CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 novembre 2020, n. 26590
Rapporto di lavoro – Collocazione in CIGS a zero ore – Risarcimento da illegittima sospensione di credito da inadempimento contrattuale – Eredi
Rilevato che
1. con sentenza 28 agosto 2017, la Corte d’appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettato l’appello incidentale di S. s.p.a. avverso di essa, condannava la società al pagamento, in favore degli eredi del suo dipendente G.L. deceduto in corso di causa (il coniuge M.A.U. e i figli G. e S.L.), delle somme di € 89.190,32, a titolo di differenze retributive del periodo da dicembre 2001 al 21 luglio 2009 (data di presentazione del ricorso introduttivo) di collocazione in CIGS a zero ore, oltre interessi legali dalle singole scadenze e di € 293,50, a titolo di una tantum, oltre interessi legali, nonché di interessi e rivalutazione ai sensi dell’art. 429 c.p.c. sulla somma liquidata di € 7.299,53;
2. in via preliminare, la Corte territoriale ribadiva l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione della società appellata (appellante incidentale), siccome di durata decennale, per la natura del risarcimento da illegittima sospensione, a seguito di collocamento del lavoratore in Cigs, di credito da inadempimento contrattuale;
3. in base alle scrutinate risultanze istruttorie, essa nel merito riteneva la genericità dei criteri di selezione dei lavoratori da sospendere, indicati soltanto nel numero massimo senza neppure la possibilità di accertare se tutti i colleghi della stessa unità di G.L., occupati nelle medesime mansioni, fossero coinvolti nella rotazione e non soltanto a cadenza trimestrale (come aveva invece ritenuto il Tribunale, che aveva liquidato la somma di € 45.420,48), così riconoscendogli un danno risarcibile per l’intero periodo di collocamento in Cigs nella misura determinata dal C.t.u., non censurata dalle parti;
4. inoltre, la Corte isolana riconosceva spettanti l’una tantum per il rinnovo del CCNL e la quota armonizzazione e la maggiorazione di rivalutazione ed interessi suindicate, provvedendo alle relative condanne; non anche però le ulteriori pretese risarcitorie a titolo di danno biologico, né esistenziale e neppure morale, in parte per difetto di prova ed in parte perché già oggetto di liquidazione;
5. essa confermava invece il risarcimento del danno per dequalificazione professionale del lavoratore (determinato in misura del 10% dell’intera retribuzione mensile netta per tutto il periodo di inattività giustificata), oggetto di appello incidentale;
6. con atto notificato il 2 (10) gennaio 2018, S. s.p.a. ricorreva per cassazione con tre motivi, cui gli eredi del lavoratore resistevano con controricorso;
Considerato che
1. la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 e 2946 c.c., per il ripristino dell’ordinario regime di adempimento dei pagamenti periodici ad anno o in termini più brevi, qualora si chieda, per far valere l’inadempimento datoriale all’obbligo retributivo, la “disapplicazione” del decreto ministeriale concessivo della Cigs, derogante al normale regime di adempimento per l’istituzione di una sorta di impossibilità della prestazione (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. secondo consolidato indirizzo di questa Corte, meritevole di continuità, la richiesta del lavoratore di risarcimento danni per illegittima sospensione a seguito di collocamento in Cigs ha ad oggetto un credito da inadempimento contrattuale, soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, né rileva in senso contrario il fatto che il lavoratore abbia fatto riferimento alle retribuzioni perdute, dovendosi avere riguardo alla natura del credito azionato e non alla qualificazione che ne abbia dato la parte (13 dicembre 2010 n. 25139; 4 dicembre 2015 n. 24738; Cass. 11 maggio 2017, n. 11601);
4. la società ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione dell’art. 1, settimo e ottavo comma I. 223/1991 in relazione al contenuto degli accordi del 9 marzo 2006, 2 marzo 2007, 30 gennaio 2008, 29 dicembre 2008, 30 aprile 2010, 15 dicembre 2010 e 20 dicembre 2011 e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1371 c.c., per illegittimità della sospensione anche per gli anni successivi al 2005, per omessa comunicazione alle rappresentanze sindacali delle garanzie procedimentali, erroneamente riconosciuta per inosservanza delle regole generali di ermeneutica contrattuale nella lettura di tali accordi, senza motivazione in ordine alle stesse lacune evidenziate in quelli degli anni precedenti, sostanzialmente diversi (secondo motivo);
5. esso è inammissibile;
