CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20563 depositata il 17 luglio 2023
Tributi – Atto di contestazione – Rimborso IVA accelerato non spettante – Lavori di ristrutturazione e posa in opera – Immobile non ammortizzabile – Assenza verifica dell’ufficio – Illecito tributario senza richiesta del dolo specifico – Successione di leggi – Sanzionabilità della condotta – Principio favor rei – Accoglimento
Rilevato che
1. M.R. era attinta da atto di contestazione con il quale le veniva irrogata, per l’annualità 2006, una sanzione di Euro 20.900, ai sensi del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5.
La contribuente aveva presentato, in data 1° febbraio 2007, direttamente all’agente della riscossione, la richiesta di rimborso iva cd. accelerato ex d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 comma 3, lett. e), e 38-bis, per l’importo di Euro 38.000, erogato dall’agente stesso il 13 luglio 2007.
A seguito dei controlli, emergeva che alcune fatture di acquisto relative a lavori di ristrutturazione e posa in opera di impianti si riferivano ad un immobile non di proprietà della ditta della contribuente, perciò non iscrivibile come bene ammortizzabile e non rientrante nella previsione del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 comma 3, lett. e). In ragione di ciò, l’ufficio irrogava la predetta sanzione, equivalente all’ammontare del rimborso non spettante.
2. Proponeva ricorso la contribuente eccependo di non aver tenuto alcun comportamento fraudolento, doloso o colposo, tale dal renderlo punibile ex d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5.
3. La CTP di Lecce, con sentenza 570/01/2013, rigettava il ricorso, sul fondamento dell’esperibilità solo successiva dei controlli rispetto alla richiesta di rimborso.
4. Proponeva appello la contribuente.
5. La CTR della Puglia-Sezione distaccata di Lecce, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il gravame così motivando:
(…) la contribuente non ha arrecato alcun danno all’erario per il rimborso del credito, di cui trattasi, in considerazione del fatto che l’amministrazione finanziaria aveva il dovere di effettuare i relativi controlli anteriormente alla sua esecuzione. Quindi, non essendosi verificato alcun danno per l’erario per colpa imputabile alla contribuente signora M.R., il Collegio accerta la totale fondatezza delle doglianze racchiuse (nell’atto d’appello).
(…) assume particolare rilevanza (…) l’ordinanza n. 15938/10 (della S.C. secondo cui) … il fatto che sarebbe sanzionato appare riconducibile non già al comportamento proprio del contribuente, bensì ad un errore dell’ufficio, che avrebbe dovuto verificare con più attenzione la spettanza del rimborso e quindi negarlo se non dovuto…’.
È inoltre doveroso precisare che il sistema delle sanzioni in materia tributaria (…) preclude all’ufficio di applicare la sanzione prevista per l’omesso versamento, totale o parziale, dell’imposta (n)ell’ipotesi in cui il contribuente, come nel caso di specie, ottenga un rimborso non dovuto in assenza di un’attenta verifica dell’ufficio.
6. Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo. La contribuente resta intimata.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
1.2. Secondo la CTR, “l’ufficio imprudentemente aveva erogato il rimborso iva, senza prima procedere a verificarne l’effettiva spettanza, e tenuto conto che la richiesta di rimborso iva della sig.ra M.R. non aveva arrecato alcun danno all’Erario per colpa imputabile alla medesima”. “Il rimborso iva cd. ‘accelerato era stato chiesto dalla sig.ra M.R. direttamente al concessionario della riscossione (ai sensi del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38bis) e in tale circostanza, visti i tempi ridotti per l’erogazione, i controlli dell’ufficio sono stati posti in essere necessariamente dopo che il contribuente aveva percepito rimborso. Di conseguenza, dopo l’esame della documentazione richiesta ai fini del controllo, l’ufficio, riscontrata nel merito l’inesistenza del presupposto normativo del rimborso, ha notificato l’atto di contestazione n. (Omissis), irrogando la sanzione per l’importo di Euro 20.900,00, pari alla misura del(la parte di) rimborso non spettante, prevista dal d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, per carenza della condizione di cui alla lettera c) del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 comma 3”.
2. Il motivo è fondato.
2.1. Sez. 5, n. 16422 del 05/08/2016, Rv. 640657-01, condivisibilmente, insegna, in motivazione (parr. 9 ss.), quanto segue:
5. Il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 5, dispone – nella versione vigente “ratione temporis” – che “chi, in difformità della dichiarazione, chiede un rimborso non dovuto o in misura eccedente il dovuto, è punito con sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della somma non spettante”.
