CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 maggio 2021, n. 13594
Tributi – IRPEF – Accertamento – Reddito di capitale conseguente all’accertamento nei confronti della società partecipata – Litisconsorzio – Esclusione – Assenza dell’opzione per il regime di trasparenza – Formazione del giudicato nella controversia societaria
Rilevato che
Il sig. M.D., socio titolare della quota del 50% del capitale della P.C. S.r.l., fu raggiunto da avviso di accertamento per l’anno 2005, col quale – a seguito della contestazione di maggior reddito da capitale ai fini IRPEF e relative addizionali, a sua volta conseguente ad accertamento notificato nei confronti dell’anzidetta società, che aveva comportato la rettifica del reddito d’impresa dalla stessa dichiarato per la stessa annualità di riferimento – furono recuperate a tassazione le maggiori imposte ritenute dovute, oltre sanzioni ed interessi.
L’atto impositivo fu impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Caserta, che accolse parzialmente il ricorso, in ragione del parziale accoglimento, da parte dello stesso giudice tributario, del ricorso della società avverso l’avviso di accertamento ad essa relativo, che aveva ridotto del 10% la percentuale di ricarico applicata, in tal modo rideterminando il reddito d’impresa rispetto a quanto contestato dall’Amministrazione in sede di accertamento.
L’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado relativamente alla parte che lo vedeva soccombente fu respinto dalla Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania, con sentenza n. 247/50/14, depositata il 14 gennaio 2014, non notificata.
Avverso la pronuncia della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 101 cod. proc. civ., congiuntamente all’art. 111, primo comma, Cost. e conseguente nullità dell’intero procedimento, rilevando come tanto la pronuncia di primo grado quanto quella resa in grado di appello avevano omesso il rilievo, esperibile anche d’ufficio, della carenza d’integrità del contraddittorio, atteso che la controversia circa il maggior reddito da capitale attribuito al socio D. era inscindibilmente legata a quello della società e degli altri componenti la compagine societaria, atteso che, pur essendo la P.C. S.r.l. società di capitali, essa aveva optato per l’anno oggetto di accertamento, in relazione agli artt. 115 e 116 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR) per il regime della trasparenza fiscale, restando quindi applicabile il disposto dell’art. 5 TUIR e trovando applicazione nella fattispecie i principi in tema di sussistenza di litisconsorzio necessario sostanziale di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte 4 giugno 2008, n. 14815).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, primo e quarto comma del d.P.R. n. 600/1973, nonché omessa pronuncia ed esame di domanda e/o su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., non avendo la CTR in alcun modo esaminato l’eccezione preliminare di merito riguardo alla decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere impositivo, essendo stato l’avviso di accertamento notificato al D. solo in data 16 gennaio 2012, oltre quindi il quadriennio previsto, appunto, a pena di decadenza, dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 nella sua formulazione applicabile ratione temporis, che avrebbe determinato la scadenza di detto termine al 31 dicembre 2010.
3. Il primo motivo va rigettato per un duplice ordine di ragioni.
3.1. Quanto alla prima, deve osservarsi che il processo riguardante l’avviso di accertamento notificato nei confronti della società per la stessa annualità d’imposta è stato già deciso con pronuncia definitiva (Cass. sez. 5, ord. 11 marzo 2020, n. 6806), che rigettò il ricorso per cassazione proposto dalla società avverso la sentenza della CTR della Campania n. 268/2012, depositata il 18 ottobre 2012, che aveva confermato – respingendo tanto l’appello principale della società quanto quello incidentale dell’Ufficio – la sentenza di primo grado che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della società medesima, rideterminando il reddito d’impresa rispetto a quello accertato, previa riduzione della percentuale di ricarico quanto all’accertamento dei ricavi in via induttiva.
3.1.1. Espressamente con la citata Cass. ord. n. 6806/20, nel disattendere la questione analoga circa la dedotta carenza d’integrità del litisconsorzio, si osservò che si trattava di società di capitali per la quale non risultava neppure allegata l’opzione per il regime di trasparenza, viceversa in questa sede dedotta dall’odierno ricorrente, quando ormai il giudicato formatosi sull’accertamento tributario preclude il simultaneus processus.
3.1.2. Appare inoltre opportuno aggiungere che L’accertamento in fatto compiuto dalla CTR, con la sentenza oggetto d’impugnazione da parte del contribuente nel presente giudizio, dell’entità del reddito del D. da partecipazione societaria nella P.C. S.r.l. è del resto in linea con quanto statuito con efficacia ormai definitiva nei confronti della società.
3.2. Venendo all’esame del secondo profilo, deve peraltro rilevarsi come, pur alla stregua dei principi espressi da Cass. SU 4 giugno 2008, n. 14815 e successiva giurisprudenza conforme, debba essere esclusa nella fattispecie in esame la ricorrenza dei presupposti per l’affermazione del litisconsorzio necessario di natura sostanziale riguardo all’unicità dell’accertamento, essendo stata l’impugnazione proposta dal socio avverso l’avviso di accertamento, notificato nei propri confronti per il maggior reddito di capitale accertato, basata, oltre che sulla contestazione del maggior reddito d’impresa accertato in capo alla società, su “questioni personali”, come si evince dal secondo motivo di ricorso, relativamente alla dedotta eccezione di decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento, in relazione alla duplicazione degli avvisi riguardanti il socio D., il primo non notificato, il secondo, di contenuto identico ma avente diverso numero identificativo, notificato, secondo il contribuente, allorché il termine di decadenza era ormai irrimediabilmente decorso.
