Corte di Cassazione ordinanza n. 19049 depositata il 13 giugno 2022
vizio di omessa pronuncia
Rilevato che:
Z.I S.p.a. (in seguito “Z.I”) (consolidata) e F. S.r.l. (consolidante) propongono separati ricorsi, ciascuno con cinque motivi (identici nei due ricorsi, e che pertanto verranno esaminati una sola volta), e depositano memoria, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con due identici controricorsi, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Veneto, riuniti per connessione gli appelli riguardanti la consolidante e la consolidata, per quanto adesso rileva, in parziale riforma della sentenza (n. 7/07/11) della Commissione tributaria provinciale di Vicenza, ha confermato i tre avvisi di accertamento, ai fini Ires, Irap e per le sanzioni, per il 2004, diretti a Z.I, e l’avviso ai fini Ires e per le sanzioni, diretto a F. S.r.l. (che, in qualità di consolidante, è responsabile in solido verso il fisco con la consolidata), nella parte riguardante la ripresa a tassazione dei canoni (per gli anni 2002, 2003 e 2004, per un totale di euro 815.374,00) di cui ai dei due contratti di affitto di azienda stipulati da Z.I con le partecipate (in misura totalitaria) Z.G. S.p.a. e Zincheria Padovana S.r.l., successivamente (nel 2005) acquisite dall’affittuaria mediante fusione per incorporazione, in ragione della natura elusiva delle operazioni, finalizzate ad un indebito risparmio di imposta e non sorrette da valide ragioni economiche;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso [«1) Primo motivo – omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (concernenti l’esistenza di un “indebito vantaggio fiscale” ottenuto con lo strumento di “affitto delle due aziende” rispetto agli strumenti alternativi “mantenimento status quo” ovvero “fusione per incorporazione” delle due società concedenti) che sono stati prospettati dalla contribuente e dibattuti tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, del c.p.c. – nel testo sia precedente che successivo alle modifiche intervenute ex 54, co. 1, lett. b, del d.l. n. 83/2012).»], le ricorrenti censurano la sentenza impugnata che non ha preso in esame i fatti decisivi addotti dalle due società idonei a dimostrare che l’affitto di azienda — quale strumento alternativo alla prosecuzione della gestione diretta da parte delle due società affittanti, ovvero all’immediata fusione per incorporazione delle stesse compagini (posto che la fusione per incorporazione è stata differita al 2005) — non ha comportato alcun indebito vantaggio fiscale in quanto le perdite pregresse delle società affittanti sarebbero state recuperate sia in caso di gestione diretta sia in caso di fusione immediata;
2. con il secondo motivo [«2) Secondo motivo – Violazione o falsa applicazione dell’art. 37-bis, co. 1, del dpr 29.9.1973 n. 600 e succ. mod., dell’art. 41 della Costituzione e dell’art. 43 del Trattato UE circa la sussistenza o meno di “valide ragioni economiche” nelle operazioni di “affitto di azienda” realizzate dalla contribuente (art. 360, co. 1, n. 3, del c.p.c.)»], le ricorrenti censurano la sentenza impugnata che, pur riconoscendo che con le operazioni di affitto di azienda potevano essere raggiunti una serie di obiettivi imprenditoriali, non ha considerato che l’esistenza di ragioni economiche apprezzabili, diverse dal mero risparmio di imposta, è di per sé sufficiente ad escludere la natura elusiva dell’operazione, il cui accertamento va condotto con la “massima cautela” al fine di evitare un sindacato senza limiti dell’Amministrazione finanziaria sulle libere scelte delle forme giuridiche;
3. con il terzo motivo [«3) Terzo motivo – omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (concernenti l’esistenza di “valide ragioni economiche” alla base delle operazioni di “affitto di azienda”) che sono stati prospettati dalla contribuente e dibattuti tra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, del c.p.c. – nel testo sia precedente che successivo alle modifiche intervenute ex 54, co. 1, lett. b, del d.l. n. 83/2012).»], le ricorrenti censurano la sentenza impugnata che non ha considerato che le operazioni in discorso rispondevano sia alla necessità di separare dalla Z.I i rischi di natura patrimoniale derivanti dalle due società industriali nella prima fase di risanamento ed integrazione delle aziende appena acquisite, sia alla necessità di procedere immediatamente con l’affitto a tale risanamento ed integrazione e di realizzare la fusione solo una volta verificata la sussistenza dei relativi presupposti economici e dopo che dalla Z.I erano usciti i soci di minoranza che dissentivano dal programma di sviluppo industriale;
4. con il quarto motivo [«4) Quarto motivo – Nullità della sentenza. Error in procedendo per violazione dell’art. 112 del c.p.c. – Omessa pronuncia sulla eccezione della contribuente concernente l’illegittimità degli accertamenti Ires ed Irap nel calcolo delle maggiori imposte in violazione degli artt. 37-bis, commi 2 e 5, e 67 del dpr 29.9.1973 n. 600 e succ. mod. e dell’art. 163 del tuir – dpr 22.12.1986 n. 917 e succ. mod. (art. 360, co. 1, n. 4, del c.p.c.).»], si deduce la nullità della sentenza che non ha pronunciato sull’eccezione della contribuente, prospettata in entrambi i gradi del giudizio di merito, riguardante l’illegittimità degli accertamenti ai fini Ires e Irap nel calcolo delle maggiori imposte a causa della mancata ripresa a tassazione del reale vantaggio tributario asseritamente conseguito da Z.I al netto del carico fiscale sopportato con l’operazione considerata inopponibile al fisco (in quanto elusiva), il che ha determinato la doppia imposizione dello stesso imponibile Ires e Irap sulla base di un unico presupposto;
