CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 ottobre 2021, n. 29831
Tributi – Accertamenti bancari – Amministratore di condominio – Presunzione di compensi non dichiarati – Prelevamenti – Esclusione – Versamenti registrati su conto corrente – Onere di prova contraria – Versamenti effettuati dai condomini amministrati – Validità
Fatti di causa
G.S. ed E.S., quali eredi di A.B., impugnarono un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate, con il quale vennero ripresi a tassazioni maggiori redditi tratti dalla defunta nel corso dell’anno 2004, ai fini delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA.
Il ricorso venne accolto integralmente in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza depositata il 25 ottobre 2012, lo respinse.
Avverso la detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre mezzi, cui risponde con controricorso E.S., mentre non ha spiegato difese G.S.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso deduce l’Agenzia delle Entrate la violazione dell’art. 32, primo comma, n. 2), del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 51, comma 2, n. 2), del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, poiché la commissione tributaria regionale ha violato la regola presuntiva a carico del contribuente discendente dalle dette norme.
2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., avendo il giudice di merito omesso di motivare in ordine ai fatti storici, decisivi per il giudizio, concernenti le prove addotte dagli eredi della contribuente in ordine alla natura dei prelevamenti e dei versamenti eseguiti sui conti correnti della defunta.
3. Con il terzo motivo assume la nullità della sentenza per violazione degli artt. 2 e 35, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, avendo il giudice di merito erroneamente affermato che le domande, avanzate in via alternativa dall’amministrazione appellante, minavano in maniera determinante la fondatezza dell’accertamento impugnato.
3.1. I tre motivi, strettamente connessi, meritano perciò trattazione unitaria e sono tutti inammissibili.
Va anzitutto ricordato che in tema di accertamento dei redditi, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.p.r. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti; tutto ciò ferma restando la legittimità della imputazione a compensi delle somme risultanti da operazioni bancarie di versamento (Cass. 26/09/2018, n. 22931; Cass. 31/01/2017, n. 2432; Cass. 9/08/2016, n. 16697; Cass. 30/03/2016, n. 6093).
Va soggiunto che, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità (da ultimo, Cass. 16/07/2020, n. 15161).
3.2. Orbene, nella fattispecie in esame, lamentando plurime violazioni di legge, in realtà la ricorrente intende sottoporre al vaglio di questa Corte – in maniera appunto inammissibile -, l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla valenza probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente per superare la detta presunzione.
In particolare, la commissione tributaria regionale, facendo corretta applicazione della esposta regola sull’onere della prova a carico del contribuente, ha affermato che attraverso i documenti prodotti nel corso del giudizio, gli eredi dell’amministratrice di condomini avevano dimostrato che tutte le somme registrate sul conto corrente intestato a quest’ultima, erano in realtà interamente riconducibili ai versamenti effettuati dai condomini dalla stessa amministrati.
E siffatto accertamento non è sindacabile in sede di legittimità, avendo le Sezioni Unite di questa Corte ribadito l’inammissibilità del ricorso per cassazione il quale, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. 27/12/2019, n. 34476).
4. Le spese seguono la soccombenza. Essendo la ricorrente una amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso per la predetta l’obbligo di versare dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 17789).
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ad agli accessori di legge.
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