CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2019, n. 16656
Rapporto di lavoro – Mancato godimento dell’intero periodo di ferie annuali – Prova – Diritto all’indennità sostitutiva
Rilevato che
La Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha accertato il diritto di C.M., dipendente del Laboratorio di Analisi Cliniche Dr.A.M. e C. s.a.s., alla corresponsione di Euro 9.984,32 a titolo d’indennità sostitutiva per ferie, permessi e festività soppresse non goduti fra il 5 febbraio 2001 e il 15 gennaio 2014, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;
la Corte territoriale ha ritenuto che il ricorrente avesse fornito la prova documentale del mancato godimento dell’intero periodo di ferie annuali, relativamente agli anni oggetto della controversia, allegando il conteggio analitico anno per anno relativo alle poste retributive delle quali chiedeva il riconoscimento, e producendo le buste paga, di cui aveva domandato la previa disamina al giudice del merito;
in particolare, ha ricavato la prova del fatto costitutivo della pretesa azionata dall’asserito svolgimento dell’ininterrotta prestazione lavorativa per tredici anni, comprovata dalle buste paga prodotte, in cui ha rinvenuto la conferma del mancato godimento del riposo retribuito nella misura contemplata dal contratto collettivo di lavoro applicato dall’azienda e, conseguentemente, la piena legittimità del diritto rivendicato da C.M.;
la cassazione della sentenza è domandata dal Laboratorio di Analisi Cliniche Dr.A.M. e C. s.a.s. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;
C.M. resiste con tempestivo controricorso; è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce “Violazione dell’art. 2697 c.c.”; contesta la statuizione della sentenza gravata in merito all’adempiuto onere probatorio da parte del lavoratore in via presuntiva; quest’ultimo, secondo la ricorrente, non avrebbe fornito la prova dell’avvenuta prestazione di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale perché prestato nei giorni destinati a ferie, permessi o riposi; non avrebbe rispettato l’onere di allegazione, che comporta la formulazione delle rispettive pretese in modo specifico, con la precisa indicazione di fatti e documenti sui quali tali rispettive pretese sono fondate; il giudice del merito si sarebbe perciò sostituito all’inerzia del ricorrente desumendo come esistente un fatto costitutivo che avrebbe necessitato di specifica e certa allegazione da parte dell’appellante;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., lamenta “Violazione dell’art. 2697 c.c. e 2729 c.c.”; alla luce di un orientamento di legittimità che afferma la relatività del valore probatorio delle buste paga, deduce l’erroneità della sentenza gravata là dove la stessa ha erroneamente ritenuto di dover rinvenire proprio nelle buste paga la prova del fatto costitutivo della pretesa creditoria;
i motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili atteso che le prospettazioni del ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;
va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);
in particolare, quanto al richiamo, nel secondo motivo, dell’orientamento di legittimità che afferma la relatività di quanto certificato dal datore in busta paga in merito alle specifiche condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro, esso si rivela inconferente nel caso in esame;
il principio di diritto, impropriamente richiamato dall’odierno ricorrente è stato, infatti, affermato in tutt’altro contesto, in relazione, cioè, alla contestazione, da parte del lavoratore, delle risultanze contenute nelle buste paga;
nel caso in esame, le contestazioni provengono dal datore di lavoro, ossia dallo stesso soggetto che ha emesso il documento contabile, di tal che, il suo contenuto non può che assumere il valore di prova contraria a quanto affermato dal dichiarante;
il principio di diritto espresso dall’orientamento di legittimità richiamato nella censura (p. 8 ric.) rimane, pertanto, fuori contestazione; anzi, la sentenza gravata ne rappresenta, nello specifico contesto, la corretta applicazione;
sul punto della motivazione in cui la Corte territoriale imputa all’odierna ricorrente di non aver neanche tentato di fornire nel giudizio di merito la prova contraria atta a smentire le deduzioni della controparte, va richiamato il pacifico orientamento di legittimità, con cui si afferma che, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., incombe sul datore di lavoro la dimostrazione dell’oggettiva insussistenza delle condizioni che giustificano l’applicazione delle tutele in materia di lavoro (in ipotesi riguardante l’illegittima apposizione del termine cfr. Cass. n.13398 del 2017; ma cfr. altresì Cass. 14 marzo 2016, n. 4916; Cass. 10 marzo 2015, n. 4764; Cass. 26 gennaio 2015, n. 1351; Cass. 28 giugno 2011, n. 14284);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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