CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 marzo 2018, n. 5721
Tributi – IVA – Detrazione – Premi impegnativa – Somme riconosciute a titolo di premio per il raggiungimento di determinati obiettivi – Assenza di vincoli di risultato per il mandatario – Mancanza di una controprestazione – Indetraibilità dell’imposta
Fatti di causa
La Gruppo F. s.p.a. impugnò, innanzi alla Ctp di Milano, un avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rettificò la dichiarazione Iva presentata per il 2004, riprendendo a tassazione l’imposta portata in detrazione in ordine ai “premi impegnativa” corrisposti dalla “N.N.P.” s.r.I., quale società concessionaria di pubblicità (poi incorporata dalla controricorrente) alla A.M.I. s.p.a., in quanto ritenuti premi fedeltà versati a titolo gratuito, senza alcuna assunzione di obbligazioni da parte dei clienti, escludendo dunque la relativa detraibilità.
La Ctp accolse il ricorso.
L’Agenzia propose appello, contestando la natura onerosa del versamento delle somme corrisposte alla A.M.I. s.p.a.
La Ctr rigettò l’appello, confermando la motivazione del giudice di primo grado.
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.
Resiste la Gruppo F. s.p.a. con controricorso, eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso; l’intimata ha presentato altresì memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate ha denunciato l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione al profilo relativo alla ritenuta sussistenza, tra la Gruppo F. s.p.a. e la A.M.I. s.p.a., di un contratto a titolo oneroso da cui nasceva un obbligo di prestazione a carico della seconda, pagato dalla prima con il premio suddetto, con riferimento all’art. 360,1°c., n.5, c.p.c.
Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2, comma 3, e 3, comma 1, del d.p.r. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 1362 e 2697 cod. civ., deducendo che gli accordi intercorsi tra le imprese concessionarie ed il centro media (cioè la società A.M.) non contemplavano alcun vincolo per quest’ultima al procacciamento di affari. Il Centro medio, infatti, agiva solo su mandato del cliente inserzionista, utilizzatore della pubblicità, nel cui esclusivo interesse opera, e non su richiesta della società concessionaria, la quale non era tenuta a corrispondere alcun corrispettivo, ma solo un premio finale per il vantaggio conseguito al raggiungimento di determinati obiettivi in termini di volume d’affare.
Anzitutto, occorre esaminare l’eccezione preliminare d’improcedibilità ed inammissibilità del ricorso.
La società controricorrente ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per violazione dell’art. 369, comma 2, c.p.c., per omesso deposito della sentenza notificata, con la relata di notificazione, nonché l’inammissibilità per violazione dell’art. 366, comma 1, n.6, c.p.c., in quanto, nell’ipotesi di deposito della sentenza notificata, la parte ricorrente ne ha omesso l’indicazione.
Le eccezioni sono infondate. Dagli atti si desume che è stata depositata la copia autentica della sentenza impugnata e la connessa relata di notificazione; inoltre, l’omessa indicazione della relata di notificazione della sentenza nel ricorso non ne è motivo d’inammissibilità, poiché tale indicazione non è richiesta dal n.6 dell’art. 366, che riguarda i soli atti processuali su cui il ricorso stesso si fonda, al fine di garantire il principio di autosufficienza, I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono da accogliere.
Nella decisione impugnata la qualificazione del rapporto negoziale intercorrente tra le parti in termini di contratto a titolo oneroso si fonda sul riferimento ad uno studio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (secondo cui i premi in esame costituiscono una forma di pagamento dell’attività di intermediazione svolta a favore dei concessionari di pubblicità dai centri media) e sulla corrispondenza tra le imprese raccolta nel corso degli accertamenti da cui emergerebbe l’impegno, «pur non formalizzato in un contratto», di remunerare l’attività di servizio svolta dal Centro media.
Lo studio indicato, come è ammesso dalla stessa sentenza della Commissione Tributaria Regionale, costituisce solo un “contributo di conoscenza”, avente, dunque, un contenuto generale con riferimento alle prassi di mercato, piuttosto che essere relativo al caso di specie.
Dalla corrispondenza indicata, invece, può desumersi solo l’esistenza dell’impegno della Gruppo F. s.p.a. di pagare un premio alla A.M.I. s.p.a. per il raggiungimento di un certo fatturato, ma non l’assunzione di un obbligo di prestazione da parte di quest’ultima società.
Tale impegno integra una promessa unilaterale, che non risulta legata all’assunzione di una controprestazione del destinatario, che, difatti, non era tenuta a procacciare un determinato numero dì clienti (Cfr., in questi termini, Cass., n. 24510-2015; n. 24789/2015; n. 17021/2014).
Dagli atti di causa non si desume altresì alcun elemento che dimostri la stipula di un accordo contrattuale sinallagmatico tra le due società; al riguardo, la citata motivazione adottata dalla Ctr muove dal presupposto indimostrato che i Centri Media svolgano un servizio di procacciamento di clientela dietro corrispettivo, nell’ambito dello schema contrattuale sinallagnnatico, propugnando un’interpretazione dei rapporti contrattuali delle parti, riguardo alle norme tributarie, che assume carattere puramente tautologico.
