CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 luglio 2020, n. 15810
Gestione commercianti – Omesso versamento di contributi previdenziali – Socio accomandatario – Nessuna attività lavorativa nella società e nessuna percezione di compensi per l’incarico ricoperto – Attività sociale classificata non nella categoria commerciale, ma industriale – Opposizione a cartella esattoriale
Rileva che
con distinti ricorsi diretti al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, C.M.L. proponeva opposizione avverso otto cartelle esattoriali, con le quali le era stato intimato il pagamento delle somme di varie somme di danaro per omesso versamento di contributi previdenziali, richiesti dall’Inps di Rieti, con riferimento alla gestione commercianti pretesi dall’Istituto a seguito di accertamento ispettivo di marzo/agosto 2006 presso la E. s.a.s.. A sostegno delle opposizioni la C. faceva presente di essere socia accomandataria e non titolare della E., di non aver prestato attività lavorativa nella società, di non aver mai percepito compensi dell’incarico ricoperto, di aver percepito esclusivamente i dividendi sugli utili della società, di essere residente a Roma e non a Rieti, e che la società, con sede legale in Roma, esercitava attività relativa alla categoria industria, per cui non era tenuto al versamento dei contributi alla gestione commercianti;
il giudice adito con sentenza n. 1001/11 pubblicata il 24 gennaio 2011, riuniti i vari procedimenti, annullata l’iscrizione nei ruoli esattoriali delle somme di cui alle carelle opposte, rigettando l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall’opposto Istituto previdenziale, tenuto conto in particolare che la opponente era residente in Roma e rivestiva la qualifica di lavoratrice autonoma, sicché ai sensi dell’articolo 441, comma primo, c.p.c., nei caso di specie doveva ritenersi territorialmente competente il Tribunale capitolino. Quanto poi al merito il giudicante riteneva fondate le opposizioni, avuto riguardo soprattutto al fatto che la ricorrente pacificamente risultava presidente da sempre a Roma per tutto il periodo relativo ai pretesi contributi della gestione commercianti, così come era incontroverso e documentalmente provato che la società, di cui la C. era socia accomandataria, aveva sede legale a Roma e non in Rieti. Pertanto, poiché i contributi previdenziali andavano richiesti dalla sede Inps relativa alla residenza fiscale del contribuente, ne derivava l’illegittimità delle opposte cartelle esattoriali, perché riferite a contributi della gestione commercianti pretesi dalla sede Inps di Rieti. In ogni caso, secondo il tribunale, la C. non poteva comunque essere iscritta nella gestione commercianti dal momento che l’attività svolta dalla società E. non era stata classificata nella categoria commerciale, ma industriale, come da ultimo disposto in tal sensi dall’ufficio Inps di Roma Tiburtino, categoria industriale nella quale risultavano quindi classificati anche i suoi dipendenti. Inoltre, i soci di una società svolgente attività industriale non erano obbligati ad alcun versamento contributivo a favore dell’Inps, all’uopo il giudicante richiamando la circolare dell’Istituto n. 126 del 1997 in attuazione della legge n. 133 dello stesso anno, nonché Cass. n. 401 del 2000;
l’I.N.P.S. appellava l’anzidetta pronuncia del 24-01-2011 mediante ricorso depositato il 22 luglio 2011, sostenendo in particolare come la C. fosse ad ogni modo tenuta al pagamento dei contributi in questione per l’attività da ella svolta a favore della E., laddove inoltre il tipo di attività esercitata – industriale o commerciale – risultava irrilevante in ordine alla contribuzione dovuta dall’opponente; la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 6699 del tre luglio / primo agosto 2013 dichiarava inammissibile l’interposto gravame, con la condanna quindi di parte appellante al pagamento delle ulteriori spese di lite a favore dell’appellata. Preliminarmente, infatti, la Corte osservava come l’Istituto non avesse proposto impugnazione avverso il capo della sentenza di primo grado, che aveva anzitutto dichiarato l’illegittimità delle cartelle opposte in quanto relative ai contributi pretesi dalla sede Inps di Rieti, nonostante la C. fosse pacificamente residente a Roma. Non essendo stato impugnato, quindi, tale capo della pronuncia, la relativa statuizione doveva considerarsi coperta dal giudicato, con la conseguente irrevocabilità del corrispondente accertamento d’illegittimità delle cartelle opposte. Pertanto, l’appello era inammissibile, risultando superfluo l’esame di motivi dì gravami, proprio alla luce della illegittimità delle cartelle opposte accertata e dichiarata con il capo della sentenza di primo grado già passato in giudicato perché non impugnato;
