CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2018, n. 30405
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Sanzioni – Dichiarazione annuale del sostituto d’imposta – Infedele presentazione
Rilevato che
la società Autotrasporti C. s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia aveva respinto l’appello della contribuente avverso la sentenza n. 11/02/2008 della Commissione Tributaria Provinciale di Udine, che aveva respinto il ricorso avverso avvisi di accertamento IRPEF e relative sanzioni per gli anni di imposta 2001 e 2002 relativamente mente ad infedele presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, omessa indicazione dei percipienti e mancata effettuazione di ritenute sui redditi di lavoro dipendente;
la società indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, lamentando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., «motivazione illogica e carente circa aspetti dirimenti per la soluzione del giudizio»;
l’Agenzia delle Entrate si è costituita deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso;
Considerato che
1.1. la censura di vizio motivazionale mira, in primo luogo, a contrastare la valutazione espressa in sentenza circa l’accettazione, da parte della contribuente, delle «conclusioni raggiunte dai verificatori», non avendo il vicepresidente della società ricorrente contestato, in sede di verifica, le conclusioni raggiunte dai verificatori circa la riferibilità alla società dei file excel rinvenuti nel computer della società e utilizzati da una dipendente della società, attestanti la sussistenza di maggiori imponibili che non erano stati sottoposti al versamento delle ritenute alla fonte;
1.3. la doglianza va disattesa essendo intesa a promuovere la rinnovazione del giudizio di fatto già esperito dal Giudice di merito;
1.4. come questa Corte ha da tempo precisato — rilevando che il vizio di omessa od insufficiente motivazione è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, sia evincibile la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento — detto vizio non ricorre «quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cessazione» (SS.UU. 24448/2013);
1.5. invero la Corte ha ripetutamente affermato che il ricorso per cessazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (cfr. Cass. SS.UU. 7931/2013), onde, così come il controllo che la Corte è chiamata ad esercitare in funzione della legalità della decisione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, a sua volta il controllo di logicità non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo – come appunto nel caso in esame – alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito; e questo perché il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (cfr. Cass. n. 91/2014);
1.6. nella specie la critica della ricorrente si risolve nella mera apodittica contrapposizione dell’opposta valutazione, senza dedurre fatti specifici, controversi e decisivi, non considerati dal Giudice del merito, ma limitandosi a contestare, «alla luce di .. elementi di supporto logico … e giuridici», il valore probatorio conferito dalla CTR al «comportamento silente del rappresentante della società nel corso dell’ispezione», e ad asserire del tutto genericamente – con riguardo alla seconda censura, relativa al preteso vizio di motivazione <<sul superamento del limite di non imponibilità previsto dall’art. 51 comma 5 TUIR» – che non fosse stato valutato dalla CTR «che i … versamenti in favore dei propri dipendenti rientravano, in tutto o in parte, all’interno della franchigia (giornaliera) di non imponibilità»;
1.7. per costante giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 10564/2011, 19902/2008, 25610/2006), costituisce, infatti, prova presuntiva a favore del fisco la documentazione extra contabile, benché costituita da brogliacci informali, agende, etc. (cfr. Cass. n. 6949/2006) ovvero da files (cfr. Cass. n. 21408/2017, 13303/2017), spettava alla parte contribuente allegare e dimostrare di aver offerto la prova contraria, di cui, invece, non c’è traccia in ricorso (soprattutto tenuto conto della mancata contestazione immediata, da parte del legale rappresentante, alle risultanze della verifica fiscale);
1.8. quanto poi al mancato riscontro dei presupporti del 51, 5 comma, TUIR, era parimenti onere della parte contribuente provare gli estremi per un trattamento di trasferta extra franchigia e tutto questo non risulta affatto evidenziato in ricorso;
1.9. non sussiste, dunque, il denunciato vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata risulta correttamente motivata ed immune da vizi logicogiuridici, mentre le doglianze che la ricorrente solleva alla decisione impugnata si sostanziano nell’inammissibile richiesta al Giudice di legittimità di sottopone le risultanze processuali emerse nel corso del giudizio di merito ad una nuova valutazione, in modo da sostituire alla valutazione sfavorevole già effettuata dai primi giudici una più consona alle proprie concrete aspirazioni (cfr., ex multis, Cass. n. 25332 del 2014);
2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va respinto;
3. le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 5.600,00 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
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