CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9501

Tributi – IRPEF – Tassazione separata – TFR – Anticipazioni erogate in anni precedenti – Cartella di pagamento – Decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento

Rilevato che

Il contribuente ha impugnato una cartella di pagamento relativa a tributi dell’anno di imposta 2008 a titolo di saldo Irpef per somme soggette a tassazione separata, ricevute a titolo di trattamento di fine rapporto;

la CTP di Roma ha rigettato il ricorso e la CTR del Lazio, con sentenza del 16 aprile 2018, ha rigettato l’appello del contribuente, rilevando come nell’importo soggetto a tassazione separata dovessero essere ricomprese somme corrisposte al contribuente negli anni 2000 e 2002 a titolo di anticipazioni sul TFR, il cui termine decorre dalla liquidazione definitiva del TFR; ha, inoltre, ritenuto il giudice di appello inammissibili le questioni di errori di calcolo in quanto eccezioni nuove, rigettando in ogni caso tali questioni nel merito;

propone ricorso per cassazione il contribuente con due motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio;

la proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.

Considerato che

con il primo motivo di ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, avendo la CTR erroneamente omesso di dichiarare la decadenza in cui era incorsa l’Agenzia delle Entrate laddove aveva incluso, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. cit., nel calcolo definitivo del trattamento di fine rapporto per l’anno 2008 anche le somme che erano state corrisposte al contribuente per lo stesso titolo negli anni 2000 e 2002 con riguardo a dichiarazioni presentate dal sostituto d’imposta negli anni 2001 e 2003; deduce, in relazione a tali riprese, la decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento;

la censura è fondata;

la giurisprudenza di legittimità, in tema di riscossione delle imposte sui redditi e di imposte sul valore aggiunto, ha affermato che l’art. 1, comma 5-bis, del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni nella I. 31 luglio 2005, n. 156, ha fissato i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, e sostituendo il comma 2 dell’art. 36 d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 con l’art. 5-ter, ha stabilito che, per le somme che risultano dovute a seguito di attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo per le dichiarazioni da presentarsi entro il 31 dicembre 2001, entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per quelle presentate entro il 31 dicembre 2002 (Cass., Sez. V, 3 marzo 2006, n. 4745; Cass. Sez. V, 16 novembre 2011, n. 24048; Cass., Sez. V, 9 luglio 2014, n. 15661, Cass., Sez. V, 14 marzo 2018, n. 6283; Cass., Sez. V, 17 maggio 2019, n. 13335);

la disciplina è stata introdotta, modificando la precedente, all’esito di un processo di riequilibrio del rapporto amministrazione contribuente in ordine ai tempi di accertamento delle imposte e della relativa riscossione, più adeguato ai parametri costituzionali e si è così dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del d. P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui non prevedeva un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate ex art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, così di fatto lasciando il contribuente in una situazione di intollerabile incertezza sui tempi dell’azione esecutiva del fisco, per essere sottoposto, anche dopo l’accertamento e la iscrizione a ruolo di maggiori imposte, alla prescrizione decennale del potere di notifica della cartella esattoriale (cfr. Cass., Sez. V, 30 ottobre 2015, n. 22223); peraltro, si osserva come la norma, di inequivoco valore transitorio, trova come tale applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, che siano pendenti presso l’ente impositore, ma anche a quelle ancora sub iudice, così garantendo non solo la tutela dell’interesse del contribuente, ma, attesa la sua sopravvenienza rispetto a rapporti pendenti, l’interesse dell’Erario ad evitare termini decadenziali precedentemente insussistenti (cfr. Cass., Sez. V, 9 luglio 2014, n. 15661);

parallelamente, deve affermarsi che l’anticipazione sull’indennità di fine rapporto è assoggettabile ad imposizione, trattandosi di erogazione economica che trova la sua causa nel rapporto di lavoro, la cui riliquidazione compete all’Amministrazione finanziaria, la quale può procedervi anche d’ufficio (Cass., Sez. V, 19 giugno 2009, n. 14296);

così ricostruito l’assetto normativo, nel caso di specie, in cui è stato accertato dal giudice di appello che la cartella impugnata fu notificata alla ricorrente in data 2.11.2012, avuto riguardo a redditi, soggetti a tassazione separata e percepiti dal contribuente, inseriti nelle dichiarazioni 2001 e 2003, essa non può ritenersi tempestiva, avendo tempo il concessionario, per entrambi gli anni d’imposta in contestazione, di procedere alla notifica del titolo sino al 31 dicembre 2006, per cui la cartella è stata notificata oltre il termine di decadenza;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di norme di diritto (art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) per avere la CTR ritenuto tardivamente proposta dal contribuente in appello l’eccezione relativa all’erroneità del calcolo effettuato dall’Ufficio;

in accoglimento del primo motivo di ricorso, la notifica della cartella deve pertanto considerarsi tardiva, con relativa nullità della stessa, e conseguente cassazione della sentenza impugnata;

null’altro essendovi da accertare, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente;

le spese relative ai giudizi di merito sono integralmente compensate per evoluzione della giurisprudenza, le spese del giudizio di legittimità seguono, invece, la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; dichiara compensati le spese dei due gradi di merito; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore di S.G. delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in € 800,00, oltre 15% spese generali, IVA e CPA.