CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19241
Cartella esattoriale – Pagamento di contributi per malattia e maternità – Datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico – Società partecipate da enti pubblici – Nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 16.7.2013, la Corte d’appello di Torino ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da D. s.p.a. avverso la cartella esattoriale con cui le era stato richiesto il pagamento di contributi per malattia e maternità non pagati;
che l’INPS, in proprio e nella spiegata qualità, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che D. s.p.a. ha resistito con controricorso;
che la società concessionaria dei servizi di riscossione non ha svolto attività difensiva;
Considerato in diritto
che, con i due motivi di censura, l’INPS denuncia rispettivamente violazione e falsa applicazione degli artt. 2, d.P.R. n. 145/1965, 79, d.lgs. 151/2001, 3, l. n. 158/1990, e 18, d.l. n. 333/1992 (conv. con l. n. 359/1992), nonché, in subordine, dell’art. 20, d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008), in connessione con gli artt. 2, d.P.R. n. 145/1965, 79, d.lgs. 151/2001, 3, l. n. 158/1990, e 18, d.l. n. 333/1992 (conv. con l. n. 359/1992), per avere la Corte di merito ritenuto che l’art. 20. d.l. n. 112/2008, cit., che nell’interpretare autenticamente l’art. 6, l. n. 138/1943, ha previsto che «i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo», si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, con la conseguenza che, avendo il successivo comma 2, lett. a), dell’art. 20, cit., previsto l’obbligo per «le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto» di versare «la contribuzione per maternità» soltanto «a decorrere dal 1° gennaio 2009», nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS richiedere per il periodo precedente;
che il motivo è fondato, avendo questa Corte già chiarito che le società che, come l’odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell’ENEL, sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dall’art. 20, d.l. n. 112/2008, cit., con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017 e, da ult., Cass. n. 2936 del 2019);
che a supporto di tale conclusione si è sottolineato che l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dall’art. 1, d.P.R. n. 145/1965, che deve ritenersi disposizione ormai priva di efficacia diretta, in quanto legata necessariamente all’esistenza dell’ente pubblico economico denominato Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, già venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per effetto del d.l. n. 333/1992, e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico realizzata dalla legge delega n. 128/1999 e dal successivo d.lgs. n. 79/1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE;
che, pertanto, va senz’altro richiamato il principio che informa la materia degli obblighi contributivi delle società partecipate da enti pubblici, che questa Corte ha più volte recentemente affermato, e che si compendia nell’affermazione secondo cui nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dalla origine di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (in tal senso Cass. n. 8591 del 2017);
che va, altresì, ribadito, sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008, che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà e che il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale, con la conseguenza che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nell’art. 15, l. n. 1204/1971, in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sé di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia;
che dalle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte cost. n. 47 del 2008, è dato piuttosto ricavare un principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di logiche di stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese;
che, per altro verso, l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione dell’indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve invece al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell’efficacia precettiva del disposto dell’art. 1, d.P.R. n. 145/1965, mentre, trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato dall’odierna controricorrente al fine di garantirsi l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità;
che, di conseguenza non può in alcun modo trarsi dall’art. 20, comma 2, d.l. n. 112/2008, cit., alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell’ENEL al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal 1°.1.2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata, atteso che tale obbligo doveva ritenersi immanente al sistema in ragione dei rilievi di ordine sistematico dianzi enunciati, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un’apposita disposizione di legge a carattere meramente ricognitivo (cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007);
che contrari argomenti non possono desumersi dall’art. 3, comma 2, l. n. 218/1990, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi «gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza», giacché tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell’ENEL in virtù del d.l. n. 198/1993 (conv. con I. 292/1993), si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro;
che, non essendosi la Corte territoriale uniformata all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito dichiarando dovuti i contributi di cui alla cartella opposta;
che la particolare complessità della materia, che ha ricevuto una sistemazione in questa sede di legittimità soltanto successivamente alla pronuncia impugnata, suggerisce la compensazione delle spese dell’intero processo;
P.Q.M.
accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara dovuti i contributi di cui alla cartella opposta. Compensa le spese dell’intero processo.
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