CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 settembre 2021, n. 25316
Rapporto di lavoro subordinato – Crediti per retribuzioni dovute ai lavoratrori – Domanda di insinuazione al passivo
Rilevato
– che viene proposto ricorso avverso il decreto del 26 luglio 2019 del Tribunale di Catania, il quale ha rigettato l’opposizione proposta avverso lo stato passivo della T. s.p.a. in a.s., dunque confermando l’ammissione al passivo in via chirografaria del credito di € 46.953,53;
– che non svolge difese la procedura intimata;
Ritenuto
– che i motivi di ricorso possono essere come segue riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 98 l.f., in quanto non occorrono formule sacramentali per richiedere crediti per retribuzioni dovute, che nella specie era desumibile dalla causa petendi della pretesa, relativa a rapporto di lavoro subordinato, come descritta nella domanda di insinuazione al passivo, quindi munito del privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c.;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 93 l.f., in quanto non costituisce mutatio libelli la mera specificazione del privilegio, già compiutamente dedotto con l’atto introduttivo;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 93 e 95 l.f., in quanto il tribunale ha affermato che col deposito del progetto di stato passivo si cristallizzerebbe il thema decidendum, ma, invece l’art. 95 l.f. non pone preclusioni in tal senso, potendo comunque i creditori presentale osservazioni e documenti integrativi, come la norma espressamente prevede;
– che il tribunale ha ritenuto che: a) il g.d. non ha ammesso il privilegio, in quanto la domanda non vi operava riferimento; b) in mancanza di domanda con l’insinuazione, non è possibile chiedere il privilegio dopo il deposito dello stato passivo ex art. 95, comma 2, l.f., in quanto essa integra mutatio libelli;
– che, ciò posto, i motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto pongono la medesima questione, sono manifestamente fondati;
– che, invero, è corretto il principio, richiamato dal tribunale, secondo cui il giudizio di impugnazione dello stato passivo, nella disciplina dettata dall’art. 99 l.f., come novellato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, costituisce un rimedio di natura impugnatoria, ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda, il quale esclude la possibilità di avanzare domande nuove o d’introdurre modificazioni sostanziali delle domande già proposte in sede di insinuazione al passivo (cfr. Cass. 3 novembre 2017, n. 26225; Cass. 30 marzo 2012, n. 5167; Cass. 8 giugno 2012, n. 9341), dovendo tra queste modificazioni annoverarsi, in particolare, anche la richiesta di applicazione di privilegi non fatti valere nel procedimento di verificazione del passivo o l’invocazione di titoli di prelazione diversi da quelli allegati in quella sede (Cass. 2 ottobre 2019, n. 24587; Cass. 19 gennaio 2017, n. 1331; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19714; Cass. 9 febbraio 2015, n. 2404, non mass.; Cass. 15 luglio 2011, n. 15702);
– che, tuttavia, ciò presuppone come l’istanza di insinuazione al passivo non abbia fatto valere il privilegio, il quale non emergesse neppure dal contesto dell’istanza proposta per l’insinuazione;
– che, invece, il privilegio va concesso, nel caso in cui la volontà del creditore di ottenere l’insinuazione al passivo fallimentare del proprio credito con la collocazione ipotecaria possa chiaramente desumersi, sebbene manchi un’espressa istanza di riconoscimento della prelazione, dalle complessive indicazioni contenute nella domanda e dalla chiara esposizione della causa del credito in relazione alla quale essa è richiesta (Cass. 9 aprile 2018, n. 8636; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19714; Cass. 6 agosto 2014, n. 17710; Cass. 22 marzo 2013, n. 7287);
– che, nella specie, come si evince dall’istanza d’insinuazione al passivo, menzionata nella narrativa del ricorso, il ricorrente, nel chiedere l’ammissione al passivo del proprio credito, aveva chiarito trattarsi di retribuzioni, tredicesima e quattordicesima, ferie, permessi non goduti, indennità di mancato preavviso, in tal modo palesando la natura di credito di lavoro dipendente;
– che, nonostante la mancata formulazione di conclusioni con espressa richiesta di riconoscimento della prelazione, gli elementi addotti a sostegno dell’istanza dovevano considerarsi sufficienti ai fini della prospettazione della sua applicabilità, emergendo con chiarezza il titolo del credito, dalla cui indicazione poteva quindi desumersi inequivocabilmente la volontà di ottenere l’ammissione al passivo del credito con il privilegio;
– che, infatti, secondo le regole generali, per la manifestazione di tale volontà non è richiesto l’uso di formule sacramentali, risultando sufficiente che dalle indicazioni contenute nel ricorso, come dalla documentazione allegata, possa evincersi senza incertezze l’intento della parte istante di ottenere l’ammissione al passivo con la collocazione prevista dalla legge in relazione alla causa di prelazione da cui è assistito: ciò, secondo le ordinarie regole sulla identificazione dell’oggetto della domanda (cfr., e multis, Cass. 6 agosto 2014, n. 17710; 22 marzo 2013, n. 7287);
– che, pertanto, non va condiviso il decreto impugnato, nella parte in cui ha disposto l’ammissione al passivo del credito in via chirografaria, negando il riconoscimento del privilegio in virtù della mera assenza di una specifica richiesta in tal senso, e trascurando quindi gli elementi risultanti dall’istanza d’insinuazione;
– che, in definitiva, trattandosi di credito privilegiato, con privilegio generale sui mobili, ai sensi dell’art. 2751 comma 1, n. 1, c.c., in quanto relativo a crediti per retribuzioni dovute a prestatori di lavoro subordinato, la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., con il riconoscimento del privilegio;
– che, tuttavia, le spese vanno compensate quanto al giudizio di merito, avendo lo stesso ricorrente, in ragione della formulazione incompleta dell’atto di ammissione al passivo, cagionato la prima decisione; mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, ammette il credito del ricorrente con privilegio generale sui mobili al passivo della T. s.p.a. in a.s.; compensa per intero tra le parti le spese del grado di merito, mentre condanna la procedura intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in € 3.600,00, di cui € 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
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