CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 gennaio 2019, n. 2214
Tributi – Importazioni – Imposte doganali – Avvisi di rettifica – Rideterminazione del valore doganale – Fondati dubbi della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare – Applicazione procedura art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 2454 del 1993 – Necessità
Rilevato che
– con sentenza n. 286/52/2011, depositata il 29 novembre 2011, la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettava l’appello principale proposto dalla Euro H. ’93 s.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore, nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore prò tempore, e accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio nei confronti della società avverso la sentenza n. 605/06/2010 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi RG.n. 20703/2009; 21694/2009; 21697/2009; 3780/2010; 5356/2 010; 7011/2010 e rigettato quelli RG n. 15678/2008, 15680/2008, 19407/2009, afferenti una serie avvisi di rettifica dell’accertamento con il quali l’Ufficio delle dogane di Napoli aveva richiesto alla suddetta contribuente, nella qualità di titolare della procedura di domiciliazione, maggiori diritti doganali e maggiore IVA sul valore delle merci di importazione cinese rideterminato secondo i criteri di cui agli artt. 30 e 31 del Regolamento CEE n. 2913 del 1992 (c.d. codice doganale comunitario), attraverso la consultazione del sistema denominato M.E.R.C.E., essendo emersa la falsità dei relativi certificati di origine presentati a corredo delle dichiarazioni doganali rese, negli anni 2006-2007, dalla stessa Euro H. ’93 s.r.l., quale rappresentante indiretto delle società importatrici;
– la CTR in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che tutti gli avvisi di rettifica – a prescindere se, come ritenuto dal giudice di prime cure, emessi prima o dopo il deposito della sentenza della Corte di giustizia del 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropè – erano legittimi, essendo stata rispettata dall’Ufficio la speciale normativa doganale (art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990) che garantisce al contribuente il possibile rimedio di difesa amministrativa mediante l’instaurazione della controversia doganale, cosa che, nella specie, era concretamente avvenuta per quattordici degli atti impositivi in questione;
– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane;
– Euro H. ’93 s.r.l., ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c., nella quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.l cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la società contribuente denuncia la violazione del diritto di difesa, degli artt. 24 Cost., 2697 c.c., del diritto comunitario come interpretato dalla Corte di giustizia, nonché l’omissione, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo e controverso per il giudizio, avendo la CTR erroneamente ritenuto legittimi gli avvisi di rettifica in questione, senza che l’emissione degli stessi fosse stata preceduta da alcuna preventiva comunicazione all’operatore che poteva conseguirne un danno e senza che a questi fosse stato concesso un congruo termine (ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 374 del 1990) per potere formulare eventuali osservazioni, con conseguente violazione del diritto di difesa sancito dalla Corte di giustizia nella sentenza del 18 dicembre 2008, C-349/07, Sopropè, applicabile, in base alla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6481 del 2010), anche retroattivamente, a prescindere dalla data di emissione degli atti impositivi;
– il motivo è infondato;
– giova ricordare, con specifico riferimento al contraddittorio in materia doganale- rilevante nel presente procedimento, nel quale l’Amministrazione delle dogane ha emesso nei confronti della società contribuente una serie di avvisi di rettifica per la ripresa di dazi doganali- che questa Corte si è più volte pronunziata, sulla scia dei precedenti resi dalla Corte di Giustizia;
– in particolare, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 (codice doganale comunitario), si evince dalle previsioni espresse dell’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374 e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo; -ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione capaci di inficiare il procedimento è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale. Per altro verso, questa Corte ha ritenuto che, in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile l’art. 12, comma 7, della legge 20 luglio 2000, n. 212, operando in tale ambito lo jus speciale di cui all’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del detto avviso (Cass. n. 23669 del 2018; Cass. 15032 del 2014; Cass. n. 8399). In particolare, da ultimo nella sentenza n. 23669 del 2018, questa Corte ha precisato come la disciplina di cui all’art. 11 cit. – nella versione ante novella del d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012 – sia stata promossa dalla Corte di giustizia, con la sentenza del 20 dicembre 2017, causa C- 276/16, Preqù-Italia, secondo cui “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’articolo 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’articolo 244, secondo comma, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato” e “la violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”;
– nella specie, la CTR si attenuta ai suddetti principi, avendo rilevato l’osservanza, nella specie, della “speciale normativa doganale” (art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990) che, nel garantire un contraddittorio preprocessuale, attraverso il ricorso amministrativo, aveva assicurato il rispetto del diritto al contraddittorio;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione delle norme dettate dal codice doganale comunitario (Reg. CEE n. 2913/1992) e dalla decisione 94/800/CEE- decisione del Consiglio del 22.12.1994 relativa alla conclusione a nome della Comunità europea per le materie di sua competenza, degli accordi negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986/1994)- in tema di valore in dogana, per avere l’Agenzia delle dogane, in violazione del preciso ordine sequenziale previsto dagli artt. 29, 30 e 31 del C.D.C., utilizzato direttamente, senza specificarne i motivi, il metodo del valore di transazione di merci similari (art. 30, par.2, lett. b) C.D.C.), facendo,peraltro, riferimento ai valori medi invece che a quelli minimi come, invece, previsto dalla Decisione 94/800 CEE del Consiglio del 22.12.1994;
