CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2021, n. 20254
Previdenza – Socio accomandatario – Obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali – Partecipazione personale al lavoro aziendale – Carattere di abitualità e prevalenza – Prova
Considerato in fatto
1. La Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, ha rigettato l’opposizione proposta da C.A., quale erede di C.M.N., alla cartella esattoriale notificatagli su istanza dell’Inps per il pagamento di Euro 1531,64 per contributi dovuti alla gestione commercianti per l’anno 2007, rate n 2 e n 3.
La Corte territoriale ha esposto che, secondo il Tribunale, il C., già socio accomandatario della soc T. sas, aveva assunto la veste di liquidatore della stessa dal 28/12/2006 e che, pertanto, da tale data si potesse evincere una vera e propria presunzione di cessazione dello svolgimento di qualsiasi attività riconducibile a quelle proprie dell’accomandatario.
La Corte territoriale ha, invece, affermato che solo con la conclusione delle operazioni di liquidazione e cancellazione della società poteva ritenersi cessata ogni attività potendo, infatti, il C., fino a quella data, svolgere attività commerciale in nome e per conto della società.
2. Avverso tale pronuncia il C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura ulteriormente illustrati con memoria ex art 378 c.p.c. con la quale ha chiesto l’applicazione dell’art. 4 DL n 119/2018 convertito in L n 136/2018. L’Inps ha resistito con controricorso.
Ritenuto in diritto
3. Preliminarmente va rigettata la richiesta formulata dal ricorrente di applicazione dell’art 4 119/2018, convertito in L n 136/2018. La norma prevede lo stralcio dei debiti fino a mille euro affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2010.
La norma recita testualmente che “I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capita le, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati.
4.Secondo l’ord. di questa Corte n 11817/2020″, nell’ambito operativo della norma, rientrano tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a mille euro, il cui singolo carico affidato all’agente della riscossione non superi l’importo suddetto.
In senso opposto a tale conclusione questa Corte si è espressa successivamente con ord. n. 17966/2020 secondo la quale: «ai fini dell’annullamento, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., dalla l. n. 136 del 2018, dei debiti tributari la cui riscossione sia stata affidata agli agenti di riscossione nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010, il limite di valore del debito (mille euro) non deve essere riferito ai singoli carichi risultanti da ciascuna cartella esattoriale, ma alla sommatoria di essi e, se i debiti sono di diversa natura, al valore complessivo dei carichi omogenei».
5. Ritiene questo Collegio che nella specie tale annullamento automatico non possa trovare applicazione atteso che la cartella non solo supera Euro 1000, ma si tratta di carichi omogenei ( tutti contributi relativi al 2007) che, pertanto, secondo quanto specificato con ampie argomentazioni nella più recente ordinanza di questa Corte n 17966/2020 cui questo Collegio intende dare continuità, deve tenersi conto del loro valore complessivo che nella specie supera Euro 1000.
6. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt 2488 e 2729 cc e 1, lett c) L n 1397/1960; art 1 L n 613/1960; art 1, comma 203 L n 662/1996 -che ha sostituito il primo comma L n 160/1975 per avere i giudici di merito sussunto erroneamente fatti concreti non rispondenti ai requisiti di gravità, precisione, concordanza, nonché violazione dell’art 116 c.p.c.
Lamenta che la Corte aveva dato per scontato che il C. avesse continuato a svolgere attività sociale per il raggiungimento degli scopi sociali con carattere abitualità e prevalenza durante la fase di liquidazione della società e fino alla cancellazione dell’impresa, pur in assenza di qualsiasi dato da cui desumere che vi fosse stato tale concreto svolgimento. Il ragionamento presuntivo era del tutto errato e basato su elementi indiziari privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art 2729 cc.
7. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt 2498 e 2729 cc e art 115 c.p.c., art 1, lett. c) L n 1397/1960; art. 1 L n. 613/1960; art 1, comma 203 L n 662/1996 – che ha sostituito il primo comma L n 160/1975 per avere i giudici di merito omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio.
Denuncia il ricorrente che, in assenza di prova da fornire dall’Inps, doveva ritenersi superata la presunzione di svolgimento di attività sociale; egli quale liquidatore non possedeva i poteri di gestione della società ed, inoltre, essendo in precarie condizioni di salute fin dal 1993 a seguito di infarto, aveva avuto riconosciuto l’assegno di invalidità ottenendo dall’Inps la cancellazione dalla gestione separata, con la conseguenza che la società di fatto non aveva più operato e, nel periodo della richiesta, l’attività commerciale svolta non poteva ritenersi continuativa e neppure prevalente.
8.1 due motivi, congiuntamente esaminati stante la loro parziale sovrapposizione, vanno accolti nei sensi di seguito specificati.
Va, in primo luogo, ribadito il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 3835/2016, n 5210/2017, n 2665/2021) secondo cui ai sensi dell’art. 1, comma 203, L. n. 662/1996, che ha modificato l’art. 29 L. 3 giugno 1975 n. 160, e dell’art. 3 L. 28 febbraio 1986 n. 45, nelle società in accomandita semplice la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto assicuratore. Presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è infatti – per il disposto dalla l. n. 662/1996, art. 1 comma 203 – la prova dello svolgimento di un’attività commerciale.
Quanto alla figura del liquidatore deve osservarsi che, in generale, non sussiste alcuna incompatibilità con lo svolgimento di attività commerciale avente le caratteristiche sopra indicate. Sotto tale profilo la Corte ha correttamente rilevato che l’iscrizione alla gestione commercio conserva validità con persistenza dell’obbligo contributivo, sia per i soci liquidatori che per gli altri soci che continuino a svolgere attività sociale, anche durante la fase di liquidazione e fino alla cessazione di tutte le attività sociali ed alla cancellazione della società dal registro delle imprese, semprechè l’attività svolta conservi i caratteri dell’abitualità e della prevalenza.
Pur sulla base di tali corrette affermazioni la Corte territoriale, ha, poi, del tutto omesso di accertare lo svolgimento da parte di C.M.N. di attività all’interno della società avente il carattere della prevalenza ed abitualità e, dunque la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione nella gestione commercianti.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria anche per la liquidazione delle spese di causa.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria anche per le spese del presente giudizio.
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