CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 maggio 2018, n. 13148
Tributi locali – ICI – Accertamento – Sequestro conservativo – Revocazione
Ritenuto
che la E. s.r.I., proprietaria di immobili, subiva il sequestro conservativo dei beni, richiesto dal Comune di Pomezia, sino alla concorrenza di Euro 350.000,00, a garanzia dei crediti recati dagli avvisi di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (Ici), relativamente alle annualità 2002, 2003 e 2004, impugnati dalla contribuente, la quale proponeva ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 478/48/11, depositata il 15/12/2011, della CTP di Roma, con cui era stata autorizzata la misura cautelare, ma l’impugnazione veniva disattesa in quanto non ricorre alcuno dei casi previsti dall’art. 64, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 395 c.p.c., decisione successivamente confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 360/1/13, depositata il 10/6/2013;
che, per quanto ancora d’interesse, la CTR escludeva il prospettato vizio revocatorio non sussistendo alcun contrasto tra giudicati, avuto riguardo alle sentenze (“n. 545- 546-547-548 e 549/36/2010, depositate in data 3/12/2010”) di accoglimento delle impugnazioni proposte dalla contribuente avverso i sopra ricordati avvisi di accertamento, in quanto l’affermazione che si trattava di atti emessi invece che dal Comune da un soggetto privato non munito del potere impositivo, era al più affetta da un errore di giudizio della CTP e, pertanto, confermava la sentenza della CTP appellata;
che la società contribuente propone ricorso per cassazione, affidato ad un articolato motivo, con il quale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 3 e n. 5, (primo profilo) violazione e falsa applicazione di norme di diritto, (secondo profilo) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, giacché la CTR non ha considerato che gli avvisi di accertamento dai quali scaturiva la richiesta di sequestro conservativo erano oggetto di impugnazione, ed in assenza di una decisione dei giudici tributari in ordine alla effettiva sussistenza della posizione debitoria, l’iniziativa cautelare intrapresa dal Comune si appalesa del tutto illegittima;
che resiste con controricorso il Comune di Pomezia;
Considerato
che, in via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto, come affermato da questa Corte, “La previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, c. p. ci. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’il settembre 2012.” (Cass. n. 26860/2014), e nel caso di specie l’atto di appello risulta depositato il 6/7/2012;
che le censure sono infondate e non meritano accoglimento per le ragioni di seguito precisate;
che, ad avviso della contribuente, il giudice di appello, nel confermare la decisione della CTP di Roma, che ha escluso la ricorrenza di un motivo di revocazione per possibile conflitto di giudicati tra la sentenza (n. 476/51/10, depositata il 25/11/2010) con cui era stato autorizzato il sequestro conservativo dei beni in danno della contribuente, e le sentenze (“n. 545-546-547-548 e 549/36/2010, depositate in data 3/12/2010”), pronunciate dalla medesima CTP di Roma, con le quali è stato successivamente disposto l’annullamento degli avvisi di accertamento posti a base della predetta misura cautelare, ha trascurato di considerare, dandone conto in motivazione, che tutte le citate sentenze si basano sui medesimi fatti e sui medesimi presupposti;
che il provvedimento con cui la Commissione tributaria provinciale decide sull’istanza di concessione del sequestro conservativo formulata dalla Amministrazione, in quanto espressamente qualificato come sentenza dall’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997, è sottoposto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, vale a dire l’appello ed il successivo ricorso per cassazione, ma non per questo si tratta di provvedimento che assume la stabilità tipica di un vero e proprio giudicato, basato com’è sul fumus boni iuris e sul periculum in mora, in quanto destinato a perdere efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda di merito (Cass. n. 7342/2008, n. 24527/2007).
che, peraltro, quando venne pronunciata la sentenza (n. 476/51/10) oggetto di revocazione, non si poteva porre alcuna questione afferente la formazione di una decisione di merito – a seguito cioè di ordinario giudizio a cognizione piena – sulla debenza dell’imposta comunale sugli immobili pretesa dal Comune di Pomezia, essendo ancora pendenti in primo grado i giudizi proposti dalla opponente contribuente;
che, nella fattispecie in esame, per stessa ammissione della ricorrente le sentenze (n. 545-546-547-548 e 549/36/2010) costituenti – in tesi – motivo di revocazione, furono pronunciate dopo la sentenza oggetto di revocazione, ed a fortiori sarebbero potute passare in giudicato – non essendo dedotto alcunché al riguardo – soltanto successivamente alla pronuncia della sentenza oggetto di revocazione, e se ne deve dedurre che il ricorso per revocazione avverso detta sentenza è stato correttamente ritenuto inammissibile, perché proposto fuori dei casi contemplati dall’art. 395 c.p.c., n. 5, richiamato dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1;
che, in conclusione, la sentenza impugnata non merita di essere cassata, il ricorso va respinto, e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore dell’intimato Comune, come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 7.500,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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