7. Questa Corte in proposito ha già avuto occasione di rilevare: a) che la condotta sanzionata dalla suddetta disposizione normativa, consistente nella richiesta di rimborso d’imposta non dovuta o eccedente il dovuto, integra una violazione di pericolo (bastando la mera richiesta in sé, e non occorrendo la percezione del rimborso), con la conseguenza che essa non può essere considerata meramente formale e non sanzionabile ai sensi della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 comma 3, in quanto la presentazione di simile richiesta in dichiarazione è astrattamente idonea a determinare, in caso di accoglimento, un debito di imposta” (Cass. ord. n. 13888 del 2013); b) che, “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione della responsabilità del contribuente per aver chiesto un rimborso IVA in misura eccedente il dovuto, per difformità dalla dichiarazione, non è richiesto l’accertamento di un intento fraudolento, in quanto il d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, configura l’illecito tributario senza richiedere il dolo specifico, e il d.lgs. n. 472 del 1997, art. 5 comma 1, applicando alla materia fiscale il principio di cui alla l. n. 689 del 1981, art. 3 ritiene sufficiente, ai fini della punibilità, l’elemento psicologico della colpa, peraltro presunta a carico di colui che abbia consapevolmente e volontariamente posto in essere l’atto vietato” (Cass. n. 4171 del 2009; n. 14030 e n. 14042 del 2012; n. 11639 del 2013); c) che, alla luce dei richiamati principi, merita di essere cassata la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che abbia ritenuto sufficiente, per escludere la punibilità, una rettifica della dichiarazione difforme presentata un mese dopo l’istanza di rimborso (Cass. n. 3098 del 2014).
9. Alla luce di quanto precede, non può essere condiviso l’assunto del giudice d’appello per cui la norma in questione si limiterebbe a punire solo le condotte rispondenti alla seguente “sequenza temporale: 1. presentazione della dichiarazione dei redditi; 2. formulazione delle richieste di rimborso illegittime; 3. accertamento di conformità delle seconde rispetto alla prima; 4. eventuale applicazione della sanzione” (…).
2.2. Preso atto di tale insegnamento (costante nel tempo: analogamente, cfr. già Sez. 5, n. 13888 del 31/05/2013), e considerato che, anche in caso di rimborso accelerato di cui alla l. n. 413 del 1991, art. 78 (nel conto fiscale per i titolari di partita iva), l’ufficio non è affatto inibito dal procedere ai (dovuti) controlli per il riscontro dei presupposti sostanziali nei termini di accertamento ex d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 5 giacché detto rimborso costituisce una modalità “alternativa e(d) autonoma rispetto a quella stabilita in via generale” (Sez. 5, n. 14506 del 29/07/2004, Rv. 575098-01), senza però incidere sui poteri di verifica (viepiù, secondo la non condivisibile tesi della CTR, drasticamente ed immotivatamente menomandoli), la sentenza impugnata va annullata e cassata.
2.2.1. Quanto al seguito decisionale, come rilevato dalla ricorrente, gli esiti degli effettuati controlli, dimostrativi della violazione, non sono contestati dalla contribuente.
2.2.2. Nondimeno, in ragione delle modifiche che hanno investito il d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, deve disporsi rinvio al giudice di merito.
2.2.3. Sul punto, invero, non automaticamente condivisibile appare l’avviso della ricorrente, la quale dà per scontata la sussistenza di continuità normativa tra le due versioni del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, rispettivamente, antecedente e successiva alla sostituzione operata dal d.lgs. n. 158 del 2015, art. 15 comma 1, lett. e), n. 3, (con la decorrenza indicata nell’art. 32, comma 1, del medesimo D.Lgs., come modificato dalla l. n. 208 del 2015, art. 1 comma 133), paventando l’errore della CTR nell’aver annullato “tout court” l’atto di contestazione, anziché, eventualmente, rideterminare “in melius” le sanzioni sulla base della novella.
2.2.4. Il “thema” è strutturalmente più complesso.
La versione precedente del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, recitava: “Chi, in difformità della dichiarazione, chiede un rimborso non dovuto o in misura eccedente il dovuto, è punito con sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della somma non spettante”.
La versione successiva recita: “Chi chiede a rimborso l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti individuati dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 è punito con la sanzione amministrativa pari al trenta per cento del credito rimborsato”.
L’elemento strutturale che, concentrando su di sé il totale disvalore del fatto tipico, consente di ritenere la versione successiva in linea di continuità non la precedente è costituito dalla condotta, medesimamente descritta nelle due versioni come “richiesta” del “rimborso”: un rimborso non dovuto o eccedente il dovuto, nella versione precedente, ovvero mancante dei presupposti del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 il che equivale a dire, egualmente, non dovuto, nella successiva.
