CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2018, n. 19374
Accertamento fiscale – Redditi diversi non dichiarati – art. 67, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917 del 1986 – Maggiore imposta IRPEF da assoggettare a tassazione separata
Ritenuto che
Con avviso di accertamento n. 885010300484 -2009, notificato il 27.5.2009, l’Ufficio accertava a carico di F.G., redditi diversi, non dichiarati, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917 del 1986 per euro 147.297,00 determinando una maggiore imposta IRPEF da assoggettare a tassazione separata, pari ad euro 33.878,00, oltre sanzioni. L’accertamento traeva origine dal controllo effettuato sulla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2004, nella quale non risultava dichiarata la plusvalenza realizzata a seguito della vendita avvenuta con atto dell’8.9.2004 di un suolo suscettibile di utilizzazione edificatoria, pervenuto al contribuente per successione ereditaria. La differenza tra il prezzo di vendita e il valore originario dichiarato nella denuncia di successione costituiva la plusvalenza accertata dall’Ufficio.
L’atto veniva impugnato dal contribuente, che eccepiva un errore commesso nella indicazione del valore iniziale riferito nella denuncia di successione, assumendo che con una seconda dichiarazione di successione, rettificativa della prima, presentata in data 30.6.2009, aveva indicato un valore iniziale pari ad euro 149.264,00 corrispondente a quello risultante dalla perizia giurata del 13.11.2002, riferita alla rivalutazione del valore iniziale del terreno effettuata dal de cuis ai sensi dell’art. 7 della I. n. 448 del 2001. La CTP di Bari accoglieva il ricorso. La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle entrate innanzi alla CTR della Puglia, che respingeva il gravame, sulla base del rilievo che non era revocabile in dubbio che il suolo fosse stato venduto al prezzo di euro 149.264,00 pari al valore di mercato e, essendo stata evidenziata nell’atto di compravendita l’avvenuta rivalutazione del terreno con il conseguente pagamento della relativa imposta, non si era determinata alcuna plusvalenza tassabile a norma dell’art. 67, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986. Propone ricorso per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate, svolgendo un solo motivo.
Si è costituito con controricorso F.G..
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 67 comma 1, lett. b) e 68 (già 81 e 82) T.U.I.R. n. 917 del 1986 e degli artt. 1, 6 e 7 legge n. 448 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che la CTR fonderebbe erroneamente il rigetto del gravame anche sulla ritenuta intangibilità della perizia di stima, fatta redigere dalla de cuius, onde fruire dei vantaggi di cui all’art. 7 legge n. 448 del 2001, quale valore minimo di cui tenere conto ai fini della determinazione delle imposte sui redditi ove il relativo valore rivalutato sia stato riportato dal coniuge/erede nel successivo atto di alienazione del cespite. Secondo l’Ufficio, invece, qualora il valore del terreno risultante dalla rivalutazione operata dal de cuius sia stato utilizzato dall’erede in sede dichiarazione di successione ai fini delle imposte ipotecarie e catastali, il medesimo valore, purchè non rideterminato in sede di accertamento o liquidazione, costituirà valore iniziale, ai sensi dell’art. 68, comma 2, TUIR, per il calcolo della plusvalenza.
Si deduce che il contribuente, pur a conoscenza della rettifica operata dalla de cuius, ha provveduto alla presentazione di una denuncia di successione integrativa in data 30.6.2009 a seguito della notifica dell’avviso di accertamento avvenuta in data 27.5.2009, ed oltre il termine di cui all’art. 31 del T.U. 346 del 1990.
2. Il ricorso è infondato in ragione delle considerazioni che seguono.
a) Non è controverso che l’avviso di liquidazione impugnato è stato notificato in data 27.5.2009. Che successivamente a tale notifica il contribuente presentava, in data 30.6.2009, una seconda dichiarazione di successione rettificativa della prima, registrata in data 14.3.2003, con cui il terreno era stato valutato in euro 1.850,00. Il contribuente deduce che tale dichiarazione era stata emessa sulla base di un documento rilasciato dal Comune di Bitonto che qualificava il terreno come agricolo, anziché edificabile. La nuova denuncia di successione, presentata sei anni dopo e dopo la notifica dell’avviso di liquidazione, indicava un valore iniziale del terreno di euro 149.264,00 corrispondente a quello risultante dalla perizia giurata del 13.11.2002, riferito alla rivalutazione del valore iniziale effettuata dal de cuius ai sensi dell’art. 7 della I. n. 448 del 2001.
L’Ufficio ha accertato la plusvalenza in ragione della differenza tra il prezzo di vendita ed il valore originario dichiarato nella prima denuncia di successione (registrata in data 14.3.2003), eccependo la tardività della dichiarazione modificativa, in quanto presentata ben oltre il termine di cui all’art. 31 del T.U. n. 346 del 1990.
b) Come già dichiarato da questa Corte (Cass. n. 24057 del 2014) l’imposta sostitutiva pagata a seguito di rivalutazione effettuata ai sensi dell’art. 7 della I. n. 448 del 2001 è un’imposta volontaria, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento dell’imposta, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza affrancata; in cambio l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale.
