CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 agosto 2022, n. 24897
Pubblico impiego – Cessazione del contratto – Prosecuzione dell’incarico – Impossibilità della prestazione lavorativa nella nuova organizzazione amministrativa – Prova
Svolgimento del processo
M. F. R., con ricorso depositato il 18 febbraio 2009 presso il Tribunale di Roma, ha convenuto il Ministero dell’Economia e delle Finanze e ha esposto che:
– era stato nominato, con d.P.C.M. del 12 aprile 2005, dal 12 aprile 2005 al 31 dicembre 2005, nel limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti di prima fascia, come previsto dall’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, Direttore dell’Ufficio Comunicazione istituzionale del Dipartimento delle Politiche fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
– il rapporto di lavoro era disciplinato da contratto individuale di lavoro dirigenziale che avrebbe dovuto cessare alla data del 31 dicembre 2008;
– l’incarico era cessato anticipatamente perché, con l’art. 2, comma 161, d.l. n. 262 del 2006, introdotto dalla legge di conversione n. 286 del 2006, era modificato l’art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevedendosi che gli incarichi previsti dall’art. 19, comma 8, d.lgs. n. 165 del 2001, se conferiti prima del 17 maggio 2006, cessavano, se non confermati, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del citato d.l.;
– su proposta del Ministro delle Finanze e con apposito d.P.C.M. del 2 febbraio 2007 era stato nominato Esperto, a tempo parziale, presso il Servizio consultivo ed ispettivo tributario dell’Amministrazione finanziaria, con incarico triennale, ai sensi della legge n. 146 del 1980;
– detto incarico era stato assunto in data 28 settembre 2007;
– il Servizio consultivo ed ispettivo tributario dell’Amministrazione finanziaria era stato soppresso dall’art. 45 del d.l. n. 112 del 2008 a partire dal 25 giugno 2008;
– circa un mese prima della soppressione del citato Servizio consultivo ed ispettivo tributario dell’Amministrazione finanziaria la Corte costituzionale, con sentenza n. 161 del 2008, poi integrato con sentenza n. 81 del 2010, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, del d.l. n. 262 del 2006, con conseguente illegittimità della cessazione anticipata dell’incarico di Direzione dell’Ufficio Comunicazione istituzionale sopra indicato.
Il ricorrente ha chiesto che fosse accertato e dichiarato il suo diritto alla reintegrazione nell’incarico dirigenziale di direzione della comunicazione istituzionale in virtù del contratto stipulato il 14 febbraio 2006, con il conseguente diritto alla percezione delle retribuzioni pattuite per il residuo periodo di 2 anni e 29 giorni di vigenza del contratto o al risarcimento del danno.
In via subordinata, ha domandato, per quel che qui rileva, che:
– fosse dichiarato il suo diritto a proseguire l’attività in corso quale esperto Se.C.I.T. presso il Dipartimento delle Finanze, al quale erano state trasferite le funzioni del citato Se.C.I.T., e/o al conferimento di un incarico equivalente secondo i principi desumibili dal CCNL 2002-2005 per i dirigenti di prima fascia delle amministrazioni statali;
– fosse accertato e dichiarato il suo diritto alla prosecuzione dell’attività di cui all’incarico di esperto Se.C.I.T. e/o il suo diritto al risarcimento del danno per la cessazione dell’attività derivante dalla soppressione ex lege del Se.C.I.T.
M. F. R. ha pure eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 45 del d.l. n. 112 del 2008, convertito con legge n. 133 del 2008, per violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 Cost.
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 10687/11, ha respinto il ricorso.
M. F. R. ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3417/15, ha respinto.
M. F. R. ha presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è difeso con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo M. F. R. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 ed 11 della legge n. 146 del 1980, dell’art. 18, comma 3, della legge n. 287 del 1992, dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 107 del 2001 e dell’art. 4, comma 3 bis, del d.l. n. 138 del 2002 perché la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che l’incarico a lui attribuito aveva natura onoraria. In particolare, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 587/88 e con il parere n. 311/83, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 160/2013, avevano escluso che l’incarico di esperto tributario degli estranei all’amministrazione avesse natura onoraria.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 45 del d.l. n. 112 del 2008 in quanto la Corte d’appello di Roma avrebbe ritenuto, in maniera non corretta, che l’art. 45 del d.l. n. 112 del 2008, stabilendo solo la destinazione del personale amministrativo assegnato al S.e.C.I.T. già di ruolo presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze od altre amministrazioni pubbliche, avrebbe disposto la cessazione del rapporto con gli esperti tributari estranei alla P.A.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, quindi, avrebbe dovuto provvedere in ordine alla prosecuzione dell’incarico di esso ricorrente presso il Dipartimento delle Finanze, verificandone in concreto l’utilizzabilità e, in caso non volesse proseguire il rapporto, dimostrando che la prestazione lavorativa era assolutamente impossibile nella nuova organizzazione amministrativa.
