CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15873
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Notificazione
Rilevato che
1. C.V. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 71/01/10 della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, emessa il 14/6/2010, depositata il 30/6/2010 e non notificata, che ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia concernente l’impugnativa degli avvisi di accertamento di rideterminazione del reddito, ai fini IRPEF, addizionale comunale e regionale, per gli anni di imposta 1999-2000-2001-2002;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Friuli Venezia Giulia, ritenuta “di tutta evidenza” la sproporzione tra i redditi dichiarati dalla contribuente (mediamente poco più di 7.000,00 euro per ogni anno di imposta) e la spesa sostenuta per l’acquisto di un appartamento (pari ad euro 152.354,79), che rappresentava il più rilevante incremento patrimoniale registrato nelle annualità oggetto di accertamento, considerava legittimo il ricorso all’accertamento sintetico, ex art. 38 D.P.R. n. 600/73, da parte dell’Ufficio; inoltre rilevava che la contribuente non aveva offerto alcuna prova documentale sulla circostanza che all’epoca dell’acquisto dell’immobile potesse disporre di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, né che all’acquisto avesse contribuito il coniuge, con i prelevamenti effettuati sui ricavi realizzati in corso di esercizio dalla sua ditta individuale;
3. a seguito del ricorso della sig. V., l’Agenzia delle Entrate si costituisce, resistendo con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16 maggio 2018, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per la violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo il giudice di appello esaminato le specifiche contestazioni, concernenti gli investimenti finanziari e la loro quantificazione;
1.2. il motivo è inammissibile;
1.3. ed invero, alla pagina tre della sentenza impugnata si legge che l’appellante sig. V. con una nota illustrativa “recuperava le argomentazioni relative agli investimenti e disinvestimenti finanziari – tema non riproposto nell’atto di appello-deve, quindi, ritenersi, in ossequio al principio di specificità dei motivi di appello, che ogni questione relativa alla rilevanza, ai fini dell’accertamento sintetico del reddito, degli investimenti e disinvestimenti finanziari sia ormai preclusa, non avendo formato oggetto dei motivi di appello e di conseguente autonomo esame da parte della C.T.R.;
inoltre, come evidenziato dall’Agenzia controricorrente, non sarebbe comunque ipotizzabile il vizio di omessa pronuncia, poiché i rilievi relativi alle operazioni finanziarie non costituivano una domanda che richiedeva un’autonoma pronuncia di accoglimento o di rigetto, ma solo un’argomentazione utilizzata da parte ricorrente (in primo grado) per confutare la ricostruzione sintetica del reddito operata dall’Ufficio, da valutare unitamente agli altri elementi;
2.1. con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; ,
2.2. il motivo, sicuramente inammissibile laddove tende a sollecitare un nuovo esame del merito, precluso in sede di legittimità, è per il resto infondato;
2.3. invero, per costante giurisprudenza di legittimità il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal DL 83/2012 – (applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello) – non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. III, 04/03/2010, n. 5205 Cass. 6 marzo 2006, n. 4766. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445);
non incorre, dunque, nel vizio di omesso esame o di insufficiente motivazione il giudice del merito che, nel sovrano apprezzamento delle prove, attinga il proprio convincimento agli elementi istruttori che ritenga più attendibili ed idonei alla risoluzione della controversia;
in coerenza con le suddette affermazioni, dunque, la Corte non realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse d’ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso per l’omesso esame di un fatto decisivo;
nel caso di specie, il giudice di appello ha esaminato tutti gli elementi fattuali sottoposti alla sua attenzione con i motivi di appello (modalità di pagamento, consistenza e composizione del nucleo familiare, rilevanza dei prelevamenti del coniuge e loro riferibilità all’acquisto immobiliare) e, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, non ha negato, in via astratta, che la valutazione della complessiva posizione reddituale della famiglia possa fornire una valida argomentazione giustificativa di disponibilità economiche, che non emergono dalla dichiarazione fiscale del singolo contribuente;
il giudice di seconde cure, però, ha ritenuto, con ragionamento ampiamente motivato ed esente da vizi logici censurabili in questa sede, che nella fattispecie concreta, la ricorrente non avesse fornito la prova “sull’effettivo trasferimento dei prelevamenti o di parte dei prelevamenti operati dal coniuge sui ricavi realizzati con la sua ditta individuale , anche ai fini del pagamento del prezzo” dell’immobile, né la prova della realizzazione di risparmi nella misura percentualmente teorizzata come possibile, della loro materiale disponibilità e dell’utilizzo per sostenere la spesa relativa all’incremento patrimoniale considerato;
3.1. la decisione della C.T.R. del Friuli Venezia Giulia risulta aver affrontato correttamente ed esaustivamente le questioni sollevate dalla contribuente per cui il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
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