CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 aprile 2021, n. 10621
Licenziamento intimato per giusta causa – Indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto – Discussione con un collega – Reazione dopo essere stato schiaffeggiato – Assenza precedenti disciplinari – Giudizio di proporzionalità, tipico accertamento riservato al giudice di merito
Rilevato che
1. il Tribunale di Lucca, pronunciando sull’opposizione, ai sensi dell’art. 1, commi 51 e ss. della legge nr. 92 del 2012, proposta da M. M. avverso l’ordinanza che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento intimato per giusta causa dalla E. S.p.A. (di seguito, per brevità, E.) rigettava il ricorso;
2. la Corte di appello di Firenze, con sentenza nr. 755 del 2019, accoglieva il reclamo del lavoratore e dichiarava illegittimo il licenziamento; applicava la tutela di cui all’art. 18, comma 5, della legge nr. 300 del 1970 e, per l’effetto, dichiarando risolto il rapporto di lavoro con decorrenza dalla data del licenziamento, riconosceva al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto;
3. in estrema sintesi, a fondamento del decisum, la Corte di appello ha posto le seguenti argomentazioni: a) risultava provato il fatto posto a base del licenziamento: il lavoratore, a seguito di una discussione con un collega nel reparto macelleria, era passato alle vie di fatto; l’accadimento era visibile e/o udibile da parte degli altri colleghi e dei clienti del reparto medesimo; b) tale condotta era astrattamente riconducibile all’ipotesi sanzionata dal CCNL di settore, con il licenziamento senza preavviso; c) tuttavia, in concreto, il recesso datoriale non era proporzionato: il lavoratore aveva colpito il collega dopo essere stato schiaffeggiato; dopo la prima discussione, avvenuta nel reparto e rimasta nei limiti di un confronto verbale, il lavoratore aveva continuato a lavorare senza dare seguito al diverbio. Era stato il collega a seguire il M. nella cella frigorifera con l’intenzione di continuare il litigio e di aggredirlo (testualmente in sentenza: «mettergli le mani addosso»); il lavoratore non aveva precedenti disciplinari;
4. ha proposto ricorso per cassazione E., affidato a due motivi;
5. ha resistito, con controricorso, il lavoratore;
6. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
Considerato che
1. con il primo motivo, è dedotto -ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ – l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione per il giudizio; le censure afferiscono alla ricostruzione della vicenda concreta; si imputa alla Corte di appello l’omesso esame del contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone D. (id est: dal collega con cui il lavoratore, odierno controricorrente, ha litigato) ovvero l’utilizzazione delle stesse (v. pag. 17, punto 28 del ricorso in cassazione) per avvalorare solo alcune circostanze e non altre;
1.1. il motivo è inammissibile, non indicando, nei modi rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. (applicabile ratione temporis), il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. nr. 19881 del 2014, nr. 25008 del 2014, nr. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);
1.2. in modo evidente, le censure celano la richiesta di un diverso coordinamento dei dati acquisiti, ai fini di una più appagante ricostruzione della vicenda concreta, del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
2. con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175, 1362, 1363, 1365, 1366, 1375, 1455, 2104, 2105, 2106 e 2119 cod.civ. nonché degli artt. 220, 225 e 229 CCNL 18.7.2008 per i dipendenti da aziende del terziario della distribuzione e dei servizi; per E., la Corte di appello non avrebbe espresso il giudizio di proporzionalità in conformità alle previsioni legali e contrattuali che regolano il licenziamento disciplinare nel settore del terziario;
2.1. anche il secondo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
2.2. in disparte profili di violazione degli oneri di deduzione e specificazione imposti alla parte che ricorre in cassazione (non risulta localizzata la sede di produzione del testo «integrale» del CCNL di cui si assume la violazione), la contestazione del giudizio di proporzionalità, articolata in termini di errore di diritto, non coglie nel segno giacché omette di considerare che il giudizio inerente alla gravità, in concreto, dell’inadempimento (cd. giudizio di proporzionalità), espresso attraverso la valutazione dei fatti di causa, costituisce un tipico accertamento riservato al giudice di merito, confinato nell’area dell’apprezzamento del fatto (ex multis, Cass. nr. 26010 del 2018; Cass. nr. 7426 del 2018; Cass. nr. 8293 del 2012; Cass. nr. 7948 del 2011), insindacabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., tempo per tempo vigente. Parte ricorrente, infatti, non individua nella valutazione di illegittimità della sanzione espulsiva da parte del giudice del reclamo alcuno specifico contrasto con disposizioni normative o principi di diritto; le critiche articolate tendono, piuttosto, a contrastare tale valutazione sotto il profilo della mancata considerazione di alcuni elementi e della errata valorizzazione di circostanze che si asseriscono ininfluenti;
2.3. in ogni caso, anche a voler riqualificare il motivo in termini di vizio di motivazione, le censure soffrono dei medesimi limiti di ammissibilità già evidenziati in relazione al primo motivo di ricorso;
3. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore che si è dichiarato antistatario; occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con attribuzione all’avv.to L.M..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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