CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 aprile 2018, n. 9733
Differenze retributive – Consulenza tecnica d’ufficio – Proposizione della querela di falso – Inammissibile in quanto non munita di pubblica fede
Premesso
che con sentenza n. 994/2012, depositata l’11 ottobre 2012, la Corte d’appello di Firenze ha respinto il gravame di G.B. e altri litisconsorti avverso la pronuncia di primo grado con cui il Tribunale di Firenze aveva revocato il decreto ingiuntivo per il pagamento di differenze retributive emesso – sulla base del titolo costituito dalla sentenza della Corte di appello di Venezia n. 403/2005 – nei confronti di S. S.p.A., rideterminando le somme spettanti ai lavoratori in misura inferiore rispetto agli importi richiesti;
– che a sostegno della propria decisione la Corte di appello di Firenze ha osservato come la sentenza definitiva, in forza della quale i lavoratori avevano agito, per quanto generica sotto il profilo della determinazione del quantum, fosse invece specifica sotto il profilo della individuazione del titolo in relazione al quale le differenze erano state riconosciute (livello superiore spettante ai lavoratori per la maggiore anzianità che era da riconoscersi per effetto della continuità del rapporto di lavoro tra la cedente ATP e la cessionaria S., oltre all’indennità di conduzione autosnodati) e come, in sede di ricorso per ingiunzione, tale pronuncia non potesse essere forzata fino a comprendere voci delle quali mai era stato discusso ed il cui fondamento in fatto, con riguardo al periodo lavorativo svolto presso la società cessionaria, non era stato oggetto di specifica deduzione e prova;
– che d’altra parte, ha osservato ancora la Corte, a fronte di una più ampia domanda, comprendente voci diverse, la sentenza emessa dai giudici di appello di Venezia si era limitata a ritenerne la fondatezza per le sole differenze dovute in ragione del superiore livello di inquadramento e della indennità conduzione di autosnodati, rigettando – come da dispositivo – le ulteriori richieste, con la conseguenza che essa non avrebbe potuto fondare la pretesa di un generale ricalcolo retributivo sulla base degli accordi vigenti presso la cedente, ivi comprese quello delle “competenze accessorie unificate”;
– che avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 994/2012 hanno proposto ricorso per cassazione i lavoratori con tre motivi, contestualmente proponendo querela di falso nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio di primo grado;
– che hanno resistito con controricorso le società S. S.p.A. e B. S. Nord S.r.l. (già F.S. T.G. S.r.l.);
– che risultano depositate comparse di costituzione di nuovi difensori per M.F. e R.S. (avv. D.M.) e per gli altri ricorrenti (avv. S.M.),
i quali hanno altresì depositato memoria illustrativa;
Rilevato
che con il primo motivo viene dedotta la violazione di legge, per mancata o erronea applicazione dell’art. 2112 cod. civ., sul rilievo che la sentenza (definitiva) della Corte di appello di Venezia non era tale da lasciare dubbi in ordine al fatto che l’applicazione di tale norma implicasse una ricostruzione completa della retribuzione dovuta ai ricorrenti;
– che, con il secondo e con il terzo, viene dedotta la carenza assoluta di motivazione e la illogicità manifesta della sentenza di secondo grado, per avere la Corte di appello di Firenze recepito le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, nonostante che gli errori commessi dall’ausiliare del giudice fossero risultati tanto gravi da indurre al deposito di una denuncia per falsa perizia;
osservato
– che la querela di falso è inammissibile, posto che, in primo luogo, nel giudizio dinnanzi la Corte di cassazione la richiesta di autorizzazione alla proposizione della stessa non può essere formulata con riferimento a documenti utilizzati nella decisione impugnata, ma soltanto in relazione a quelli prodotti nel giudizio di legittimità (Sez. U n. 11964/2011);
– che, d’altra parte, l’idoneità del documento impugnato ad assumere efficacia di prova privilegiata costituisce il presupposto necessario del procedimento di cui agli artt. 221 e ss. cod. proc. civ.; con la conseguenza che è inammissibile la proposizione della querela di falso avverso la consulenza tecnica d’ufficio, la quale, riguardo alle affermazioni, constatazioni o giudizi in essa contenuti, non è munita di pubblica fede, potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova e non essendo vincolante per il giudice, che può liberamente disattenderla (Cass. n. 9796/2011);
– che il primo motivo di ricorso è inammissibile;
– che, infatti, il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. n. 18421/2009);
– che è invero consolidato il principio secondo il quale nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto, che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione: Cass. n. 16038/2013 (ord.);
– che, pertanto, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata;
– che, ciò premesso, è da rilevare che il motivo in esame non si è conformato ai canoni richiamati in tema di formulazione del motivo di cui all’art. 360 n. 3, non censurando specificamente la ragione decisoria, sulla base della quale la Corte di appello di Firenze è pervenuta al rigetto del gravame e alla conseguente conferma della pronuncia di primo grado;
– che risultano parimenti inammissibili gli altri motivi di ricorso;
– che invero gli stessi ripropongono rilievi e argomenti di merito, il cui esame è estraneo ai compiti assegnati dall’ordinamento alla Corte di legittimità, e comunque, ove tendano a esprimere critiche di ordine motivazionale alla decisione impugnata, non si conformano al modello del nuovo vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella I. 7 agosto 2012, n. 134, e delle precisazioni di cui alle sentenze di questa Corte a Sezioni Unite n. 8053 e n. 8054 del 2014, a fronte di sentenza depositata l’11 ottobre 2012 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma;
ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– che deve essere disattesa l’istanza di condanna per responsabilità aggravata, essendo stato il giudizio promosso prima dell’entrata in vigore (4 luglio 2009) della I. n. 69/2009, che ha introdotto l’ultimo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in relazione al quale l’istanza in esame risulta formulata
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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