CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2021, n. 17481
Tributi – Imposta di registro – Decreto ingiuntivo per mancato pagamento di operazioni di finanziamento – Principio di alternatività IVA/Registro – Imposta in misura fissa. – Contenzioso tributario – Sentenza – Extrapetizione – Annullamento e decisione nel merito
Rilevato
1) che la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con la sentenza n. 6974/16, accoglieva il ricorso della S. SpA, annullando, per omessa motivazione, l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro relativa al decreto ingiuntivo n. 1533/12 emesso dal Giudice di pace di Caserta, con cui si liquidava tale imposta a carico di D.M., in merito ad un contratto di finanziamento, da quest’ultimo ottenuto e non pagato, che in seguito era stato ceduto dalla F. SpA alla S. SpA;
che la predetta sentenza (ai fini dell’autosufficienza allegata al ricorso sub 4) dell’elenco produzioni accoglieva il motivo che, lamentando la lesione del principio di alternatività IVA-Registro rivendicava la tassazione pari ad € 168,00 invece che 400,00, e, in ogni modo, la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla tassazione in misura proporzionale;
che, nello specifico, la CTP affermava :
A) che era del tutto assente la motivazione in ordine all’atto enunciato, di cui l’Agenzia aveva fatto richiamo nelle proprie controdeduzioni al ricorso, tassa di titolo, comunque, da escludere mancando il presupposto dell’identità delle parti del procedimento monitorio, a norma dell’art. 22 TUIR;
B) che il principio dell’alternatività IVA/Registro, ex art. 40 TUIR, vale per tutte le operazioni imponibili e non imponibili o esenti, dell’ambito IVA (artt. 8, 8bis, 9, 38 quater e 10 DPR n. 633/1972 e per le operazioni non soggette al tributo per difetto del presupposto della territorialità);
C) che suddetto principio vale anche per le operazioni di finanziamento bancario, quale quella in esame, rientranti nel campo applicativo IVA, anche se esenti a norma dell’art.10 c.1 DPR 633/1972;
D) che, perciò, i decreti ingiuntivi, emessi per il mancato pagamento di operazioni di finanziamento vanno registrati, a norma dell’art.40, a tassa fissa ;
E) che la giurisprudenza di legittimità ha formulato il condivisibile e consolidato principio secondo cui il decreto ingiuntivo che un istituto di credito ( come tale avente qualità di soggetto IVA) ottenga per il conseguimento della controprestazione ad esso dovuta per la concessione di un prestito (fattispecie implicante l’insorgenza dell’obbligo di pagare l’IVA con rivalsa nei confronti del solvens, ai sensi degli artt. 3 e 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), assume la consistenza di condanna ad un pagamento sottoposto all’imposta sul valore aggiunto, di talché, in forza del canone della alternatività di detta imposta su quella proporzionale di registro, l’atto, a norma e per gli effetti dell’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, va registrato a tassa fissa ;
F) che in tal senso è allineata la regolamentazione amministrativa ;
G) che, essendo stata liquidata l’imposta in misura proporzionale e non fissa, andava accolto il ricorso della contribuente;
che la Commissione Tributaria Regionale Campania, con la sentenza qui impugnata, richiamando integralmente la motivazione del primo giudice, e ribadendo quanto deciso in ordine alla “tassa di titolo”, ha respinto l’appello dell’Agenzia delle entrate che aveva sostenuto di aver tassato in misura fissa, sia il decreto ingiuntivo sia il contratto di finanziamento in esso enunciato, a norma dell’art.22 DPR n.131/1986;
che per la cassazione della predetta sentenza l’Ufficio ha interposto ricorso e l’intimata ha depositato controdeduzioni, ribadite con memoria;
Considerato che
con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ., lamentando che la sentenza è affetta da extrapetizione, avendo rigettato in toto l’appello dell’Ufficio, nonostante la contribuente avesse ammesso la debenza dell’imposta di registro, in misura fissa e non proporzionale, in relazione al decreto ingiuntivo.
Il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione.
