CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 3237 depoitata il 5 febbraio 2024
Tributi – Avviso di accertamento – Maggior reddito imponibile – Reddito non dichiarato di partecipazione – Termine dilatorio per l’emissione dell’avviso – Tributi non armonizzati – Controllo a tavolino – Assenza accesso o ispezione – Rilevanza delle somme oggetto di movimentazioni bancarie – Accoglimento parziale
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Reggio Emilia notificava, in data 1 dicembre 2008, nei confronti di M.P. avviso di accertamento n. (…), con il quale veniva accertato nei confronti della predetta contribuente, per l’anno d’imposta 2003, un maggior reddito imponibile di Euro 109.000,00.
Il suddetto avviso si fondava: i) sulla mancata giustificazione degli accrediti erogati dalla società T. Srl, decurtati delle somme che la stessa società aveva dichiarato nel proprio mod. 770 di avere corrisposto alla sig.ra M.P. per l’anno 2005; ii) sulla mancata giustificazione di altri accrediti erogati dalla Vita Srl; iii) sulla emissione di un assegno circolare a favore della Gruppo Italiano Servizi soc. coop. a r.l.
Con lo stesso atto impositivo veniva accertato, in capo alla contribuente, un reddito non dichiarato di partecipazione pari ad Euro 87.293,00, attribuitole ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi), in quanto socia della Vita Snc
Da tale avviso di accertamento scaturivano maggiori imposte e sanzioni per complessivi Euro 172.420,00, oltre interessi.
2. La contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia la quale, con sentenza n. 25/03/2011 del 10 febbraio 2011, accoglieva il ricorso, annullando l’atto impugnato.
3. Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza 674/08/2016, pronunciata l’8 febbraio 2016 e depositata in segreteria il 18 marzo 2016, in riforma dell’impugnata sentenza accoglieva l’appello e confermava la legittimità dell’accertamento, con compensazione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.P., sulla base di quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
5. La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 13 ottobre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-BIS.1 cod. proc. civ.
Considerato che
1. Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto del contribuente), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, la contribuente che erroneamente la C.T.R. avrebbe ritenuto inapplicabile il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, cit., mancando, nella specie, l’obbligo di redazione del processo verbale di constatazione, in quanto la norma suindicata non conteneva alcun riferimento specifico al solo processo verbale di constatazione, ma individuava il momento da cui decorreva il termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, termine che, nella specie, non era stato rispettato, avendo l’Ufficio emesso l’avviso di accertamento prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla consegna di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 2, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 56 del D. Lgs. cit., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto rinunciate le questioni di merito spiegate dalla contribuente in primo grado (ritenute assorbite dalla C.T.P. a seguito di decisione su questione preliminare), per non avere presentato appello incidentale, nel mentre non era suo onere presentare tale appello, ma era sufficiente riproporre le suddette questioni in appello, come in effetti era avvenuto.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce, in via subordinata, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), dello stesso codice.
Sostiene, in particolare, che la C.T.R. aveva totalmente omesso l’esame delle doglianze della contribuente relative alla genericità e comunque irrilevanza delle movimentazioni contestate dall’Ufficio ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce, infine, in via ulteriormente subordinata, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. (omessa motivazione), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), dello stesso codice.
Deduce la ricorrente che la C.T.R. aveva omesso di esaminare le numerose eccezioni sollevate in primo grado ed in appello, in ordine alla provenienza non reddituale delle somme accreditate sui conti correnti.
2. Procedendo quindi all’esame del motivo di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Correttamente la C.T.R. ha ritenuto non applicabile, nella specie, il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, vertendosi, nella specie, in ipotesi di accertamento “a tavolino”, e non all’esito di accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali o professionali.
Sul punto, va rilevato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, non determina la nullità dell’avviso di accertamento emanato prima di detto termine, ove si tratti di tributi “non armonizzati”, e ove si tratti di avvisi emessi non all’esito di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede dell’esercizio commerciale o professionale (Cass. 20 luglio 2016, n. 14861).
Più in particolare, le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate.
Nella prima ipotesi l’espansione della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda; cosicché, il termine dilatorio in questione si applica in tutti casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi dell’art. 52, comma 6, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiamato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie) (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass. 5 novembre 2020, n. 24793).
Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente.
Al riguardo, questo Collegio intende ribadire che, nell’ordinamento, non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale; né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 22 ottobre 2013, causa C-276/12, J.S., affermato che “l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista” (punto 45) (Cass. 13 giugno 2014, n. 13588; Cass. 30 agosto 2023, n. 25445).
Ciò posto, è pacifico che, nella fattispecie in esame, con specifico riferimento alla posizione della ricorrente, non vi è stato alcun accesso o ispezione dell’Ufficio presso i locali destinati, ma solo un contradditorio su invito dell’Ufficio in sede di accertamento induttivo per ottenere chiarimenti sulla congruità dei redditi, sviluppatosi in una serie incontri tra le parti e con il deposito di documentazione da parte dell’interessata, ragion per cui non vi era obbligo per l’A.F. di attendere il termine di 60 gg. per l’emanazione dell’avviso di accertamento.
2.2. Il secondo motivo è invece fondato.
Ed invero, la C.T.R., una volta superata la questione dell’inapplicabilità, al caso di specie, del termine dilatorio ex art. 12, comma 7, l. n. 212/2000, ha omesso qualunque valutazione in ordine alla questione della rilevanza reddituale o non reddituale delle somme oggetto delle movimentazioni bancarie, limitandosi a rilevare che “l’Ufficio ha specificamente motivato rispetto alle controdeduzioni della parte appellata fornite in seguito all’invito rivolto per ottenere chiarimenti rispetto ai movimenti bancari accertati”, e quindi, sostanzialmente, limitandosi a prendere atto di quanto accertato dall’Ufficio, senza alcuna valutazione circa la fondatezza delle argomentazioni e della documentazione allegata dalla contribuente.
La C.T.R., poi, conclude per la fondatezza dell’appello “considerando che la sentenza appellata non è entrata nel merito dell’imputazione e della qualificazione reddituale delle somme accertate e che la parte appellata non ha proposto appello incidentale”, nel mentre la contribuente, essendo stata vittoriosa in primo grado, non aveva interesse a proporre appello incidentale, ma ha comunque riproposto le questioni di merito ex art. 346 cod. proc. civ. con le proprie controdeduzioni.
Ed invero, come già affermato da questa Corte, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di appello, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale), a riproporre le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Cass., sez. U., 21 marzo 2019, n. 7940).
Conseguentemente, una volta ritenuto fondato il motivo di appello dell’Ufficio riguardante l’infondatezza dell’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, la corte regionale avrebbe dovuto comunque esaminare tutte le altre eccezioni di illegittimità del suddetto avviso di accertamento, già proposte in primo grado (ove erano state ritenute assorbite per l’accoglimento della prima eccezione sollevata, e cioè, per l’appunto, la violazione dell’art. 12, comma 7, cit.), e riproposte in grado di appello, per le quali non vi era la necessità di proporre appello incidentale, trattandosi, all’evidenza, di questioni non esaminate perché ritenute assorbite, ma non rigettate esplicitamente o implicitamente.
Né, peraltro, tale riproposizione era preclusa dalla tardiva costituzione in giudizio dell’appellata, posto che, come già affermato da questa Corte, “nel processo tributario, la tardiva costituzione in giudizio della parte resistente non comporta alcuna nullità, stante il principio di tassatività delle relative cause, determinando soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere e svolgere attività processuali eventualmente precluse” (Cass. 29 maggio 2019, n. 14638; Cass. 16 gennaio 2019, n. 947). Ne consegue che la mera riproposizione di domande ed eccezioni già proposte in primo grado (ex art. 56 D. Lgs. n. 546/1992) non è preclusa pur in presenza di tardiva costituzione in appello, essendo prevista, nel processo tributario, in tal caso unicamente l’inammissibilità dell’appello incidentale (art. 54, comma 2, D. Lgs. n. 546/1992).
2.3. All’accoglimento del secondo motivo consegue l’assorbimento del terzo e quarto motivo, trattandosi di motivi subordinati all’eventuale mancato accoglimento dei motivi precedenti.
3. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia – Romagna, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, dichiara assorbiti il terzo e quarto motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.