CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2020, n. 7244
Omessa concessione del riposo settimanale obbligatorio di almeno 24 ore consecutive – Errata compilazione dei prospetti-paga – Intimazione di pagamento della sanzione amministrativa – Valutazione delle emersioni probatorie non sindacabile – Mancata specifica dei punti ritenuti fondamentali al fine di consentire il vaglio di decisività – Ricorso inammissibile
Rilevato
che la Corte di Appello di Ancona, con sentenza pubblicata in data 13.5.2014, ha respinto il gravame interposto da R.E., in proprio e quale legale rappresentante della S.r.l. M.S. M. Sud, nei confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali-Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona (già D.P.L. di Ancona), avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 115/2013, con cui era stata rigettata l’opposizione proposta da E., in proprio e nella qualità, a due ordinanze ingiunzione (la n. 597/2009, con intimazione di pagamento della sanzione amministrativa di Euro 19.352,00 e la n. 598/2009, con intimazione di pagamento della sanzione amministrativa di Euro 16.363,00), emesse dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Ancona, con la quale erano state contestate violazioni in materia di tutela del lavoro ed in particolare, la omessa concessione del riposo settimanale obbligatorio di almeno 24 ore consecutive e la errata compilazione dei prospetti-paga;
che per la cassazione della sentenza R.E., in proprio ed in qualità di legale rappresentante della M.S. M. Sud S.r.l., ha proposto ricorso articolando un motivo; che il Ministero del Lavoro-Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona (per mero errore materiale indicata come Direzione Territoriale del Lavoro di Padova) ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la <<violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 113 e 116 c.p.c.>>, per non avere la Corte di merito operato una corretta valutazione delle risultanze istruttorie e, soprattutto delle dichiarazioni rese dal testi escussi, ed per avere, invece, attribuito il valore di prova ad elementi indiziari, quali, ad esempio, documenti provenienti da terzi, senza operare alcun riferimento all’orologio marcatempo al fine di individuare l’orario di ingresso e di uscita dei dipendenti;
che il motivo – che, nella sostanza, attiene esclusivamente a censure in ordine alla valutazione degli elementi probatori – è inammissibile, in quanto, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte (cfr., ex multis, Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009), la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità del relativo apprezzamento (nella fattispecie, peraltro, del tutto congrua, condivisibile e scevra da vizi logici);
che, nel caso di specie, invero, la contestazione sulla pretesa errata valutazione delle emersioni probatorie non specifica i punti ritenuti fondamentali al fine di consentire il vaglio di decisività, che avrebbe eventualmente dovuto condurre i giudici ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione anche alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio; la stessa si risolve, dunque, in una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr. Cass. nn. 24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);
che, inoltre, la parte ricorrente, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c., non ha fornito precise argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie (neppure specificate) o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. nn.24374/2015; 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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