La rivalutazione della piena proprietà o della nuda proprietà operata dal de cuius (o dal donante) non ha effetto per l’erede ed il donatario. Ai fini del calcolo della plusvalenza per l’erede o il donatario rileva il valore dichiarato o accertato nella dichiarazione di successione o nell’atto di acquisto del donante e non la rivalutazione operata dal de cuius, se l’erede, non esprima nella dichiarazione di successione la volontà di volerne usufruire.
Ne consegue che, in ragione della natura volontaria dell’imposta, l’erede (o il donatario) può scegliere tra la rideterminazione operata dal dante causa, se porta ad un valore maggiore, ed il valore risultante dalla dichiarazione di successione. Infatti, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 81/E del 6 novembre 2002, paragrafo 2.4. recita: “Peraltro, qualora il valore dell’immobile risultante dalla valutazione operata dal de cuius o dal donante sia stato utilizzato dall’erede o dal donatario in sede di dichiarazione di successione o donazione ai fini delle imposte ipotecarie e catastali, il medesimo valore, semprechè non rideterminato in sede di accertamento o liquidazione, costituirà valore iniziale ai sensi del richiamato art. 82 (ora 68) comma 2, per il calcolo della plusvalenza”.
c) L’art. 68, comma 2, del TUIR dispone che in caso di acquisto per successione il valore fiscalmente riconosciuto del terreno o delle partecipazioni è rappresentato dal valore dichiarato dagli eredi ai fini dell’imposta. Infatti, gli eredi in sede di successione, relativamente ai terreni, comunque assolvono le imposte ipotecarie e catastale nella misura complessiva del 3% ovvero l’imposta di successione se dovuta.
d) In difetto di espressa manifestazione di volontà da parte dell’erede, il valore eventualmente rideterminato in sede di rivalutazione da parte del de cuius perde ogni valenza fiscale, conseguentemente l’Ufficio, nella specie, ha in primo momento correttamente accertato la plusvalenza. Tuttavia dopo la notifica dell’avviso di liquidazione, il contribuente si è premurato di presentare una nuova dichiarazione di successione, facendo riferimento al valore dell’immobile come rivalutato dal de cuius, e questo dopo circa sei anni dalla registrazione della prima dichiarazione di successione.
e) Orbene, nel caso di specie, ai fini della plusvalenza, la rettifica o modifica della dichiarazione di successione può ritenersi validamente effettuata, in ragione dell’indirizzo consolidato espresso da questa Corte, secondo cui: “In tema di imposta di successione, gli errori commessi dal contribuente nella dichiarazione sono in ogni caso emendabili, sia in virtù del principio generale secondo cui la dichiarazione non ha valore confessorio e non è fonte di obbligazione tributaria, sia in virtù dei principi costituzionali di capacità contributiva e buona amministrazione, nonché di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Alla correzione non osta né l’intervenuta scadenza del termine per la presentazione della denuncia di successione, che non ha natura decadenziale, né l’art. 31 comma 3, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, che concerne le modifiche da apportare agli elementi oggettivi e soggettivi della dichiarazione, né l’eventuale notifica di un avviso di liquidazione, riflettendosi tale circostanza solo sul regime dell’onere della prova in giudizio” (Cass. n. 2229 del 2015). Questa Corte ha ribadito lo stesso principio, con riferimento alla dichiarazione dei redditi, affermando che: “La dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale o dispositivo, bensì una dichiarazione di scienza, sicchè, in caso di errore (di fatto o di diritto) commesso dal contribuente, è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile quando possa derivarne l’assoggettamento ad oneri contributivi più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a carico del dichiarante. Ne discende che il contribuente che, per errore in dichiarazione, abbia assoggettato propri redditi ad imposta, anche in relazione a quelli prodotti all’estero, può chiederne il rimborso (Cass. n. 21968 del 2015). I contribuenti possono procedere alla rettifica di errori contenuti nella dichiarazione di successione anche non meramente materiali o di calcolo, e gli uffici dell’Agenzia delle entrate sono tenuti a valutare tali rettifiche. Nella specie, pertanto, la rettifica successiva della dichiarazione di successione ha rilievo ai fini della plusvalenza tassabile, pur essendo stato notificato al contribuente un avviso di accertamento di maggior imposta.
3. I giudici della CTR si sono uniformati ai suddetti principi, avendo dato rilievo al valore di rivalutazione indicato nell’atto di compravendita e, quindi, escludendo la sussistenza di una plusvalenza tassabile, con la conseguenza che il ricorso va rigettato. Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
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