Quanto precede è sufficiente a consentire di sussumere il fenomeno in esame nella categoria della successione di leggi, rilevante ai fini della perdurante sanzionabilità della condotta, la quale ultima, rappresentando il precipitato del fatto tipico, attraversa invariata le due versioni.
A tale conclusione non osta la circostanza che, nella versione precedente, la richiesta dovesse essere fatta “in difformità dalla dichiarazione”, mentre, nella successiva, debba riguardare l'”eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione” e, quindi, debba essere fatta in conformità alla dichiarazione. Il profilo della difformità o conformità alla dichiarazione non rientra tra gli elementi di struttura della fattispecie, essendo collegato unicamente alle mutate modalità di richiesta di rimborso: in passato, la richiesta era presentata direttamente al concessionario della riscossione, persino a prescindere dalla presentazione della dichiarazione; attualmente, è effettuata in sede dichiarativa, ossia proprio mediante la dichiarazione, con conseguente possibilità di immediato riscontro, ciò che – unitamente al fatto che l’eccedenza è nella sostanza maturata, ma non ricorrono i presupposti di rimborsabilità – rende ragione di un trattamento sanzionatorio assai più lieve.
Nondimeno – ed in ciò la tesi agenziale dell’automatica continuità tra versione precedente e successiva non pare centrata – proprio perché sono mutate le modalità di effettuazione della richiesta, a misura che, in concreto, come nella specie, la richiesta sia stata fatta, nella vigenza del pregresso sistema, all’agente della riscossione, dovrà tenersi conto, oltreché della non dovutezza (di almeno parte) del rimborso, della difformità dalla dichiarazione quale condizione per rendere in allora sanzionatoriamente rilevante la condotta di richiesta del rimborso: diversamente si perderebbe un indice di coerenza della condotta rispetto al contesto normativo “ratione temporis” disciplinante il rimborso, ampliando ora per allora (e dunque attraverso un’inammissibile operazione di estensione retroattiva “in peius”) l’area delle condotte sanzionabili.
A chiusura della superiore disamina, par d’uopo enunciare il seguente principio di diritto:
“La sostituzione del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. e), n. 3, con la decorrenza indicata nell’art. 32, comma 1, del medesimo D.Lgs., come modificato dalla l. n. 208 del 2015, art. 1 comma 133, realizza un fenomeno di continuità normativa ai fini dell’applicazione del principio del “favor rei”, in assenza di norme derogatorie dei principi generali di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 3 attesa la persistente illiceità del fatto tipico, integrato dall’identica condotta – siccome prevista sia dalla precedente che dalla successiva versione dell’art. 5, comma 5, cit. – di richiesta di un rimborso in tutto o in parte indebito per difetto dei presupposti, con conseguente continuità strutturale tra l’originaria fattispecie e le modifiche sopravvenute; tuttavia, considerati i differenti contesti disciplinari caratterizzanti i meccanismi di richiesta dei rimborsi, tali per cui odiernamente la richiesta è contenuta in dichiarazione, mentre in passato era formulata direttamente all’agente della riscossione a prescindere dalla dichiarazione, affinché la condotta di richiesta di un rimborso in tutto o in parte indebito fatta, secondo le disposizioni “ratione temporis vigenti”, a detto agente seguiti ad avere rilevanza sanzionatoria, deve essere integrato il presupposto, coerente con il meccanismo di richiesta di rimborso in allora vigente, della difformità di questa dalla dichiarazione, espressamente previsto dalla previgente formulazione dell’art. 5, comma 5, cit.“.
2.2.5. In applicazione di tale principio, la sentenza impugnata deve essere annullata e cassata con rinvio, affinché il nuovo giudice valuti la sussistenza del presupposto della difformità dalla dichiarazione della richiesta di rimborso presentata dalla contribuente, ai sensi della precedente versione del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, e, in dipendenza da tale accertamento, la ricorrenza delle condizioni per la rideterminazione dell’ammontare della sanzione irrogata, in applicazione del principio del “favor rei”, a seguito della modifica del d.lgs. n. 471 del 1997, art. 5 comma 5, giusta il d.lgs. n. 158 del 2015, art. 15 comma 1, lett. e), n. 3; a detto giudice spetterà, all’esito, di altresì regolare le spese, ivi comprese quelle del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, annulla e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria della Puglia per nuovo esame e per le spese.