Con il terzo motivo M. F. R. si duole del fatto che la corte territoriale avesse ritenuto che “l’attuale appellante non ha mai messo in dubbio la natura del proprio rapporto di lavoro, cioè di estraneo all’amministrazione” atteso che, in questo modo, il giudice di secondo grado non aveva considerato che nelle sue conclusioni, sia davanti al tribunale che in appello, aveva chiesto l’accertamento del suo diritto “alla prosecuzione del rapporto di impiego presso l’Amministrazione”.
In particolare, egli aveva dedotto di essere legato alla P.A. da un rapporto speciale di pubblico impiego e che questa ricostruzione era supportata dal parere del Consiglio di Stato n. 311/1983, non esaminato, nonostante fosse stato depositato, dalla Corte d’appello di Roma.
Le tre doglianze, in ragione della stretta connessione, vanno esaminate congiuntamente e sono fondate.
L’art. 9, comma 1, della legge n. 146 del 1980 aveva istituito nell’ambito dell’Amministrazione finanziaria, alle dirette dipendenze del Ministro delle finanze, il servizio centrale degli ispettori tributari, divenuto, poi, servizio consultivo ed ispettivo tributario (art. 1, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 382 del 1999), il c.d. SECIT.
Le attribuzioni del SECIT consistevano (art. 22, comma 1, d.P.R. n. 107 del 2001) nell’elaborazione di studi di politica economica e tributaria e di analisi fiscale in conformità agli indirizzi del Ministro (delle Finanze, in origine, dell’Economia e delle Finanze, successivamente).
L’organico del servizio era composto di cinquanta esperti (art. 10 della legge n. 146 del 1980 e successive modifiche, successivamente art. 22 d.P.R. n. 107 del 2001) scelti tra i funzionari dell’amministrazione finanziaria e delle altre pubbliche amministrazioni con qualifica non inferiore a dirigente, tra il personale di magistratura avente almeno la ex qualifica di appello, e tra soggetti non appartenenti alla pubblica amministrazione, in possesso di elevate competenze ed esperienza professionale nelle discipline economico-finanziarie, statistiche, contabili o aziendalistiche. Per soddisfare esigenze di studio e di vigilanza del dipartimento delle finanze per le politiche fiscali al Ministro venne attribuita la facoltà di distaccare presso il SECIT, sino alla concorrenza di metà dell’organico, “esperti del servizio nel limite di un contingente non superiore al 50 per cento dei componenti previsti, ponendoli alle dipendenze funzionali del capo dipartimento (art. 22, comma 1, d.P.R. n. 107 del 2001).
Tali esperti erano nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle finanze e la durata dell’incarico era stata determinata con rinvio all’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 80 del 1998, poi trasfuso nell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Gli esperti appartenenti a ruoli diversi dall’Amministrazione delle finanze erano collocati fuori ruolo, o in posizione equivalente, per la durata dell’incarico (art. 10, comma 4, legge n. 146 del 1980 e successive modifiche).
Agli esperti era stato imposto (art. 11, comma 7, legge 146 del 1980 e successive modifiche) il dovere di rispettare il segreto d’ufficio e di astenersi negli affari nei quali essi stessi o parenti o affini avessero interesse. Inoltre, essi non potevano esercitare attività professionali o di consulenza, ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, pena la decadenza dall’incarico, salvo che per gli esperti a tempo parziale, i quali potevano essere assunti o con rapporto dipendente a tempo parziale, o mediante rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Per quanto riguarda lo stato giuridico, agli esperti SECIT non appartenenti alla P.A. si applicavano, indipendentemente dalla loro provenienza, le disposizioni in materia riguardanti gli impiegati civili dello Stato (art. 18, comma 3, d.P.R. n. 287 del 1992).
Quanto al trattamento economico, questo era onnicomprensivo, pari al trattamento fondamentale previsto dal CCNL dei dirigenti di prima fascia, ed era pure prevista una speciale indennità (art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 107 del 2001).
In seguito al d.l. n. 112 del 2008, la legge di conversione n. 133 del 2008 ha previsto, all’art. 45, che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Servizio consultivo ed ispettivo tributario è soppresso e, dalla medesima data, le relative funzioni sono attribuite al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze ed il relativo personale amministrativo è restituito alle amministrazioni di appartenenza ovvero, se del ruolo del Ministero dell’economia e delle finanze, assegnato al Dipartimento delle finanze di tale Ministero”.
Successivamente, il d.l. n. 125 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 163 del 2010, ha disposto, con l’art. 2, comma 1 ter, che “L’articolo 45, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si interpreta nel senso che l’incarico onorario di esperto del servizio consultivo ed ispettivo tributario si intende in ogni caso cessato ad ogni effetto, sia giuridico sia economico, a decorrere dalla data di entrata in vigore della predetta disposizione”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 160 del 19 giugno 2013, ha dichiarato, però, l’illegittimità costituzionale della disposizione da ultimo citata, sul rilievo che la norma interpretativa è “sopraggiunta solo quando il SECIT già non esisteva più ed i relativi rapporti erano ormai esauriti, per riqualificarli retroattivamente, attribuendo loro la funzionare onoraria, mai precedentemente considerata” e ha osservato che “il legislatore ha in tal modo leso le legittime aspettative degli esperti esterni, consistenti nel convincimento che i relativi incarichi restassero assoggettati alla generale normativa prevista dal codice civile in materia di contratti a prestazioni corrispettive” (punto 2.3 della sentenza).
