CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2018, n. 25540
Rapporto di lavoro – Programmista regista – Trattamento economico corrispondente alla qualifica di redattore ordinario – Diritto – Accertamento
Rilevato che
Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da P.F. nei confronti della RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. intesa a conseguire l’accertamento del diritto della lavoratrice – assunta quale programmista regista di quarto livello impiegati ed operai RAI – a percepire il trattamento economico corrispondente alla qualifica di redattore ordinario a far tempo dal dicembre 1997 ai sensi del C.N.L.G. e dell’Accordo Integrativo Rai-Usigrai, e la condanna al pagamento delle consequenziali differenze retributive sino al 31 dicembre 2003, liquidate nella misura di euro 149.288,65.
La Corte distrettuale in parziale riforma dell’impugnata sentenza, confermata nel resto, condannava la società al pagamento in favore della lavoratrice, della minor somma di euro 96.947,35.
Nel proprio iter motivazionale, per quanto qui rileva, la Corte argomentava in ordine alla novità delle questioni sollevate dalla società con riferimento alla “inapplicabilità dell’art.2103 c.c. in considerazione dell’esistenza di due diversi contratti collettivi, trattandosi di eccezione proposta per la prima volta in sede di appello”, non trascurando di evidenziarne comunque l’infondatezza. Doveva infatti farsi applicazione del trattamento economico e normativo corrispondente alle mansioni effettivamente disimpegnate ed al concreto atteggiarsi del rapporto, con la specificazione che il C.N.L.G. non corrispondente a quello richiamato dal contratto individuale, era effettivamente applicato dalla RAI ai propri dipendenti, e si conformava alle precipue mansioni di natura giornalistica, espletate dalla F..
Avverso tale decisione RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a interpone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Considerato che
1. Il primo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.2 c.p.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 3 e n.5.
Si critica la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione di inammissibilità “del motivo relativo all’applicazione dell’art. 1453 c.c. e della inapplicabilità dell’art. 2103 c.c. in considerazione del fatto che essa sarebbe stata proposta solo in appello”, con particolare riferimento, quanto a quest’ultima disposizione, alla affermata impossibilità di applicazione di due diversi contratti collettivi (quello richiamato nel contratto individuale e quello corrispondente alle mansioni effettivamente espletate). Si osserva che le questioni dedotte in lite non potevano ritenersi integrare eccezioni in senso stretto, ma mere difese, che non incorrevano nel divieto di jus novorum di cui all’art. 437 c.p.c.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2103 c.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 3 e n.5.
Ci si duole della applicazione della citata disposizione codicistica; si deduce che lo svolgimento di mansioni diverse da quelle oggetto di contratto, per comportare l’estinzione della precedente obbligazione, avrebbe dovuto presupporre un animus novandi da parte di tutte le parti.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 34 legge professionale giornalistica n. 69 del 1963 e dell’art. 5 legge n. 47 del 1948.
Lamenta che la Corte di merito non abbia tenuto conto che la diffusione delle notizie raccolte dalla F. avvenisse unicamente mediante programmi di rete e non testate giornalistiche, tralasciando di considerare che al di fuori di tale struttura formale non è configurabile alcuna attività qualificabile come giornalistica.
4. La quarta censura concerne violazione e falsa applicazione dell’art. 2070 c.c. Si stigmatizza la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno ritenuto applicabile alla fattispecie la regolamentazione contrattuale collettiva di cui al C.N.L.G., eterogenea rispetto a quella di cui le parti avevano consensualmente stabilito l’applicazione (c.c.n.l. impiegati ed operai RAI s.p.a.), destinata a prevalere anche rispetto alla materiale modifica delle mansioni svolte dalla lavoratrice.
