CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 gennaio 2019, n. 1490
Licenziamento disciplinare – Prelevamenti per cassa – Firma falsa – Accertamento della condotta contestata
Rilevato
1. che la Corte d’appello di Venezia, pronunziando in sede di reclamo, ha confermato il rigetto della domanda di F. N. G. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato in data 2.4.2014 dalla datrice di lavoro Banca A. – Credito cooperativo di C. e del P.;
1.1. che, per quel che ancora rileva, la Corte territoriale, premesso che le condotte oggetto di addebito andavano ascritte a due modus operandi, il primo consistito nell’effettuare prelevamenti per cassa mediante contabile su cui era apposta una firma falsa del traente e il secondo consistito nella compilazione di contabile per un importo superiore a quello richiesto dal cliente senza dare a questi la possibilità di concreta verifica della non corrispondenza degli importi, ha osservato che il primo giudice si era limitato ad esaminare la prima serie di condotte il cui accertamento aveva ritenuto sufficiente ad integrare la giusta causa di licenziamento;
1.2. che, respinta la eccezione di tardività della contestazione, ha, quindi, ritenuto che gli elementi istruttori in atti – perizia grafica, lamentele e contestazioni della clientela, indicazione del nominativo del N. sulla distinta dell’operazione, riferimento alla password in uso a questi – confermavano la sussistenza e riferibilità al dipendente delle condotte contestate;
1.3. che ha ritenuto inammissibile il motivo di impugnazione con riguardo alla dedotta insussistenza del fatto non avendo l’interessato mai sollevato motivo di doglianza a riguardo e, quanto alle condotte ulteriori, di nessun rilievo le questioni circa la certezza della data delle segnalazioni dei clienti, ovvero circa la genuinità delle transazioni;
1.4. che ha confermato la valutazione di gravità della condotta ravvisando nella stessa un grave abuso dell’affidamento sul cui indefettibile presupposto un istituto di credito deve poter contare per rendersi a sua volta credibile e serio operatore di fronte ai clienti;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.N. G. sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ. ;
Considerato
1. che con il primo motivo parte ricorrente deduce omessa motivazione su un punto decisivo della controversia rappresentato dall’apocrifia delle firme sottoposte alla consulenza d’ufficio grafologica; censura, in sintesi, la decisione per avere affermato la responsabilità del dipendente sulla base della perizia grafica ai cui esiti, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, doveva essere conferita limitata valenza probatoria; evidenzia che la rilevata apocrifia delle firme dei clienti interessati dalle operazioni sulla contabile non implicava la automatica individuazione dell’autore della falsificazione; in questa prospettiva assume che i dati documentali richiamati dal giudice del reclamo a supporto di quanto emerso dalla consulenza grafologica non risultavano decisivi e si duole della omessa considerazione che le contestazioni della clientela non erano state mai messe a disposizione del lavoratore nel corso del procedimento disciplinare;
2. che con il secondo motivo deduce omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando il rigetto della eccezione di tardività della contestazione sul rilievo che la Banca si era limitata ad indicare genericamente le lamentele dei clienti che asserivano essere stati danneggiati dalle pretese condotte del N., senza metterle a disposizione di quest’ultimo;
3. che con il terzo motivo di ricorso deduce omessa motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alla recidiva ed agli altri episodi contestati al lavoratore . Sostiene che la Corte d’appello non ha minimamente tenuto conto delle circostanze di segno contrario che sarebbero emerse da un’attenta lettura della documentazione in atti e dall’analisi dei singoli episodi contestati;
4. che con il quarto motivo deduce omessa motivazione sul rigetto delle istanze istruttorie articolate evidenziando la necessità di approfondimento istruttorio di alcuni degli elementi acquisiti ;
5. che con il quinto motivo deduce omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla ritenuta legittimità del licenziamento. Richiamata la giurisprudenza di legittimità in tema di onere probatorio della giusta causa di licenziamento e di accertamento della gravità della condotta idonea a ledere il vincolo fiduciario, lamenta che, senza alcuna plausibile giustificazione, la società aveva dato credibilità alle dichiarazioni non protocollate dei clienti. Assume che era errato il giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva che non teneva conto del modesto importo della somma, pari a 1.400,000, asseritamente oggetto di indebita appropriazione;
6. che il primo motivo di ricorso è inammissibile per un duplice profilo. Il giudice del reclamo ha mostrato di condividere la ricostruzione di fatto operata dal giudice di primo grado con riguardo alle concrete circostanze che deponevano per la riferibilità al N. del primo gruppo di condotte ascritte, individuate oltre che negli esiti della perizia grafologica – che aveva accertato che la firma dei clienti apposta sulle distinte relative a dette operazioni era apocrifa – anche sulla base di altri elementi documentali e sulla circostanza che la firma apocrifa risultava essere stata apposta contestualmente alle operazioni di prelievo;