5. con il quinto motivo [«5) Quinto motivo – Nullità della sentenza. Error in procedendo per violazione dell’art. 112 del c.p.c. – Omessa pronuncia sulla eccezione della contribuente concernente l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 472/1997 e dell’art. 10, co. 3, della l. n. 212/2000 (art. 360, co. 1, n. 4, del c.p.c.).»], si deduce la nullità della sentenza che non ha pronunciato sull’eccezione della contribuente, prospettata in entrambi i gradi del giudizio di merito, di inapplicabilità delle sanzioni amministrative in ragione delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni tributarie;
6. il primo e il terzo motivo, da esaminare insieme perché pongono medesime questioni, sono in parte inammissibili e in parte non fondati;
6.1 in primo luogo (inammissibilità delle censure), detto che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 12/06/2013, trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11/09/2012, donde l’inammissibilità delle censure prospettate secondo la “vecchia” disciplina del vizio di motivazione;
6.2 in secondo luogo (infondatezza delle censure), merita rammentare che la Corte, a sezioni unite, (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), ha chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
6.3 nel caso concreto, la C.T.R., alla stregua dell’apprezzamento delle circostanze cruciali della vicenda tributaria, ha ritenuto che l’insieme degli elementi oggettivi allegati dalla contribuente (compresi quelli che, secondo la prospettazione di Z.I, non sarebbero stati valutati dal giudice tributario di appello) fossero pressoché inconferenti, a fronte del notevole risparmio di imposta ottenuto da Z.I con il ricorso allo “strumento affitto” anziché a quello dell’immediata fusione, comunque possibile poiché le affittanti erano interamente partecipate dall’affittuaria. Per di più, sembra dubbia la decisività dei fatti dedotti dalla contribuente il cui esame sarebbe stato pretermesso dalla Commissione regionale. E ciò perché, da un lato, in rapporto al primo motivo di ricorso, il risparmio delle imposte è consistito anche nella contrazione della base imponibile causata dall’incidenza dei costi degli affitti di azienda e non soltanto nell’assorbimento delle perdite delle affittanti; dall’altro, in rapporto al terzo motivo di ricorso, è pacifico che, fin dal 31/01/2003 (e quindi sicuramente nel 2004, ossia nel periodo d’imposta oggetto del presente giudizio), F. S.r.l., socia di maggioranza della Z.I, possedeva la maggioranza qualificata necessaria per deliberare la fusione per incorporazione delle partecipate (i.e. delle due società affittuarie);
7. il secondo motivo non è fondato;
7.1 sulla scia di numerosi approdi di legittimità (cfr. ex multis Cass. 12/04/2022, n. 11890; 19/11/2021, n. 35398; 06/10/2021, n. 27158; 30/12/2019, n. 34595), merita rammentare che hanno carattere elusivo le operazioni delle società di capitali non sorrette da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale (sono tali, invece, a titolo di esempio, le operazioni che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, o sono volte a semplificare e razionalizzare l’intera struttura gestionale e ad abbattere i costi complessivi), che sono dirette a realizzare un indebito risparmio d’imposta e la riduzione della base imponibile;
7.2 nella specie, la C.T.R., senza discostarsi da questo principio di diritto, previo l’insindacabile scrutinio degli aspetti meritali della causa, ha condiviso la ricostruzione erariale secondo cui la scelta della contribuente di concludere due contratti di affitto di azienda con le società partecipate anziché procedere all’immediata (e senz’altro attuabile nel 2004) fusione per incorporazione di queste ultime, era dettata da una finalità elusiva in quanto era volta essenzialmente a realizzare un notevole risparmio delle imposte;
8. il quarto e il quinto motivo, da esaminare insieme perché pongono la medesima questione di diritto, non sono fondati;
8.1 per la giurisprudenza consolidata di questa Corte, alla quale va dato seguito, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6/12/2017, 29191 – conf. ex multis: 08/03/2007, n. 5351; 13/10/2017, n. 24155; 04/06/2019, n. 15255; 30/01/2020 n. 2153; 02/04/2020, n. 7662; 13/01/2022, n. 864; 01/03/2022, n. 6786; 23/03/2022, n. 9515 – ha affermato che: «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia»). Nella fattispecie concreta, è chiaro che la C.T.R., là dove ha condiviso integralmente le riprese fiscali in esame e le sanzioni ad esse connesse, ha implicitamente negato sia l’asserita indebita doppia imposizione sia la sussistenza dell’esimente delle obiettive condizioni di incertezza normativa;
9. ne consegue il rigetto dei due ricorsi e la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascuna ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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