5. I motivi primo, secondo e quarto, che possono trattarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.
Al di là di ogni considerazione in ordine alle modalità di redazione delle prime due censure, che recano la promiscua deduzione di violazione di disposizioni di legge nonché di vizi di motivazione, così dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità” (vedi in motivazione, ex allis, Cass. 6/5/2016 n. 9226, Cass. 8/6/2012 n. 9341, nonché Cass. 23/9/2011 n. 19443, Cass. 11/4/2008 n. 9470), va rimarcato che le critiche si palesano infondate essendo prospettabile in ambito dei rapporti di durata e nel rispetto del principio della libertà delle forme, un mutamento della volontà delle parti, volto a modificare le singole clausole del contratto conferendo un nuovo assetto negoziale al rapporto (vedi in motivazione Cass. n. 18381/2008).
6. Nell’ottica descritta rinviene fondamento la congruità alla fattispecie dell’art. 2103 c.c. di cui la Corte ha correttamente disposto applicazione, non essendo pregnante il riferimento al dettato normativo di cui all’art. 2070 c.c., la cui violazione, del pari, è stata invocata dalla ricorrente a sostegno del quarto motivo di ricorso.
In realtà ogni problematica concernente l’applicabilità della corretta contrattazione collettiva ai rapporto di lavoro inter partes, appare eccentrica rispetto alla indiscutibile applicazione dell’art. 2103 c.c. perché le diverse (e superiori) mansioni espletate dalla lavoratrice rispetto all’originario contenuto contratto di lavoro, rinvengono specifica disciplina esclusivamente nella peculiare contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro giornalistico e che risulta applicata ai propri dipendenti dalla RAI, come puntualizzato dalla Corte di merito.
Ciò che rileva ai fini del corretto inquadramento della lavoratrice e della individuazione conseguente del trattamento economico spettante, è, dunque, l’oggettivo contenuto della prestazione espletata, che nello specifico, risulta qualificata dal peculiare carattere informativo. Deve quindi ritenersi incongruente rispetto al thema decidendum, la censura formulata con il quarto motivo, perché tende ad introdurre nel dibattito una questione – l’individuazione del contratto collettivo applicabile alla fattispecie – superata dall’accertato riconoscimento della qualifica di giornalista in favore della dipendente.
In tal senso questa Corte ha già affermato che non è decisivo ai fini dell’inquadramento quale giornalista professionista, sia il formale inquadramento in diversa qualifica professionale sia la struttura aziendale dell’ente presso cui si presta l’attività rilevando, viceversa, il peculiare carattere informativo delle mansioni svolte (vedi in motivazione Cass. 27/6/2013 n. 16229).
7. Del pari infondato è il terzo motivo.
E’ bene rammentare, in via di premessa, che, secondo l’orientamento privo di contrasti espresso in sede di legittimità, costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo, assumendo rilievo la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione (vedi Cass. 1/2/2016 n. 1853).
Occorre quindi, rimarcare che questa Corte ha altresì ritenuto, innovando rispetto ai risalente orientamento giurisprudenziale, che non può iscriversi, in maniera riduttiva, l’attività giornalistica radiotelevisiva soltanto nell’ambito dei radio o telegiornali o nelle testate tipicamente giornalistiche e di informazione, ben potendo rientrare la stessa anche in programmi di intrattenimento o di svago, purché con contenuto propriamente informativo (Cass. 16/12/2013 n. 28035, Cass. 19/1/2016 n. 830), essendo irrilevante a tali fini la legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, (posto che la legge citata presuppone e non definisce l’attività giornalistica, Cass. 29/8/2011 n. 17723); ed ancora ha giudicato non significativa ai fini del riconoscimento della natura giornalistica dell’attività svolta dal dipendente RAI la struttura aziendale dell’ente presso cui egli presta la sua attività, rilevando piuttosto il peculiare carattere informativo (nel senso sopra esposto) delle mansioni svolte (Cass. 27/6/2013 n. 16229). In tal senso la pronuncia impugnata è esente da critiche perché conforme ai condivisi, summenzionati principi.
7. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Occorre, infine, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per I ricorso a norma dei comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per I versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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