CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2018, n. 15305
Previdenza – Pensione di reversibilità in regime internazionale – Ratei di pensione di vecchiaia non erogati – Inps – Procura alle liti
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma con la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da M.K.P. (affermatasi titolare di pensione di reversibilità in regime internazionale) nei confronti dell’Inps, avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 20.1.2010 che aveva rigettato (sulla base dell’esistenza di un giudicato preclusivo) il ricorso promosso dalla predetta per pretesi ratei di pensione di vecchiaia non erogati, sin dal 2001, dall’Inps;
la Corte territoriale ha accolto l’eccezione dell’INPS relativa alla nullità della procura alle liti, relativa al gravame, conferita all’estero, come doveva ritenersi nel caso di specie, essendo tale procura priva della legalizzazione della firma da parte di notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero;
avverso tale sentenza M.K.P. ricorre per cassazione con due motivi;
Che l’I.N.P.S. resiste con controricorso;
Considerato che
la Corte reputa che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile;
in particolare, con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 182 cod. proc. civ. dovendosi ritenere vigente ma non applicato dalla Corte territoriale il principio della sanabilità del difetto di procura alle liti affermato da Cass. SS.UU. n. 9217/2010;
la tesi della ricorrente tendente ad affermare l’erroneità della sentenza impugnata per la mancata applicazione del disposto dell’art. 182 cod. proc. civ., con l’effetto di sanare la carenza accertata dai giudici di merito, è inammissibile in quanto intrisa di una insanabile contraddittorietà e priva di sufficiente specificità, in difetto di una anche minima correlazione con la pronuncia che si intende impugnare;
invero, si deduce che la sentenza è erronea laddove ha dichiarato la nullità della procura, ritenuta rilasciata all’estero ma autenticata da procuratore italiano e priva di apostille, in quanto si trattava di procura <notarile> e, dunque, ciò escludeva la necessità sia dell’apposizione della apostille che della legalizzazione dell’atto, ai sensi della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961;
sulla base di tale premessa, però, si deduce la violazione dell’art. 182 cod.proc.civ. in quanto non si è concesso alla parte di sanare la nullità della procura e si postula la possibilità di provvedere a tale regolarizzazione, ora per allora, in questa sede di legittimità mediante la produzione di copia fotostatica di un documento intitolato <procura speciale> rilasciato in favore di vari soggetti, compresi gli avvocati M.K.P. e G.T., e riferito a svariati affari, oltre che alla generica rappresentanza nei giudizi che si sarebbe ritenuto di proporre o continuare, nonché autentica con traduzione a fronte del 24 maggio 2012 del notaio M.B. ed apostille del 25 maggio 2012, attestante l’autenticità della sottoscrizione;
è evidente che, anche a voler prescindere, dall’insostenibilità logica della contemporanea affermazione di regolarità ed irregolarità della procura alle liti esaminata dalla Corte d’appello, dovendosi, quindi, secondo le richieste, accogliere il motivo ritenendo valida la procura e consentire in questa sede la regolarizzazione ex art. 182 cod.proc.civ., nella formulazione del motivo, la ricorrente avrebbe dovuto – quanto meno – riprodurre il contenuto della procura apposta al ricorso in appello, ed allegarne copia, ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in modo da consentire al giudice di legittimità di verificare la correttezza del giudizio formulato dalla Corte di merito alla luce delle ragioni esposte;
invece, il motivo è privo di concretezza perché non riproducendo i contenuti e la forma della procura ritenuta invalida, non si confronta in alcun modo con la sentenza impugnata che è giunta alla declaratoria di inammissibilità dell’appello accertando le seguenti concrete circostanze: 1) l’autentica della sottoscrizione della procura non risultava effettuata da un difensore esercente in Italia; 2) quanto all’autentica effettuata dal funzionario (nella specie notaio straniero) non risultava né la legalizzazione da parte della rappresentanza diplomatica o consolare italiana ivi esistente; 3) né l’utilizzo della formalità dell’apostille;
la parte non trascrive il contenuto della procura cui la sentenza si riferisce, non deposita l’atto contestualmente al ricorso per cassazione, né fornisce indicazioni per un facile reperimento dell’atto stesso nel presente giudizio, allo stesso modo non indica e non specifica con quale atto ed in quali termini avrebbe fatto rilevare al giudice d’appello le circostanze idonee a giustificare la mancata comparizione della parte a rendere l’interrogatorio formale, per contrastare le conseguenze di ordine probatorio che il giudice ne ha tratto a norma dell’art. 232 c.p.c., (cfr. Cass., 8 febbraio 1963, n. 222), per cui il motivo difetta di specificità;
il secondo motivo di ricorso che lamenta la violazione e o la falsa applicazione degli artt. 162, 83 e 91 cod.proc.civ. nonché motivazione apparente in relazione alla condanna degli avvocati N. S. e G. T. alla rifusione delle spese non ricorrendo i presupposti indicati dall’art. 162 cod. proc. civ. giacché non si era determinata l’ipotesi di inesistenza della procura ma semmai di nullità della stessa, è pure inammissibile per le stesse ragioni di cui al precedente motivo, non essendo possibile valutare il tipo di invalidità della procura ed avendo la Corte d’appello riferito di una totale inefficacia della procura medesima da equiparare alla sua inesistenza;
ciò, soprattutto, considerando quanto affermato da Cassazione 19266 del 2017 e n. 1759 del 2007, secondo cui nel caso di azione o impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (sulla base, come nella specie, di una procura inesistente o, ad esempio, falsa, o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello cui l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio (Cass. Sez. Unite n. 10706/2006);
in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in difetto di idonea dichiarazione di esonero sottoscritta dalla parte ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie.
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