6. la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi regolanti la materia, espressamente richiamati, in particolare enucleabili in quelli di: specificità dei criteri di scelta, consistente nella loro idoneità ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; violazione dell’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, settimo comma I. 223/1991 dell’apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere; inefficacia dei provvedimenti aziendali mancanti della specificazione dei criteri di scelta (o dell’indicazione delle ragioni che impediscano il ricorso alla rotazione), direttamente azionabile dai lavoratori, per la finalità di regolamentazione della materia alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori; insanabilità del vizio della comunicazione di avvio della procedura con un successivo accordo, neppure intervenuto prima della concreta sospensione dei lavoratori, anteriormente all’entrata in vigore della legge 92/2012 (Cass. 1 agosto 2016, n. 15994; Cass. 11 maggio 2017, n. 11601; Cass. 10 marzo 2020, n. 6761);
6.1. la Corte ha quindi proceduto ad una interpretazione, insindacabile in sede di legittimità, in quanto adeguatamente argomentata in base allo scrutinio dei verbali di accordi sindacali (dall’ultimo capoverso di pg. 8 al secondo di pg. 10 della sentenza), anche successivi all’anno 2006 (in particolare riferimento ai verbali di accordo di gennaio 2008 e dicembre 2008: ultimo capoverso di pg. 9 della sentenza), letti soprattutto alla luce delle risultanze della prova orale (al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), in esito al cui scrutinio essa ha accertato come la “sospensione” non abbia “interessato dal 2001 in poi tutto il personale della S. s.p.a. con la medesima professionalità del Loria”(così al secondo capoverso di pg. 6 della sentenza);
6.2. all’interpretazione giudiziale la società ha meramente contrapposto la propria, pure in assenza di una corretta denuncia di violazione dei canoni ermeneutici; ed è noto che l’interpretazione di un atto negoziale sia tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 ss. c.c., o di motivazione inadeguata, ovverosia inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione: sicché, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo un puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma precisare altresì in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’inammissibilità del motivo di ricorso che, pur fondandosi sull’asserita violazione di norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione, si risolva in realtà nella proposta di una diversa interpretazione (Cass. 30 aprile 2010, n. 10554; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4139);
7. la società ricorrente deduce infine l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., in riferimento all’ammissione alla Cigs, a rotazione dal marzo 2001, del personale avente identiche mansioni di Loria e non di tutto il personale con la sua medesima professionalità, con esclusione di alcun suo danno, se non derivante dall’omessa rotazione (terzo motivo);
8. anch’esso è inammissibile;
9. l’omissione non sussiste, essendo stato il fatto storico dedotto (identità di mansioni e professionalità di G.L. di personale ammesso, contrariamente a lui, alla rotazione o non sospeso) esaminato e valutato dalla Corte territoriale (al primo capoverso di pg. 6 della sentenza);
9.1. la doglianza ha piuttosto ad oggetto la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte (al secondo capoverso di pg. 6 della sentenza), al di fuori dell’ambito di corretta devoluzione del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che non prevede che l’omesso esame di elementi istruttori integri, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);
9.2. neppure si configura la denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che deve essere esclusa quando si censuri, come appunto nel caso di specie, un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito; essa ricorrendo invece solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero considerato come piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229);
9.3. né infine è pertinente la denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c. (che sancisce il principio di libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), idonea ad integrare il vizio di error in procedendo solo qualora il giudice di merito disattenda il principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);
9.4. quanto alla valutazione delle prove, il principio del libero convincimento opera poi interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità: sicché, la denuncia di violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie prevista dall’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., bensì errore di fatto, da censurare attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma 1, n. 5 c.p.c., come riformulato dall’art. 54 d.l. 83/2012, conv. con modif. dalla I. 134/2012 (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la statuizione sulle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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