– il secondo motivo è fondato e va accolto;
– in materia, questa Corte, nella sentenza n. 23245 del 2018, ha chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; e il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (Corte giust. 12 dicembre 2013, causa C116/12, Christodoulou e a., punto 28). Una tale disciplina ha una ben precisa ratio: la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra varie, Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 44; 20 dicembre 2017, causa C- 529/16, HannamatsuPhotonics Deutschland GmbH c. Hauptzollamt Munchen; 15 luglio 2010, Gaston Schul, causa C-354/09, punto 27; 28 febbraio 2008, causa C-263/06, Carboni e derivati s.r.I., punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale. Il che spiega perché il codice doganale comunitario abbia stabilito con gli artt. 29, 30 e 31 una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perché il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181-bis, qualora le autorità doganali abbiano « fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’articolo 29 del codice doganale» (Cass. 4 aprile 2013, n. 8323; 13 settembre 2013, n. 20931). In questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio, prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29;
– il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa. Ne consegue che, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni dell’art. 30 del codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo (Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 del codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (sentenza in causa C-116/12, punto 42). In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base sì agli artt. 29, 30 e 31 del codice doganale comunitario, ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (sentenza in causa C-116/12, punto 43);
– il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione, in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato. Per disattenderlo, occorre che: a) l’amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 del codice doganale comunitario, in successione;
– ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: «Nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., la medesima Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 2454 del 1993- è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli articoli 30 e 31 del codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile »;
– nella specie, la CTR non si attenuta al suddetto principio, in quanto, con una motivazione incongrua e insufficiente, ha ritenuto legittimi gli avvisi di rettifica in questione con i quali l’autorità doganale – a fronte della emersa non veridicità dei certificati di origine cinese e delle fatture prodotte a corredo delle rese dichiarazioni doganali – aveva determinato il valore in dogana delle merci importate attraverso la consultazione del sistema denominato M.E.R.C.E., senza precisare: 1) se la percentuale tra il valore dichiarato e quello ritraibile dalla media dei beni similari classificati nella banca dati M.E.R.C.E. fosse risultata superiore o meno al 50%, e, dunque, fosse sufficiente a giustificare i dubbi dell’Amministrazione doganale circa l’inattendibilità del valore di transazione; 3) se a fronte di fondati dubbi, fosse stata rispettata la procedura di cui all’art. 181 bis, par. 2, cit.; 3) se l’Agenzia avesse fatto ricorso, in primo luogo, ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari al valore di transazione ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 del C.D.C., in successione; 4) quali fossero state, nel caso, le ragioni tali da fare escludere la possibilità di rispettare l’ordine previsto dal C.D.C.;
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del principio dell’affidamento dell’operatore di buona fede ex artt. 220 par. 2, lett. b) del Reg. n. 2913 del 1992 nonché la relativa omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio;
– l’accoglimento del secondo motivo, rende inutile la trattazione del terzo con assorbimento dello stesso;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 221, par. 3, C.D.C. e dell’art. 84, comma 1, T.U.L.D. e la relativa omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, per avvenuta prescrizione del diritto alla riscossione dei dazi, essendo stati gli avvisi di rettifica notificati oltre il termine triennale decorrente dalla data di emissione delle bollette doganali, senza che tale termine fosse rimasto sospeso per l’insorgenza dell’obbligazione doganale a seguito di un preteso ” fatto-reato”, non essendo stata, peraltro, trasmessa nel termine triennale alcuna notitia criminis;
– il motivo è inammissibile;
– invero, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, qualora un determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 10147 del 2017; SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004);
– nella specie, la ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza non ha trascritto nel ricorso, per le parti rilevanti, gli atti del giudizio di appello necessari affinché questa Corte possa vagliare la fondatezza della censura; ciò, anche avuto riguardo all’eccezione sollevata nel controricorso dall’Agenzia delle dogane di formazione del giudicato interno per non avere la contribuente riproposto, in sede di gravame, la questione dell’avvenuta prescrizione del potere dell’Ufficio di revisione dell’accertamento, in quanto tale rigettata dal giudice di primo grado;
– in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, dichiarato infondato il primo e inammissibile il quarto, e la sentenza impugnata cassata- in relazione al motivo accolto- con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara infondato il primo e inammissibile il quarto; assorbito il terzo, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata- in relazione al motivo accolto- e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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