4. Il secondo motivo, nei quali il ricorrente pone, cumulativamente, plurimi ordini di censure, deve essere ugualmente rigettato.
4.1. In primo luogo va osservato che è senz’altro infondata la denuncia del vizio di omessa pronuncia, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la ricorrenza di detto vizio va esclusa quando, in difetto di statuizione espressa, la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 19 giugno 2018, n. 16164; Cass. sez. 1, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. sez. 1, 11 settembre 2015, n. 17956).
4.2. Nella fattispecie in esame, la CTR, pur non affrontando in maniera esplicita la questione concernente la dedotta decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere accertativo, nel confermare la pronuncia di primo grado nel merito in ordine al quantum della rettifica del reddito da capitale del socio rispetto a quello accertato in ragione dell’esito del giudizio, nella fase di merito, sull’accertamento relativo alla società per lo stesso anno d’imposta, ha implicitamente rigettato l’eccezione di decadenza, riproposta dal contribuente nel ricorso in appello (come espressamente dato atto dalla CTR nella parte espositiva del fatto processuale nella sentenza impugnata), ciò escludendo peraltro che la stessa questione potesse porsi in relazione al diverso parametro, neppure formalmente invocato, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quale denuncia di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti.
4.3. Risulta ugualmente infondata la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 43, primo e quarto comma, del d.P.R. n. 600/1973, alla stregua delle seguenti osservazioni.
4.4. Premesso che il quarto comma dell’art. 43 d.P.R. n. 600/1973 quale applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, riguarda il c.d. accertamento integrativo, nel senso che l’originario accertamento possa essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, purché in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi di cui l’atto integrativo o modificativo deve dar conto a pena di nullità, deve escludersi che nella fattispecie in oggetto – pacificamente riguardante notifica di un atto del medesimo contenuto del precedente, la cui notifica non era andata a buon fine, ma ontologicamente differente, essendogli stato attribuito diverso numero identificativo rispetto al precedente – possa imputarsi alla sentenza impugnata di essere incorsa nel denunciato error in iudicando nel non aver rilevato la pretesa violazione del principio del ne bis in idem, postulato dalla norma in esame.
4.5. Il motivo è infondato anche nella parte in cui il ricorrente lamenta la violazione della norma di cui in rubrica per non avere la CTR rilevato la decadenza in cui, secondo il contribuente, sarebbe incorsa l’Amministrazione finanziaria in relazione al tempo di notifica dell’avviso di accertamento n. TF7011000018/2012, dalla cui impugnazione dinanzi alla CTP di Caserta ha avuto origine il presente giudizio.
4.5.1. Il ricorrente ha dedotto in proposito che detto avviso di accertamento, sebbene identico nel contenuto, ma con diverso numero identificativo, è stato emesso in sostituzione di precedente avviso di accertamento del quale il contribuente è venuto a conoscenza solo a seguito della cartella successivamente emessa, oggetto a sua volta d’impugnazione dinanzi alla CTP di Caserta, dinanzi alla quale il contribuente ebbe ad impugnare anche l’atto impositivo presupposto, stante il difetto di notifica dello stesso, venendo quindi definito il relativo giudizio, come si evince dai documenti allegati dall’Amministrazione finanziaria al proprio controricorso, con declaratoria di cessazione della materia del contendere, essendo stato disposto dall’Agenzia delle Entrate lo sgravio in autotutela relativamente al primo avviso di accertamento.
4.5.2. Ciò avrebbe comportato, secondo il ricorrente, che, al tempo della notifica del secondo, seppur identico nel contenuto, avviso di accertamento, alla data del 16 gennaio 2012, il termine di decadenza, da fissarsi al 31 dicembre 2010, ai sensi del primo comma dell’art. 43 del citato d.P.R. n. 600/1973, sarebbe irrimediabilmente decorso.
4.5.3. Detto assunto non può essere condiviso. Deve ritenersi, infatti, che il “rinnovato” avviso di accertamento n. TF7011000018/2012, allegato al controricorso dell’Amministrazione finanziaria, in uno alle controdeduzioni dell’Ufficio già depositate nel primo grado di giudizio dinanzi alla CTP di Caserta, contenga in sé le ragioni atte a giustificare la sussistenza dei presupposti per il c.d. “raddoppio” dei termini di decadenza, in base all’allora terzo comma dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, come introdotto dall’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni, nella l. 4 agosto 2006, n. 248, nella parte in cui evidenzia che la maggiore imposta IRPEF accertata a carico del contribuente per l’anno 2005, per il quale risultava avere omesso la dichiarazione, era pari ad euro 300.190,00, ben oltre quindi il limite soglia, secondo la disciplina del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella formulazione applicabile ratione temporìs, per la punibilità della relativa evasione d’imposta a titolo di reato.
4.5.4. Al riguardo va pertanto assicurata ulteriore continuità all’indirizzo già espresso da questa Corte, secondo cui « [i]n tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla I. 248 del 2006, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c.» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 30 ottobre 2018, n. 27629), essendo stato altresì chiarito, dalla menzionata Corte cost. n. 247/2011, che la relativa disciplina presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 334 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal succitato d. Igs. n. 74/2000, e non anche la sua effettiva presentazione (cfr. anche, più di recente, ex multis, Cass. sez. 5, ord. 2 luglio 2020, n. 13481).
5. Il ricorso va pertanto rigettato.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della contro ri corrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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