La Corte costituzionale ha rilevato che le disposizioni di legge, durante la vigenza del SECIT e prima dell’intervento dell’art. 2 comma 1 ter, del d.l. n. 125 del 2010, aggiunto dalla legge di conversione n. 163 del 2010, avevano disciplinato in modo incompatibile con la norma interpretativa i rapporti con gli esperti esterni, regolandone la selezione (improntata a valutazioni di carattere tecnico professionale), le modalità di svolgimento, il trattamento economico (parametrato a quello della dirigenza pubblica), e le relative incompatibilità, e ha osservato che il lavoro degli esperti all’interno degli uffici “era regolato da specifica e minuziosa disciplina”.
La Corte costituzionale ne ha desunto che i caratteri della disciplina legale del rapporto di lavoro degli esperti esterni “se risultano compatibili sia con un rapporto di pubblico impiego a tempo determinato, sia con un rapporto di locazione d’opera e/o lavoro parasubordinato, non sono invece presenti nei rapporti di servizio onorario”.
Pertanto, in coerenza con il decisum della Corte costituzionale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che le leggi speciali hanno disciplinato i rapporti con gli “esperti esterni” del SECIT (e, in particolare la selezione, le modalità di svolgimento, il trattamento economico, lo stato giuridico e le relative incompatibilità) in modo inconciliabile con il servizio onorario (Cass., Sez. L, n. 22671 del 19 ottobre 2020).
Sempre sulla base delle argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale, la Corte di cassazione (Cass., Sez. L, n. 16753 ‘ 21 giugno 2019) ha affermato il principio così massimato: ‘ disciplina specifica degli esperti esterni del SECIT non esclude configurabilità di un rapporto di pubblico impiego a termine, siccome risultante dall’accertamento dell’effettivo inserimento nella organizzazione pubblicistica e dell’adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’ente pubblico, non assumendo rilievo, di contro, l’assenza di un atto formale di nomina né la violazione delle norme imperative in tema di assunzione alle dipendenze della P.A.; ne consegue che la soppressione del SECIT per factum principis non comporta di per sé la risoluzione del rapporto in difetto di prova, da parte del datore pubblico, dell’impossibilità di continuare a ricevere la prestazione“.
Se ne ricava che ha errato la Corte d’appello di Roma nel ritenere il carattere onorario del rapporto in esame e nel sostenere che l’art. 45 del d.l. n. 112 del 2008, stabilendo solo la destinazione del personale amministrativo assegnato al S.e.C.I.T. già di ruolo presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze od altre amministrazioni pubbliche, avrebbe disposto la cessazione del rapporto con gli esperti tributari estranei alla P.A.
Infine, si rileva che non è condivisibile l’affermazione della corte territoriale secondo cui “l’attuale appellante non ha mai messo in dubbio la natura del proprio rapporto di lavoro, cioè di estraneo all’amministrazione”.
Si tratta, infatti, di una considerazione del tutto immotivata, che è completamente incoerente con lo sviluppo della decisione, che si è in gran parte fondata proprio sulla considerazione che, nella specie, ricorreva con la P.A. un rapporto non di impiego, ma onorario.
Non si evince la ragione per la quale la sentenza impugnata avrebbe affrontato, anche su richiesta della controparte, la questione della natura del rapporto in esame, se realmente “l’attuale appellante non ha mai messo in dubbio la natura del proprio rapporto di lavoro, cioè di estraneo all’amministrazione”.
Inoltre, si osserva che non è chiaro il significato che la Corte d’appello di Roma attribuisce alla circostanza di essere “estraneo all’amministrazione”, considerato che, una volta entrato nel SECIT, M. F. R. aveva di certo instaurato un qualche rapporto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
In ogni caso, si sottolinea che, a prescindere dall’impostazione difensiva del ricorrente adottata nei precedenti gradi di giudizio, finalizzata ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di pubblico impiego (come si ricava dalle parti del ricorso introduttivo e dell’appello riportate nell’atto d’impugnazione), la stessa proposizione di una domanda di accertamento del “diritto a proseguire l’attività in corso quale esperto Se.C.I.T. presso il Dipartimento delle Finanze, al quale erano state trasferite le funzioni del citato Se.C.I.T., e/o al conferimento di un incarico equivalente secondo i principi desumibili dal CCNL 2002-2005 per i dirigenti di prima fascia delle amministrazioni statali” fondata sulla normativa e sulla giurisprudenza richiamate contiene in sé, implicitamente, l’affermazione dell’esistenza di un rapporto con la P.A. interessata e la negazione del suo carattere onorario.
2) Il ricorso è accolto.
La decisione impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso;
– cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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