CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 novembre 2020, n. 25719
Tributi – Condono ex art. 9, della Legge n. 289/2002 – Recupero credito IVA – Mancato riconoscimento detrazione su fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Legittimità
Fatto e ritenuto che
La CTR della Calabria, sez distaccata di Reggio Calabria, accoglieva l’appello proposto dalla società T.E. s.a.s. avverso la sentenza della CTP di Reggio Calabria con cui era stato respinto il ricorso della contribuente avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo al recupero di un credito d’Iva del 2000 portato indebitamente in detrazione dalla società in quanto inerente fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
Rilevava che la società contribuente aveva aderito alla sanatoria prevista dall’art. 9 della legge 289/2002 e pertanto era preclusa all’amministrazione finanziaria ogni forma di accertamento diverso dal controllo formale.
Osservava che nel caso in esame l’Ufficio come ben si evinceva dall’esame dell’atto di accertamento, aveva invero sottoposto la contribuente ad una attività accertativa che si era rivelata palesemente illegittima.
Sottolineava comunque che tale accertamento doveva considerarsi nullo in quanto notificato oltre i termini di decadenza previsti dagli art. 43 del DPR nr 600/1973 e art. 57 del DPR nr 633/1972.
Avverso tale sentenza l’Agenzia dell’Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Nessuno si è costituita per la società T.E. s.a.s. di C.S. & C.
Diritto e considerato che
Con il primo articolato motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art 9 della legge 289/2002 in relazione all’art. 360, primo comma nr 3 c.p.c.
Critica in particolare la decisione nella parte in cui ha escluso la possibilità degli uffici di svolgere accertamenti diretti a verificare la spettanza dei crediti risultanti dalle dichiarazioni.
Osserva in proposito che tale pronuncia contrasta con l’ordinanza emessa dalla Corte Costituzionale ( nr 340/2005) e con gli indirizzi espressi dalla cassazione ove si è rilevato che la previsione dell’art 9 comma 9 della legge 289/2002 non impedisce all’Erario di svolgere gli opportuni accertamenti sull’esistenza della pretesa quando sia stato chiesto il rimborso dell’Iva e l’Ufficio abbia motivo di ritenerla mai versata.
Con un secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art 10 della legge nr 289/2002.
Censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto tardiva la notifica dell’avviso di accertamento osservando che in presenza di adesione alla sanatoria ex art 9 della legge 289/2002 trovava applicazione il termine prorogato previsto dall’art 10 della legge nr 289/2002.
Il primo motivo è fondato.
Per decidere la controversia occorre tenere conto della più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo la quale “In tema di cd. “condono tombale”, l’Erario può accertare i crediti da agevolazione esposti dal contribuente nella dichiarazione, in quanto il condono – avendo come scopo il recupero di risorse finanziarie e la riduzione del contenzioso e non già l’accertamento dell’imponibile – elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, che restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’Ufficio” (Cass., SU, n. 16692 del 6 luglio 2017; Cass 2018 nr 32257; Cass 2017 13737).
La decisione per prima citata chiarisce, nella sua parte motiva, le ragioni che inducono ad escludere i crediti del contribuente dall’applicabilità del condono de quo.
Infatti, precisa che il condono, per sua natura, incide sui debiti, ma non sui crediti dei contribuenti perché si traduce in una forma atipica di definizione del rapporto tributario nella prospettiva di recuperare risorse e ridurre il contenzioso, prescindendo dall’accertamento dell’imponibile e senza che il fisco mantenga poteri decisori al riguardo.
Pertanto, da un punto di vista logico, il condono non può che riguardare i debiti e non i crediti, considerato che la sua funzione è solo di consentire un guadagno per l’Erario e non di perseguire finalità transattive o di compensazione dei crediti e dei debiti.
La L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, va pertanto inteso nel senso che il condono non influisce di per sé sull’ammontare delle somme chieste a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all’erario di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di rimborso sia riscontrata fondata;
– il successivo comma 10 preclude l’accertamento dei debiti dei contribuenti che hanno ottenuto il condono, ma non quello dell’inesistenza dei crediti posti a base delle richieste di rimborso.
La preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati derivante dal perfezionamento del procedimento di condono non può che concernere, allora, il solo debito tributario.
Estenderla anche ai crediti, in mancanza di qualsiasi potere decisorio da parte dell’Ufficio, colliderebbe in maniera frontale con le finalità del condono, indirizzate a reperire risorse di bilancio e non già a perseguire finalità transattive e di compensazione di ragioni di credito e di debito.
Ne consegue che il giudice di appello è incorso in errore di diritto, ritenendo che gli effetti definitori del condono si comunichino anche crediti esposti in dichiarazione, cristallizzando la relativa pretesa ed impedendo l’esercizio di ogni azione accertatrice da parte del fisco.
Il secondo motivo è parimenti fondato.
Costituisce principio giurisprudenziale pacifico, dal quale non v’è ragione di discostarsi, quello per il quale “in tema di condono fiscale, la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata dalla L. n. 289 del 200, art. 10, opera “in assenza di deroghe contenute nella legge” sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi di tali disposizioni, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, atteso che il meccanismo di proroga è finalizzato a tutelare il preminente interesse dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento e alla riscossione delle imposte” (Cass. n. 17621 del 2018; 16964 del 2016; Cass. n. 22921 del 2014; Cass. n. 17395 del 2010).
– posto, quindi, che la legge concede proroga all’Ufficio per l’accertamento nei confronti dei contribuenti “che non si avvalgono” dei benefici recati dalle suddette disposizioni di favore, all’interprete non è lecito distinguere fra soggetti che non intendono e soggetti che non possono avvalersene non avendone diritto, poiché l’espressione “non avvalersi”, secondo il significato proprio delle parole (art. 12 preleggi), descrive ugualmente gli atteggiamenti di chi non voglia e di chi non possa accedere al beneficio indicato, non essendo specificata nella legge alcuna riserva (così, in motivazione, Cass. n. 20064 del 24/09/2014).
Ciò posto l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2000 avrebbe dovuto essere notificato ,ai sensi dell’art 57 del DPR nr 633/1972 entro il 31.12.2005 che rappresenta il quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Termine questo che per effetto della proroga prevista dall’art 10 I. 289/2002 veniva a scadere il 31.12.2006 sicché la notifica dell’accertamento eseguita in data 4.12.2006 deve ritenersi tempestiva.
Il ricorso va accolto, e la sentenza impugnata cassata, con rinvio per riesame dei motivi rimasti assorbiti, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale di Reggio Calabria, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia per riesame – anche per la statuizione sulle spese del giudizio di cassazione – alla Commissione Tributaria Regionale di Reggio Calabria, in diversa composizione.
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