza impugnata che ha già fornito adeguata risposta, scevra da illogicità manifeste, al medesimo motivo di impugnazione proposto in sede di appello e riproposto, senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, dinanzi a questa Corte.
In particolare, i giudici di appello hanno escluso che potessero trovare accoglimento le doglianze dell’allora appellante circa la natura presuntiva delle argomentazioni esposte dal primo giudice in ordine all’inesistenza dei crediti di imposta portati in compensazione dalla società, la cui valutazione non risulta essere stata fondata, precisa la Corte territoriale, su controlli automatizzati o desunti dalle risultanze dell’anagrafe tributaria, bensì su concreti e precisi dati di fatto emergenti dagli accertamenti svolti dall’Agenzia delle Entrate. Precisa, invero, la Corte d’appello che, come indicato nei relativi processi verbali di constatazione e correttamente riportato nella pronuncia appellata, le due società romane con denominazioni evocanti l’antico Egitto (L.P.; L.S.) erano formalmente amministrate dallo stesso soggetto ed avevano lai medesima sede fittizia, non disponevano di strutture aziendali ed erano quindi entità non operative che non avevano maturato alcun reale credito di imposta negli anni 2014 e 2015, essendo invece inserite in un meccanismo frodatorio funzionale alla creazione di crediti fittizi da monetizzare attraverso la cessione degli stessi a terzi soggetti, tra cui la società amministrata dal ricorrente.
Trattasi di motivazione che, come anticipato, si sottrae a qualsiasi censura, avendo infatti i giudici di appello chiarito le ragioni per le quali detti crediti erano da ritenersi inesistenti, atteso che gli stessi erano stati creati artificiosamente da due società cartiere e poi ceduti al ricorrente che, nella qualità indicata al capo di imputazione, li aveva indebitamente compensati con propri debiti fiscali e contributivi, con operazioni effettuate a mezzo dello stesso soggetto intermediario, Forte Antonino, per gli importi di cui all’imputazione.
A fronte di tale apparato argomentativo, le censure si appalesano quindi generiche, riproponendo infatti la difesa del ricorrente le stesse doglianze davanti a questo giudice, nonostante le stesse fossero già state esaminate dal giudice di appello con motivazione immune dal vizio denunciato. Deve pertanto essere ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse raç1ioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame (,come avvenuto nel caso di specie) o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253849 – 01).
3. In ogni caso, il motivo è in diritto infondato.
Ed invero, a seguito della riforma operata con il D.lgs. n. 158 del 2015, la rilevanza penale dell’indebita compensazione varia a seconda che si tratti di “crediti inesistenti” o di “crediti non spettanti”.
Diviene pertanto centrale una chiara distinzione tra gli stessi.
Parte della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, si v. Sez. 3, n. 16353 del 21/02/2023, Grandi, non massimata), afferma che, ai fini della configurabilità del delitto in esame, per credito “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario (v. anche Sez. 3, n. 36393 del 07/07/2015, Rv. 265014). Nel caso esaminato dalla richiamata sentenza n. 16353/2023, la tesi difensiva – accolta dalla Corte d’appello – aveva invece evidenziato (al pari di quanto sostenuto dal ricorrente nel presente giudizio) la necessità di interpretare la locuzione “crediti inesistenti”, contenuta nel comma 2 dell’art. 10-quater del Dlgs. 74/2000, alla luce dell’art. 13 del D.lgs. 471/1997, e cioè richiamando “una definizione volta ad escludere, dal novero dei crediti inesistenti, quelli per i quali la mancanza del presupposto costitutivo non era riscontrabile attraverso i controlli automatici previsti dalla normativa tributaria”.
La sentenza richiamata, la cui motivazione questo Collegio condivide, non ha concordato con questa impostazione, dando seguito a quel diverso indirizzo interpretativo che ritiene applicabile alla sola materia degli illeciti di natura amministrativa la definizione dell’art. 13 del D.lgs. 471/1997, imperniata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del presupposto costitutivo dei cre diti medesimi, e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e all’art. 54-bis del DPR 633/72.
3.1. Deve, a tal proposito, essere osservato che l’art. 10-quater non richiama espressamente, a fini definitori dei “crediti inesistenti”, il citato art. 13 anche se costituisce un dato inequivocabile, sottolineato dal ricorrente, che entrambe le norme sono state modificate dal medesimo D.lgs. 158/2015. Questo, da un lato, ha diversificato la reazione sanzionatoria penale in caso di indebita compensazione di crediti non spettanti (primo comma dell’art. 10-quater) o di crediti inesistenti (secondo comma); dall’altro ha modificato proprio l’art. 13 del D.lgs. 471/1997, estrapolando, dall’originaria indistinta fattispecie sanzionatoria dell’omesso versamento, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, dei versa menti in acconto, dei versamenti periodici, del versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, le specifiche condotte di “utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute”, for nendo, al contempo, la definizione di “crediti inesistenti” nei termini specificati dal comma 5 della norma (così Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022, Rv. 283236).
La sentenza n. 16353 del 21/02/2023 evidenzia che, proprio perché le norme sono state modificate con lo stesso testo normativo, il mancato richiamo dell’art. 13 nella fattispecie penale di indebita compensazione costituisce un forte argomento a sostegno della inapplicabilità della definizione di “credito inesistente” contenuta nella normativa tributaria.
3.2. A tale considerazione se ne aggiunge un’altra di ordine sistematico.
L’art. 13 del D.lgs. 471/1997 non definisce il “credito non spettante” e di certo non negli stessi termini indicati dal comma 5 della stessa norma, non richiedendone gli stessi presupposti di fatto (l’emersione, cioè, da una delle procedure di accertamento “semplificate”).
Ciò comporta che, seguendo una tesi differente e “ampliativa”, nella stessa disposizione convivrebbero irragionevolmente due diversi presupposti della medesima condotta: nel caso di utilizzazione di crediti non spettanti, non sarebbe richiesto il requisito della loro facile rilevabilità a seguito di uno dei controlli citati;
nel caso di compensazione con crediti inesistenti, tale requisito sarebbe invece richiesto, “con l’ulteriore, assurda conseguenza che la condotta più grave avrebbe un margine di applicazione (in conseguenza di presupposti non richiesti in caso di crediti non spettanti) addirittura meno ampio di quella meno grave”.
3.3. Alla stregua di tali rilievi, condivisi da questo Collegio, pertanto, il motivo di ricorso deve essere considerato come infondato.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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