CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 marzo 2019, n. 8248

Benefici fiscali – Acquisto prima casa – Accertamento – Revoca – Abitazione di lusso – Stima UTE – dichiarazione DOCFA – Ricorso per Cassazione

Fatto e diritto

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1-bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197/2016, osserva quanto segue:

Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR Romagna ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della contribuente L.C., avverso la sentenza della CTP di Forlì, che aveva accolto il ricorso avverso l’avviso di liquidazione ed irrogazione delle sanzioni emesso a seguito di revoca dei benefici fiscali connessi all’acquisto della prima casa, effettuato con atto di compravendita del 15/07/2008, in quanto qualificata come abitazione di lusso sulla base delle risultanze di una stima dell’UTE. Ha rilevato la CTR il vizio di motivazione dell’atto impositivo in quanto in esso si faceva riferimento ad una stima dell’UTE non conosciuta dalla contribuente, non essendo stata allegata al predetto atto né il suo contenuto richiamato nelle parti essenziali del medesimo.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui non resiste l’intimata.

Con il mezzo di cassazione la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 7 della legge n. 212 del 2000, 3 della legge n. 241 del 1990, sostenendo l’idoneità motivazionale dell’atto impositivo annullato dai giudici di appello.

Il motivo è fondato.

E’ orientamento assolutamente consolidato) di questa Corte quello secondo cui l’avviso di accertamento, rappresentando l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi, può essere motivato “per relationem”, anche con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio e la scelta in tal senso dell’Amministrazione finanziaria non può essere di per sé censurata dal giudice di merito, al quale, invece, spetta il potere di valutare se, dal richiamo globale all’atto strumentale, sia derivata un’inadeguatezza o un’insufficienza della motivazione dell’atto finale (cfr. Cass. n. 2907 del 2010; Cass. n. 16976 del 2012 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Si è quindi precisato, che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente “l’an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017, Rv. 646218, in tema di imposta comunale sugli immobili).

Ciò posto, osserva il Collegio che nella specie l’atto impositivo, riprodotto per autosufficienza nel ricorso, è idoneamente motivato là dove indica in maniera espressa la superficie utile accertata, pari a mq. 346, calcolata escludendo «i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchina», con la conseguenza che neppure può dirsi, diversamente da quanto sostiene la CTR, che il contenuto essenziale della stima dell’UTE non sia stato richiamato nel predetto atto, atteso che sono proprio i dati sopra indicati a costituire il contenuto “essenziale” di quell’atto istruttorio. Inoltre, l’obbligo della motivazione dell’avviso in esame deve ritenersi osservato anche mediante la semplice indicazione del dato oggettivo della superficie complessiva dell’immobile, così come acclarato dall’ufficio, e la specificazione di quello che costituiva superficie “utile” a quei fini, trattandosi di elementi che sono conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente, il quale, quindi, mediante il raffronto con quelli indicati nella dichiarazione DOCFA dal medesimo presentata, può comprendere le ragioni della pretesa impositiva e adeguatamente tutelarsi in sede giudiziale.

A ciò aggiungasi che è insegnamento di questa Corte quello secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dall’art. 7 del cd. Statuto del contribuente, deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e sociale e di ragionevolezza, rispettivamente espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., che deve reciprocamente ispirare i rapporti fra pubblica amministrazione e cittadino anche nei rapporti tributari (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1009), atteso che la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente in negativo sulla sua sfera giuridica (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 11052 del 09/05/2018, Rv. 648361).

Nella specie, pur soprassedendo sul fatto che l’atto impositivo era comunque idoneamente motivato riportando il contenuto essenziale della stima dell’UTE, dalla sentenza della CTR neppure emerge che la contribuente abbia prospettato le ragioni per le quali l’omessa comunicazione o allegazione all’atto impositivo di quel documento avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo.

In sintesi, all’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata senza necessità di rinvio alla competente CTR in quanto la contribuente, che in primo grado aveva proposto altri motivi di impugnazione dell’atto impositivo, non si è costituita nel giudizio di secondo grado ove aveva l’onere di riproporre le questioni rimaste assorbite dalla decisione di primo grado. La causa va quindi decisa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso della contribuente che va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, mentre vanno compensate quelle dei gradi di merito avuto riguardo ai profili sostanziali della controversia.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente che condanna al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, compensando le spese dei giudizi di merito.