CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2018, n. 32043
Licenziamento disciplinare – Guardiano turnista – Violazione delle regole di sicurezza – Valutazione della complessiva gravità delle inadempienze del lavoratore
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Udine che aveva rigettato l’impugnativa proposta da M.M. avverso il licenziamento disciplinare intimatogli da N.S. s.p.a. con lettera del 24/11/2010. Il licenziamento faceva seguito a contestazione disciplinare con la quale si addebitavano al M., guardiano turnista, fatti avvenuti la sera del 16 novembre 2010, quando il direttore di stabilimento, durante un’ispezione notturna, lo individuava con la propria auto nel piazzale antistante il refettorio da solo, in violazione delle regole di sicurezza che impongono di essere sempre in due durante il turno notturno, ed egli dichiarava di non sapere dove si trovasse il proprio compagno di turno e, invitato a spostare la propria auto in luogo consono, invitava il direttore di stabilimento a non essere polemico; successivamente, all’interno del refettorio e colà rinvenuta una sedia a sdraio, richiesto di chi fosse, inizialmente non rispondeva e successivamente la scagliava contro un tavolo e apostrofava il direttore di stabilimento dicendo: “vaffanculo, sei qui a rubare lo stipendio, vai a letto a dormire, vaffanculo”.
2. Per la cassazione delle sentenza M.M. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso N.S. S.p.A.
Considerato che
1. come primo motivo il ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia e lamenta che la Corte d’appello abbia valorizzato il fatto dell’introduzione non autorizzata della sedia a sdraio all’interno dell’azienda, senza avvedersi che la lettera di contestazione non attribuiva alcuna valenza disciplinare a tale fatto, mentre l’essere stato colto nel sonno durante l’orario di lavoro era stato oggetto di precedente contestazione riferita a fatto del 14/11/2010. Sostiene inoltre che la condotta non avrebbe costituito insubordinazione, essendosi egli limitato a non riferire di chi fosse la branda.
2. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 421 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 e lamenta che sia stata valorizzata la dichiarazione resa da Natalino Moro in ordine all’episodio del 16/11/2010, laddove il teste era incapace di testimoniare perché dotato di procura institoria per rappresentare la società in giudizio in relazione all’oggetto di esso.
3. Il primo motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha esattamente compreso quale fosse l’addebito oggetto della lettera di licenziamento, ed ha considerato l’intera condotta realizzata dal lavoratore, in coerenza con i principi che costituiscono stabile approdo di questa Corte, secondo i quali per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n. 1595/2016, 25608/2014 e 7394/2000). Nell’ambito di tale valutazione, la condotta anteatta (quale, nel caso, il fatto che appena due giorni prima egli fosse stato sorpreso a dormire in refettorio durante il turno e disteso su una branda, a luci spente e con una mascherina sigli occhi, e che, malgrado la contestazione del fatto, egli non avesse rimosso la brandina ma l’avesse nascosta in locale attiguo) può apportare significativi elementi di valutazione, sia a favore che a danno del dipendente, né risulta in tal senso violato il principio di immutabilità della contestazione, che, secondo quanto già chiarito da questa Corte, preclude al datore di lavoro di licenziare per motivi diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività degli addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio (così Cass. n. 1145 del 19/01/2011). Sicché, nel caso, la natura di insubordinazione della condotta realizzata il giorno 17 era avvalorata dalla personalità volutamente inottemperante alle disposizioni aziendali già manifestata in relazione al precedente addebito.
4. Il secondo motivo è inammissibile: il giudice di merito non ha considerato la risposta l’interrogatorio libero del M. come l’unico elemento da cui risultava la fondatezza dell’addebito, ma come concordante rispetto alle ulteriori emergenze. Il motivo di ricorso ripropone la valutazione delle circostanze fattuali in merito alla condotta realizzata che la Corte di merito, confermando il giudizio del primo giudice, ha già effettuato e riportato con motivazione congrua. Esso incorre quindi in violazione della previsione del quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. (v. Cass. n. 5528 del 10/03/2014, n. 26774 del 22/12/2016) e chiede un vaglio di legittimità sulla ricostruzione dei fatti che esorbita dai limiti delineati da Cass. S.U. 07/04/2014, n. 8053 e 8054. 5. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, cui le parti non hanno opposto memorie, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ..
6. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.
7. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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