La decisione dei giudici di merito, che si prospetta come un atto complesso inglobando le due pronunce in un ‘unica risoluzione, è sicuramente articolata in una premessa corretta in fatto ed in diritto, essendo stata riconosciuta la legittimità della imposizione a tassazione del decreto ingiuntivo, in misura fissa e non proporzionale, così come prospettato dall’originario ricorso della società finanziaria, ove si fa specifico e corretto richiamo al principio dell’alternatività IVA/Registro ed alla necessità di tassare il decreto ingiuntivo in misura fissa.
Corrette sono, pertanto sia l’affermazione, contenuta nella prima pronuncia, secondo cui il decreto ingiuntivo va tassato, in ragione della correlazione ad atto soggetto ad IVA, in misura fissa, rideterminata in € 160,00, sia l’affermazione, in risposta alla tardiva giustificazione dell’Ufficio, secondo cui non vi è, nell’avviso impugnato, alcun riferimento alla “tassa di titolo” o atto enunciato, sicché la motivazione sul punto è del tutto omessa, neanche a voler considerare la situazione nei termini così prospettati, venendo in evidenza un contratto di cessione di credito, mancherebbe, per rendere legittima la tassazione, il presupposto dell’identità delle parti, a norma dell’art. 22 TUR che recita: «Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate».
Ciò che non è corretto nella decisione di merito è l’annullamento integrale dell’avviso dì liquidazione, non essendosi i giudici del merito uniformati al consolidato principio di questa Corte, secondo cui, essendo il processo tributario a cognizione piena e tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso,« solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso.»( tra le tante, non tutte massimate, Cass. 11935/2012; Cass. 13294/2016; Cass. 18777/2020 )
Come, peraltro, già è stato detto da questa Corte con l’ordinanza n.12597/2020, relativa ad analogo ricorso, devolutosi tra gli stessi soggetti e sullo stesso oggetto, « è principio consolidato di questa Corte e condiviso dal Collegio, quello secondo cui «Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicché il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dall’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’ “an” o di una condanna generica» (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass. n. 24611 del 2014, n. 26157 del 2013, n. 13034 del 2012 nonché Cass., Sez. U., n. 13916 del 2006). Principio, questo, che muove sulla scia di quello, analogamente condivisibile, precedentemente citato. secondo cui «Il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione -il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, di acquisire “aliunde” i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11935 del 13/07/2012, Rv. 623322). Pertanto, quando «il giudice […] ravvisata] l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve né può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti» (Cass. n. 17072 del 2010), dando «alla pretesa dell’amministrazione un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c, […] in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria» (Cass. n. 1852 del 2008), oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentito al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo….>>
Questo collegio condivide i principi ispiratori della su estesa decisione che, pur in presenza di vizi formali della motivazione, contempera il diritto di difesa del contribuente con quello dell’effettività del potere di controllo e di valutazione, consentito al giudice tributario, nel giudizio tributario che non si devolve solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, consentendo la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo, anche in considerazione della indispensabile economicità dell’azione amministrativa.
Nel caso in esame, pur partendo da una corretta disamina del rapporto tributario, le Corti di merito sono pervenute ad una decisione che pretermette i principi, su richiamati, cui deve ispirarsi il giudizio tributario, essendo pacifica, all’esito del giudizio, la debenza dell’imposta di registro in misura fissa pari ad € 168,00 per l’ingiunzione di pagamento e la non configurabilità della sola tassa di titolo, in assenza dei presupposti di legge, a causa della totale omissione della motivazione dell’avviso di liquidazione, sul punto, avuto riguardo agli elementi che legittimano tale imposizione.
Il ricorso deve essere, pertanto, accolto nei limiti di cui in motivazione: la sentenza va, pertanto, cassata e non essendo necessario alcun accertamento di merito, a norma dell’art. 384 cod.proc.civ., decidendo nel merito, dichiara dovuta l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 168,00.
Le spese dell’intero giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara dovuta l’imposta di registro in misura fissa.
Spese dell’intero giudizio compensate.
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