7. che, versandosi, quindi, in ipotesi di « doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione non poteva essere proposto sulla base del motivo di cui all’art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ. . Sotto altro profilo è ancora da rilevare che la deduzione di vizio di motivazione non è conforme alla riformulazione dell’art. 360, comma 5 comma 1, n. 5 cod.proc.civ. nel testo introdotto dall’art. 54 del d.l. 22/06/ 2012, n. 83, conv. in Legge 07/08/ 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, mancando la stessa individuazione del fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito ( Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053) e risultando nel complesso le censure articolate intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679; Cass. 16/12/2011 n. 2197; Cass. 21/9/2006 n. 20455; Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 7/2/2004 n. 2357;) dovendo, altresì, evidenziarsi che, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non risulta riprodotto il contenuto degli atti e documenti invocati a fondamento del motivo;
8. che il secondo motivo di ricorso è infondato; il giudice del reclamo ha ritenuto che il tipo di indagine effettuato dall’istituto di credito, implicante la ricerca interna della documentazione, rendeva giustificato il lasso di tempo intercorso tra l’epoca del verificarsi delle condotte, la successiva segnalazione dei clienti e l’invio della lettera di contestazione, evidenziando, con riferimento alla seconda lettera di addebito, che la stessa aveva presupposto una ricerca più sistematica delle operazioni condotte dal dipendente presso due filiali; tale valutazione di tempestività, frutto di accertamento demandato al giudice di merito (Cass. 25/01/2016 n. 1248; Cass.10/09/2013 n. 20719), non risulta inficiato nei profili di congruità e logicità dalla deduzione della mancata messa a disposizione del N. delle segnalazioni dei clienti, che sono state espressamente prese in considerazione dalla sentenza impugnata, anche nei profili temporali non investiti da specifica critica;
9. che il terzo motivo di ricorso è inammissibile per una pluralità di profili. Innanzitutto esso non è sorretto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dalla adeguata esposizione del fatto processuale con riguardo alla questione della recidiva; l’assenza di riferimento alle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto articolate nelle fasi di merito dalle parti impedisce, già in astratto, la verifica di fondatezza delle censure articolate sul punto; è ancora da osservare che il riferimento alla tardività della contestazione relativa al secondo gruppo di operazioni ascritte e cioè quelle attinenti alla compilazione di contabile per un importo superiore a quello richiesto dal cliente, è privo di pertinenza con le ragioni alla base della sentenza impugnata che da tale secondo gruppo di contestazioni dichiaratamente prescinde;
9.1. che le censure articolate tendono, comunque, inammissibilmente ad un diverso apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie evocate, peraltro, senza il rispetto della previsione di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. , per cui valgono le considerazioni complessivamente espresse in relazione al primo motivo;
10. che il quarto motivo di ricorso è inammissibile per l’assorbente considerazione che non viene riportato il contenuto delle istanze istruttorie che si assumono disattese; tantomeno viene evidenziato il carattere di decisività delle eventuali acquisizioni istruttorie collegate all’espletamento di tali mezzi; il motivo non è, quindi, articolato con modalità conformi al condivisibile insegnamento di questa Corte secondo il quale qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’ omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia,senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Cass. 04/10/2017 n. 23194) ;
11. che il quinto motivo di ricorso è inammissibile; si premette che parte ricorrente, laddove richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di nozione di giusta causa e di proporzionalità della sanzione sembra evocare violazione dell’art. 2119 cod. civ. nella valutazione di gravità della condotta ascritta; la censura tuttavia non è articolata in conformità della condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (Cass. 26/03/2008 n. 7426); parte ricorrente non evidenzia infatti alcuna incoerenza rispetto agli standard esistenti nella realtà sociale, neppure concretamente individuati, ma si limita a richiedere una differente valutazione delle condotte ascritte sotto il profilo della loro idoneità a giustificare la sanzione espulsiva e quindi la revisione di un accertamento che è proprio del giudice di merito (Cass 23/08/2006 n. 18377);
12. che a tanto consegue il rigetto del ricorso;
13. che le spese sono regolate secondo soccombenza;
14. che sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 non risultando documentata l’accoglimento della istanza ammissione al gratuito patrocinio avanzata dal N..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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