CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2018, n. 22117
Amministrazione straordinaria – Domanda di insinuazione per l’indennità di mancato preavviso – Accoglimento – Dimissioni per giusta causa per il demansionamento subito – Valutazione della idoneità della condotta del datore di lavoro sotto il profilo del demansionamento quale accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito – Ricorso inammissibile
Fatti di causa
A. S. propose opposizione avverso lo stato passivo della E. s.p.a., in amministrazione straordinaria, nel quale era risultata respinta la per l’indennità di mancato preavviso, premi incentivo maturati, ferie non godute, trattamento di fine rapporto, nonché per il risarcimento del danno subito, a seguito delle sue dimissioni dal rapporto di lavoro alle dipendenze della società poi ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, per giusta causa dovuta al demansionamento cui era stato sottoposto.
Con decreto depositato il giorno 19 settembre 2013, il Tribunale di Arezzo accolse parzialmente l’opposizione, ammettendo al concorso, in via privilegiata, le somme dovute a titolo di indennità di mancato preavviso, attesa la giusta causa delle dimissioni per il demansionamento subito; respinse invece le ulteriori pretese risarcitorie, in difetto di prova del danno non patrimoniale subito a seguito del mutamento delle mansioni, nonché in relazione ai premi incentivo e alle ferie non godute, oltre alle differenze per trattamento di fine rapporto, affermando che non era stata raggiunta la prova dell’effettivo raggiungimento degli obbiettivi previsti.
Avverso il detto decreto del Tribunale di Arezzo, E. s.p.a., in amministrazione straordinaria, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste A. S. con controricorso e ricorso incidentale fondato su quattro mezzi.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.l c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale deduce la ricorrente E. s.p.a. violazione dell’art. 2103 c.c., poiché le mansioni cui era stato destinato il lavoratore con il nuovo incarico erano equivalenti a quelle rivestite in precedenza, dovendosi escludere qualsivoglia suo demansionamento.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, in tema di mansioni del lavoratore, la valutazione della idoneità della condotta del datore di lavoro sotto il profilo del demansionamento a costituire giusta causa di dimissioni del lavoratore ex art. 2119 c.c. si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 11/07/2005, n. 14496).
E nella vicenda all’esame la ricorrente, assumendo una violazione di legge, in realtà intende sottoporre a revisione critica, in maniera inammissibile, l’accertamento in fatto – congruamente e logicamente motivato – operato dal giudice di merito sulla scorta dell’istruttoria acquisita, che le mansioni di engagement manager svolte in precedenza dal Sospetti vennero revocate, attribuendo al medesimo compiti di minore responsabilità tali da costituire un vero e proprio demansionamento.
2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e dell’art. 2967 c.c., poiché l’onere del datore di lavoro di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore, è imposto nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa.
2.1. Il motivo è infondato, anche se la motivazione resa dal tribunale merita di essere corretta ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
È noto che secondo l’orientamento più recente di questa Corte, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, il datore di lavoro ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. 08/03/2016, n. 4509).
Se, allora, soltanto l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse, ma equivalenti, ne giustifica il licenziamento, allo stesso modo deve ritenersi che le dimissioni del lavoratore saranno sempre accompagnate da una giusta causa, quando il datore di lavoro, senza ottenerne previamente il consenso abbia operato un demansionamento del lavoratore, in luogo dell’unica alternativa costituita dal suo licenziamento.
Dunque, ha errato il tribunale nel ritenere che E. s.p.a. avrebbe dovuto dimostrare l’impossibilità di collocare il lavoratore in mansioni equivalenti, ovvero addirittura inferiori, per la decisiva considerazione che nel caso di impossibilità del c.d. repechage, il datore di lavoro può senz’altro licenziare il lavoratore, ma non può comunque unilateralmente adibirlo ad una mansione inferiore.
Con il risultato che al fine di accertare l’esistenza di una giusta causa del recesso esercitato dal lavoratore, diviene del tutto irrilevante ogni indagine sulle possibilità di un suo “ripescaggio” in azienda, dovendosi esclusivamente verificare se vi sia stata una variazione in peius delle mansioni, non accompagnata dal consenso prestato dal lavoratore.
3. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato Alfredo Sospetti denuncia vizio di motivazione, ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., poiché il tribunale ha omesso di considerare che le mansioni ricoperte prima del demansionamento subito erano state assegnate ad altri lavoratori.
3.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.
4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale deduce violazione dell’art. 2712 c.c., dell’art. 421 c.p.c., nonché vizio di motivazione, ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., poiché il giudice di merito ha omesso di considerare che la documentazione in atti dimostrava il raggiungimento degli obiettivi stabiliti per ottenere i premi incentivo per il biennio 2004-2005.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale assume violazione degli artt. 2099 e 2697 c.c., nonché dell’art. 167 c.p.c., poiché in relazione ai premi incentivo per gli anni 2006 e 2007, non avendo l’azienda fissato nuovi obbiettivi, dovevano ritenersi applicabili quelli vigenti nel biennio precedente.
4.1. I due motivi, meritevoli di esame congiunto, sono entrambi inammissibili.
E invero, il tribunale ha accertato con motivazione congrua in punto di fatto, da un lato, che i premi incentivo nel biennio 2006- 2007 non erano stati neppure fissati da E. e, dall’altro lato, che la documentazione versata in atti dall’opponente non era idonea a dimostrare che, nel biennio 2004-2005, i lavoratori della società – e il Sospetti in particolare – avessero maturato il diritto a percepire i detti premi incentivo.
Siffatte conclusioni non possono essere sindacate in sede di legittimità, proponendo alla corte una diversa lettura della documentazione probatoria offerta; né può sottoporsi a critica la valutazione del giudice di merito in ordine alla inidoneità di schede trasmesse via mail, prive di qualsivoglia sottoscrizione di soggetti riferibili ad E., a dimostrare il raggiungimento degli obbiettivi fissati dall’azienda.
5. Con il quarto motivo del ricorso incidentale lamenta violazione dell’art. 2120 c.c., considerato che il tribunale ha erroneamente respinto la domanda di insinuazione al passivo, relativamente alla quota di trattamento di fine rapporto maturata sulle indennità di mancato preavviso pure spettanti.
5.1. Il motivo è fondato, nei limiti di cui si dirà.
Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che la domanda di ammissione allo stato passivo per differenze sul trattamento di fine rapporto venne avanzata dall’opponente, non soltanto in relazione ai crediti vantati per i premi incentivo maturati tra il 2004 e il 2007, le ferie non godute e gli altri emolumenti contrattuali vantati – per i quali il lavoratore non ottenne alcuna ammissione al concorso -, ma pure per le somme dalla società, poi in amministrazione straordinaria, non corrisposte a titolo di indennità per mancato preavviso e, per la medesima causale, trattenute dal datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Ora, secondo l’orientamento ormai nettamente prevalente di questa Corte, il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria (Cass. 06/06/2017, n. 13988; Cass. 04/11/2010, n. 22443; Cass. 05/10/2009, n. 21216; Cass. 11/06/2008, n. 15495), sicché nell’ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva, la quale quindi non rientra nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, non riferendosi ad un periodo lavorato dal dipendente (così Cass. n. 21216 del 2009, cit.).
Nella vicenda all’esame, dunque, ha errato il tribunale nel ritenere che nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto spettante al Sospetti non dovesse tenersi conto delle somme oggetto di ammissione al concorso, in quanto, pure esclusa, per le ragioni anzidette, l’indennità di mancato preavviso, andavano comunque considerate ai fini della determinazione del TFR, le somme (pari ad euro 13.795,50) indebitamente trattenute dal datore di lavoro proprio a titolo di indennità sostitutiva, poi ammesse al concorso dal tribunale medesimo.
6. In definitiva, respinto il ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale, deve andare accolto il quarto motivo, con la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Arezzo in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti per l’applicazione, nei confronti del solo ricorrente principale, dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Respinge il ricorso principale e il primo, secondo e terzo motivo del ricorso incidentale; accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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