l’I.N.P.S., in proprio e quale procuratore speciale della società di cartolarizzazione dei crediti dell’Istituto – S.C.C.I. S.p.a., ha, quindi, impugnato la sentenza d’appello mediante ricorso per cassazione, di cui è stata chiesta la notifica lunedì 3 febbraio 2014, poi eseguita in pari data, con un solo articolato motivo, cui ha resistito la signora M.L. C. con controricorso del 21 febbraio 2014;
EQUITALIA CENTRO ITALIA S.p.a. è rimasta intimata;
Considerato che
parte ricorrente a sostegno dell’impugnazione ha denunciato, ex articolo 360, co. l. n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 c.c. e 342 c.p.c., contestando la ratio decidendi della ritenuta inammissibilità dell’appello, richiamando il principio secondo cui in tema di riscossione di contributi e premi assicurativi il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale, che ritenga illegittima iscrizione a ruolo, non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’Istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo, a tale scopo citando il precedente di Cassazione sezione lavoro n. 14149 del 6 agosto 2012. Di conseguenza, secondo parte ricorrente, l’affermata illegittimità dell’iscrizione a ruolo e la mancata impugnazione di questo capo di sentenza non costituivano un ostacolo a che il collegio di secondo grado esaminasse il merito della questione. In altri termini, l’acquiescenza prestata al capo della sentenza (rectius, ad una delle anzidette rationes decidendi), che aveva dichiarato l’illegittimità del ruolo, ineriva ad una irregolarità formale, come tale non preclusiva dell’esame del merito della controversia. Quindi, anche nell’ipotesi in cui si fosse ritenuta la formazione del giudicato su tale aspetto, ugualmente non poteva considerarsi precluso l’esame della fondatezza della pretesa dell’I.N.P.S. sotto il profilo sostanziale. Del resto, lo stesso Tribunale, pur avendo ritenuto l’illegittimità delle cartelle opposte, era comunque addivenuto ad un esame nel merito della pretesa contributiva, sia pure giudicandola infondata. Ne derivava, altresì, secondo parte ricorrente, che l’Istituto con il ricorso in appello aveva censurato le ragioni che avevano indotto al rigetto della pretesa contributiva sotto il profilo sostanziale, non essendo necessario un motivo di impugnazione sull’illegittimità del ruolo per le ragioni compiutamente esposte nella succitata pronuncia di questa Corte n. 14159/12. Il giudice del secondo grado, di conseguenza, a prescindere dalla iscrizione a ruolo dei contributi portati dalle cartelle opposte, avrebbe dovuto valutare nel merito la fondatezza della pretesa creditoria fatta valere dall’Istituto, tanto premesso, il ricorso de quo va disatteso in base alle seguenti ragioni; in primo luogo, non risultano compiutamente riprodotti gli atti processuali, cui si riferiscono gli errores in procedendo denunciati, in particolare la sentenza di primo grado e soprattutto quindi il conseguenziale ricorso d’appello ex art. 434 c.p.c., in violazione specialmente di quanto per contro stabilito a pena d’inammissibilità dall’art. 366 co. 1 nn. 3, 4 e 6 c.p.c., così da rendere possibile la puntuale verifica, in questa sede, della pertinenza dei motivi di gravame idonei a confutare le ragioni poste a sostegno della pronuncia a suo tempo appellata, visto che pure l’accesso diretto agli atti per le ipotesi contemplate dall’art. 360 n. 4 c.p.c. resta, comunque, subordinato all’osservanza degli oneri di allegazione inderogabilmente prescritti per tutti i vizi in relazione ai quali è ammesso il ricorso per cassazione ex cit. art. 360 co. 1;
d’altro canto, nonostante il pur rilevato difetto di autosufficienza e di specificità, dalle succitate emergenze ben si comprende come l’appello di cui al menzionato ricorso in data 22 luglio 2011 abbia comunque mancato di censurare, ritualmente, in occasione di quella impugnazione, il vizio di incompleta pronuncia, poi denunciato invece soltanto con il successivo ricorso per cassazione, circa il dovere da parte del giudice di provvedere, una volta invalidata l’iscrizione a ruolo (di cui la cartella opposta costituisce un estratto portato a conoscenza del contribuente mediante notifica della pur contestuale intimazione di pagamento) per motivi di carattere formale, sulla pretesa creditoria comunque fatta valere dall’ente previdenziale nel corso del successivo giudizio di opposizione, allo stresso modo di quanto accade nell’ipotesi di annullamento o di revoca dell’opposto provvedimento monitorio;
