CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18664
Contratto di agenzia – Differenze provvigionali e competenze di fine rapporto maturate – Illegittimità delle clausole del contratto in tema storno delle provvigioni erogate all’agente – Contratti non andati a buon fine – Cause non imputabili alla preponente, recesso anticipato del cliente, mancato raggiungimento dei livelli di fatturato previsti – Sussiste
Rilevato che
A.D.P. proponeva appello avverso la sentenza emessa il 18.2.10 dal Tribunale di Roma con cui erano state respinte le sue domande nei confronti della W.T. s.p.a., di cui fu agente dal gennaio 2007 sino al suo recesso per giusta causa (29.7.08), dirette ad ottenere la condanna della società al pagamento delle differenze provvigionali e competenze di fine rapporto maturate. Censurava in particolare l’omessa o comunque erronea pronuncia del primo giudice in ordine alla dedotta illegittimità delle clausole del contratto di agenzia in tema di storno delle provvigioni erogate all’agente, storno previsto sia in caso di contratti non andati a buon fine per cause non imputabili alla preponente, sia in caso di recesso anticipato del cliente, sia in caso di mancato raggiungimento dei livelli di fatturato previsti in contratto, in contrasto con l’art. 1748 c.c.
La società rimaneva contumace.
Con sentenza depositata il 21.9.15, la Corte d’appello di Roma, disposta c.t.u. contabile, accoglieva il gravame, condannando la società W. al pagamento di € 12.400 per differenze provvigionali, € 22.250 per indennità di mancato preavviso ed € 2.470 a titolo di competenze di fine rapporto, oltre accessori di legge.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società W., affidato a quattro motivi, cui resiste il D.P. con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1748 e 1362 c.c., evidenziando che il contratto di agenzia, liberamente sottoscritto dalle parti, prevedeva lo storno (e dunque il postumo mancato riconoscimento) delle provvigioni nei casi previsti dai punti 2.1 e 2.2 dell’AII. C) del contratto, e segnatamente in caso di mancato raggiungimento, da parte del cliente, di un fatturato di 30 (in caso di sim ‘fonia’) o 20 €. (in caso di sim dati), oltre al caso di disdetta entro sei mesi dall’attivazione da parte del cliente, sicché in presenza di tali ipotesi lo storno doveva ritenersi legittimo in quanto riferibile alla mancata esecuzione del contratto per cause non imputabili alla società.
Il motivo è infondato in quanto l’art. 1748, co.6, c.c. prevede che:
“L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. E nullo ogni patto più sfavorevole all’agente”.
E’ evidente che nelle ipotesi contrattuali sopra riportate non si sia verificata alcuna mancata esecuzione del contratto, ma solo il mancato raggiungimento di taluni obiettivi di politica aziendale.
2. – Con secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. per avere la Corte di merito ritenute nulle, per indeterminatezza dell’oggetto, le clausole che prevedevano lo storno in caso di disconoscimento del contratto o di frode, mentre una interpretazione rispettosa dei canoni di ermeneutica avrebbe imposto di attribuirvi il significato desumibile dal contesto del contratto avente ad oggetto contratti di telefonia mobile.
Il motivo, prima che infondato non essendo chiara la lamentata violazione dei canoni di ermeneutica, è inammissibile non essendo dedotto e chiarito in questa sede se e quali provvigioni siano state stornate per tale ragione.
A tale riguardo converrà rammentare che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci un vizio della sentenza impugnata in ordine alla valutazione di un documento, ha l’onere di indicare specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone inoltre (ai fini di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.) la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez.un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915; Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569).
Nella specie il contratto non risulta neppure prodotto o depositato.
Deve al riguardo precisarsi che la pur indicata collocazione all’interno dei fascicoli di causa, se vale ad escludere l’improcedibilità del motivo (Cass. sez. un. n. 22726\11), non ne esclude, secondo l’autorevole pronuncia, l’inammissibilità ex art. 366, n. 6 c.p.c. per difetto di qualsivoglia specificazione del documento indicato, nel senso di chiarire il suo contenuto ovvero “di trascriverlo nella sua completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza” (Cass. ord. 16.3.12 n. 4220; Cass. 9.4.13 n. 8569: In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame).
3. – Con terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Espone che la sentenza impugnata ritenne legittime una serie di ipotesi contrattuali di storno, giungendo tuttavia alla contraddittoria conclusione che anche esse non potevano dar luogo al recupero di provvigioni.
Anche tale motivo presenta profili di inammissibilità (per le ragioni sopra esposte), per altro verso è infondato avendo i giudici ritenuto non provati i fatti posti a base delle ipotesi contrattuali in questione, evidenziando inoltre che nei documenti prodotti non erano neppure indicate le causali dei vari storni.
4. – Con quarto motivo la società denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ravvisato nell’errore del c.t.u. contabile nella valutazione delle partite di dare e avere tra le parti.
Il motivo è evidentemente inammissibile non concretando alcun omesso esame di fatti storici le valutazioni del c.t.u. (che peraltro non risulta ritualmente contestata in sede di gravame, né prodotta in questa sede), né la loro condivisione da parte del giudice.
5. – Con quinto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.), ed in particolare per ultrapetizione.
Il motivo è inammissibile in quanto la società non deduce con chiarezza in cosa sia consistita tale lamentata ultrapetizione, se non, ancora una volta, contestando calcoli contabili suffragati da apposita c.t.u., e risultando, come del resto ammette la stessa ricorrente, che i giudici di appello non riconobbero alcunché all’agente a titolo di recupero di provvigioni stornate.
6. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del D.P., dichiaratasi anticipante.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. I.N.. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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