CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 maggio 2022, n. 15802

Pubblico impiego – Insegnante – Supplenze – Contratti a tempo determinato – Abusiva reiterazione – Direttiva 1999/70/CE – Parametro di trentasei mesi – Esclusione

Rilevato che

la Corte d’Appello di Firenze ha accertato che M.B. aveva prestato, dal 2000 in poi, supplenze per un numero di anni superiore a tre in forza di incarichi sino al termine delle attività e didattiche ed incarichi annuali ed ha quindi riconosciuto il verificarsi di una fattispecie di abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, in violazione dei principi eurounitari di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE;

essa ha quindi confermato la statuzione risarcitoria assunta dal Tribunale di Arezzo, oltre al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione del calcolo dell’anzianità di servizio anche nel periodo pre-ruolo, profilo quest’ultimo che resta tuttavia estraneo al presente giudizio di legittimità;

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (di seguito, MIUR) ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della B.;

Considerato che

il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) della direttiva 1999/70/Ce, dell’allegato Accordo Quadro, nonché dell’art. 4 L. 124/1999 e dell’art. 2697 c.c.; il secondo motivo assume invece la violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c.;

i due motivi, da esaminare congiuntamente stante la loro connessione, sostengono che il regime speciale scolastico consentirebbe la reiterazione di contratti a termine, secondo le varie tipologie proprie della normativa di settore, aggiungendo che il danno non potrebbe essere comunque risarcito nelle forme di cui all’art. 32 L. 183/2010;

il ricorso è fondato, nei limiti che si vanno a dire; questa S.C. ha in effetti stabilito, con principio consolidato cui non resta che fare rinvio, che «in tema di reclutamento del personale a termine nel settore scolastico, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 11, della l. n. 124 del 1999 (Corte cost. sentenza n. 187 del 2016), e in applicazione della direttiva n. 1999/70/CE, è illegittima, a far tempo dal 10 luglio 2001, la reiterazione dei contratti a termine, stipulati ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 11, della detta legge prima dell’entrata in vigore della l. n. 107 del 2015, rispettivamente con il personale docente e con quello ATA, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi, parametro idoneo in quanto riferibile al termine triennale previsto per l’indizione delle procedure concorsuali per i docenti dall’art. 400 del d.lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni» e che «nelle ipotesi di reiterazione di contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su cd. organico di fatto e per le supplenze temporanee, non è in sé configurabile alcun abuso ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima» (Cass. 7 novembre 2016, n. 22552 e succ. conformi);

la Corte territoriale, nel caso di specie, ha computato i trentasei mesi facendo indistintamente riferimento, nella propria motivazione, a contratti sino al termine delle attività didattiche e contratti annuali fino al 31 agosto, ma ciò si pone in contrasto con il menzionato assetto giuridico quale definito in sede nomofilattica; è qui irrilevante l’affermazione della controricorrente secondo cui il Tribunale di Arezzo avrebbe già eseguito computi in tal senso, in quanto in questa sede conta la (diversa) base fattuale affermata dalla Corte territoriale, stante l’effetto sostitutivo (per il principio, v., tra le molte, Cass. 7 febbraio 2013, n. 2955) che la pronuncia di appello comunque produce rispetto alla sentenza di primo grado, allorquando, pur a fronte di una finale statuizione sostanzialmente coincidente a quella resa dal Tribunale, sia in ipotesi differente l’assetto decisionale in fatto o in diritto;

la sentenza va quindi cassata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello affinché, in diversa composizione, verifichi se ricorra abusiva reiterazione dei contratti a termine nei sensi di cui ai principi sopra esposti;

è invece altrettanto pacifico – così rispondendo anche al secondo motivo – che, se tale illegittima reiterazione risulti accertata, trovi applicazione il principio per cui «in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”» (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072), salvo allegazione e prova di un maggior danno;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.