invero, comportando l’appello circoscritti effetti devolutivi, quale apposito rimedio processuale d’impugnazione (revisio prioris instantiae, e non già novum judicium), perciò limitatamente alle specifiche ragioni all’uopo debitamente addotte a sostegno del gravame (cfr. al riguardo Cass. lav. n. 18542 del 21/09/2015, secondo attesa la natura del giudizio di appello, “revisio prioris instantiae”, è rigorosamente circoscritto alle questioni specificamente dedotte con i motivi di impugnazione, principale o incidentale, ovvero con la riproposizione delle domande o eccezioni non accolte o rimaste assorbite. Parimenti, secondo tra le altre Cass. sez. un. n. 3033 – 08/02/2013: nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata – ”novum judicium”-, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata – “revisio prioris instantiae” – Ed analogamente, secondo Cass. sez. un. civ. n. 28498 del 23/12/2005, l’appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l’appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all’altro esame della causa, ma una “revisio” fondata sulla denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata), correttamente, dunque, la Corte capitolina nel caso di specie esaminato rilevava l’incompletezza dell’impugnazione, per non aver la stessa debitamente censurato tutte le ragioni, tra loro indipendenti, in base alle quali la sentenza di primo grado era stata pronunciata, risultando appunto la stessa fondata su plurime ed autonome rationes decidendi, donde l’inammissibilità di un tale difettoso appello, conformemente ai principi di diritto che regolano la materia in tema d’impugnazioni (v. tra le altre Cass. I civ. n. 18641 del 27/07/2017, secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. Parimenti Cass. lav. n. 3386 – 11/02/2011. In senso conforme, tra le varie, Cass. nn. 13070 del 2007 e n. 24540 del 2009);
nel caso di specie il ricorso per cassazione proposto dall’I.N.P.S. (in proprio e nell’anzidetta qualità) appare inammissibile anche perché i motivi in proposito addotti non risultano pertinenti alla corretta argomentazione, in diritto, in base alla quale è intervenuta la declaratoria d’inammissibilità, visto che le argomentazioni allo scopo svolte da parte ricorrente si appalesano inconferenti, eludendo in effetti le ragioni di carattere essenzialmente processuale concernenti la rilevata incompletezza del gravame, che non aveva censurato anche l’argomentazione del primo giudicante, per la parte relativa alla illegittimità delle cartelle opposte siccome derivanti da contribuzione pretesa da un ufficio I.N.P.S. territorialmente incompetente, ritenuta da sola sufficiente a paralizzare la pretesa creditoria dell’Istituto, sicché indipendentemente anche dalla validità, o meno, in diritto di una tale argomentazione, la stessa tuttavia non era stata ad ogni modo ritualmente confutata da parte appellante, donde la conseguente formazione di giudicato preclusivo sul punto, atteso il difetto d’interesse in ordine alle altre argomentazioni poste a sostegno del gravame, nei sensi di cui alla citata consolidata giurisprudenza di legittimità in proposito;
dunque, il ricorso non si confronta con le precise argomentazioni in diritto della sentenza impugnata, non cogliendone l’effettiva ratio decidendi, le cui argomentazioni quindi non sono state specificamente confutate in modo appropriato e completo; di conseguenza, l’I.N.P.S., nell’anzidetta qualità, rimasto soccombente, va condannato al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, mentre nulla in proposito va ad ogni modo disposto quanto alla posizione dell’intimata EQUITALIA CENTRO S.p.a., che non ha svolto comunque alcuna difesa nel proprio interesse; infine, stante l’esito integralmente negativo dell’impugnazione qui proposta, ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore della controricorrente, in euro #3000,00# per compensi professionali ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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