CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2021, n. 36019
Tributi – Accertamento – Fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Elementi indiziari – Presunzione – Detrazione Iva e deducibilità costi – Onere di prova contraria
Osserva
L’Agenzia delle Entrate notificava a E. S.r.l. un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2006, con il quale accertava un maggior reddito derivante dal recupero a tassazione di costi dedotti a seguito della registrazione di fatture per costi ritenuti inesistenti in quanto la ditta fornitrice (impresa edile R. G.) operava con partita Iva appartenuta a precedente ditta posseduta dallo stesso titolare poi estinta per fallimento dello stesso.
Con separati avvisi di accertamento l’ufficio accertava a carico del socio R. P. un maggior reddito derivante dalla partecipazione societaria e alla società l’omessa effettuazione delle previste ritenute sugli utili distribuiti rinvenienti dai maggiori ricavi accertati.
Con distinti ricorsi la società e il socio impugnavano gli atti impositivi.
La CTP di Foggia, previa riunione, accoglieva i ricorsi.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la CTR della Puglia, con sentenza n.222/25/2013, depositata in data 1.1.2013, lo rigettava sul presupposto che la contribuente non aveva alcun obbligo di effettuare riscontri sulla reale esistenza della ditta fornitrice non potendo, la ditta che si avvale delle prestazioni di altra ditta che non ha i requisiti fiscali per poter essere considerata esistente, subire un danno.
Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resistono E. s.r.l. e P.R. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Lamenta che la CTR avesse erroneamente distribuito l’onere probatorio in materia di operazioni inesistenti senza esaminare gli elementi presuntivi posti a base della pretesa inesistenza delle operazioni poste in essere dalla ditta G. R..
La censura è fondata.
Va ribadito che, secondo la giurisprudenza che si è andata consolidando sulla problematica relativa alla detraibilità dell’I.V.A. ed alla deducibilità dei costi nel caso di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e alla deducibilità dei costi in essa annotati, per cui spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.
Tale prova può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presuntivi, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 6/6/2012).
Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’I.V.A. e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari (Cass. n. 20059 del 24/9/2014; n. 15741 del 19/9/2012; n. 27718 del 11/12/2013; n. 9363 del 8/5/2015; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C- 439/04; 21 febbraio 2006, C- 255/02; 21 giugno 2012, C. 80/11); a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale ultima prova non può tuttavia consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili o vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619 del 5/7/2018; n. 5406 del 18/3/2016; n. 18118 del 14/9/2016; n. 28683/15; n. 428 del 14/1/2015; n. 12802 del 10/6/2011; n. 15228 del 3/12/2001).
Con specifico riferimento all’I.V.A., inoltre, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta non può in alcun modo farsi discendere – anche sul piano probatorio – dal solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell’I.V.A. corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sé inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. n. 735 del 19/1/2010; n. 6973 del 8/4/2015).
Questa Corte (Cass. civ. 20 aprile 2018, n. 9851), ha inoltre precisato che «in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta» e, inoltre, che «la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente».
Erroneamente la CTR ha affermato che “la semplice inesistenza oggettiva non può tramutarsi in un danno per la ditta che si avvale delle prestazioni di altre ditta che non ha i requisiti formali per essere considerata esistente” e che ” la ditta “cliente” non ha alcun obbligo giuridico di effettuare riscontri sulla conoscibilità e sulla reale esistenza della ditta fornitrice”.
Nella specie dall’avviso di accertamento riprodotto in ossequio al principio di autosufficienza venivano riportati i molteplici elementi presuntivi posti a base della rettifica: in particolare si evidenziava che R. G., dopo il fallimento della società P. s.n.c. di R. G. & C. e nonostante il fallimento personale aveva continuato ad emettere fatture recanti la intestazione R.G. ma con il numero di partita Iva e l’indirizzo della società fallita.
Il legale rappresentante della E. aveva dichiarato di avere commissionato al R. dei lavori di manodopera nel cantiere Greco, senza stipulare alcun contratto e fornendo tutto il materiale necessario, senza essere in grado di fornire alcun nominativo del personale della ditta R.; il capocantiere della E. s.r.l. non era stato in grado di riferire il nome di un qualche dipendente della ditta R..
Nemmeno lo stesso R. era stato in grado di fornire la generalità di operai e di altri dati idonei a identificarli e la ditta era priva di alcuna organizzazione, sede e mezzi. La CTR non ha dimostrato di avere esaminato il complesso degli elementi presuntivi offerti.
Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con assorbimento della trattazione degli altri motivi con i quali si deducono vizi di motivazione della sentenza e la sentenza cassata. Il giudice di rinvio individuato nella CTR della Puglia, in diversa composizione, liquiderà anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri;
cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Puglia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.