Pertanto, la Ctr ha violato le norme che disciplinano l’interpretazione contrattuale, ritenendo che tra le parti fosse stato stipulato un contratto oneroso a prestazioni corrispettive.
Inoltre, circa il secondo motivo, da quanto esposto consegue che non sussiste il presupposto impositivo individuato dall’art. 3, 1° comma, del d.p.r. 633 del 1972, in una prestazione di servizio “verso corrispettivo” dipendente da un contratto od altro titolo idoneo a vincolare obbligatoriamente le parti: all’obbligazione unilaterale di corrispondere un “premio”, assunta dalla società ricorrente a condizione del verificarsi di un evento futuro ed incerto (nella specie il raggiungimento di un fatturato superiore ad un ammontare determinato), infatti, non corrispondeva alcuna assunzione di un’obbligazione di facere (o comunque avente ad oggetto una prestazione di servizi) a carico del soggetto destinatario del premio, restando questo del tutto libero di attivarsi o meno per conseguirlo.
La mancata realizzazione del risultato o il mancato procacciamento di clienti o ancora il mancato svolgimento dell’attività di intermediazione non integrava a carico di A.M.I. s.p.a. una responsabilità per inadempimento contrattuale.
Il negozio tra le parti, più specificamente, deve essere qualificato come proposta contrattuale con obbligazioni a carico di una sola parte, sottoposta alla condizione sospensiva dell’avveramento dell’evento indicato (realizzazione di un determinato fatturato), non ostandovi la nullità prevista dall’art. 1355 c.c. concernente l’apposizione della condizione sospensiva meramente potestativa, perché il verificarsi dell’evento non è rimesso alla volontà “mera” di una delle parti contraenti, ma è rimesso ad un soggetto (il destinatario della proposta) che non riveste attualmente, al momento della ricezione della proposta irrevocabile ex art. 1333 c.c. la qualità di parte contraente-obbligata all’adempimento di una prestazione (ma soltanto quella di oblato, cui è rimessa la scelta di impedire la conclusione del contratto unilaterale mediante comunicazione del proprio rifiuto ex art. 1333 cod. civ.).
Si tratta di un contratto atipico non sinallagnnatico che neppure in conseguenza dell’avveramento dell’evento si trasforma in un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso, in quanto il risultato del raggiungimento di un determinato fatturato mediante l’attività svolta dalla A.M.I. è stato dedotto in contratto come condizione e non come obbligazione.
Il premio, pertanto, non può essere qualificato come “corrispettivo” ai sensi dell’art. 3, 1° comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 e va piuttosto configurato come mera cessione di denaro, non assoggettabile ad IVA ai sensi dell’art. 2, 3° comma, lett. a), del d.p.r. n. 633 del 1972. Tali norme tributarie sono pienamente conformi alle disposizioni comunitarie dettate dalla VI direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977, (e succ. mod.) che utilizza il criterio distintivo degli atti negoziali “a titolo gratuito” ed “a titolo oneroso” per individuare il presupposto impositivo dell’Iva; invero, a norma dell’art. 2, VI direttiva, “sono soggette all’imposta sul valore aggiunto: 1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; 2. le importazioni di beni (Cass., n. 24510/2015).
Al riguardo è giurisprudenza costante che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva, soltanto quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagnnatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo (Corte giust. in causa C-653/11, punto 40; 27 marzo 2014, causa C-151/13, Le Rayon d’Or, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata).
Questa nozione di prestazione di servizi si riflette nel diritto interno, giacché secondo l’art. 3 del d.p.r. n. 633/72 «costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da…» (sulla necessaria sinallagmaticità delle prestazioni di servizi, per la loro imponibilità ai fini dell’Iva, Cass., Sez.Un., 15 marzo 2016, n. 5078).
Pertanto, l’assoggettabilità ad Iva delle prestazioni di servizi presuppone: a) la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali; b) la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui ricevuto.
Alla luce di quanto esposto emerge l’erroneità della decisione impugnata, secondo cui, pur non sussistendo contratti scritti tra la ricorrente e la A.M.I. s.p.a., i diritti di negoziazione sono da qualificare come corrispettivi tipici “che appartengono al modello dei contratti di intermediazione, in quanto i Centri Media svolgono un vero e proprio servizio di procacciamento di clientela, vale adire prestano servizi dietro corrispettivi, che realizzano il presupposto del tributo”.
Invero, i versamenti di denaro alla A.M.I. non sono avvinti dal vincolo della corrispettività ad un obbligo della Gruppo F. s.p.a. ma costituiscono oggetto di un’obbligazione onerosa gravante su quest’ultima società il cui ammontare è commisurato all’importo complessivo annuo del fatturato afferente all’investimento pubblicitario, cui però non corrisponde un’obbligazione sinallagmatica a carico della stessa A.M.I. s.p.a. Pertanto, la Ctr non ha fatto corretta applicazione delle norme tributarie afferenti al presupposto dell’imponibile Iva.
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Ctr, anche per le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia alla Ctr della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.
Si da atto che la relazione preliminare alla seguente sentenza è stata estesa dal dott. L.G., magistrato con funzioni di assistente di studio presso la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
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