CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 agosto 2020, n. 17797
Diritto all’assegno di invalidità – Accertamento di una soglia invalidante del 67% – Requisiti sanitario e reddituale – Disciplina differenziata, quanto al requisito reddituale, per la pensione di inabilità e per l’assegno di assistenza
Rilevato che
la Corte d’appello di Potenza, ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da D.M.U. nei confronti dell’Inps, avente ad oggetto il riconoscimento del suo diritto all’assegno di invalidità civile per effetto dell’accertamento di una soglia invalidante del 67%, insufficiente ad integrare il requisito sanitario occorrente per il beneficio richiesto;
la Corte d’appello, segnatamente, decidendo sull’impugnazione dell’Istituto, ha escluso che sussistesse il requisito reddituale alla luce del cumulo fra quello personale dell’assistita e quello del coniuge;
per la cassazione della sentenza propone ricorso D.M.L. affidandolo a tre motivi;
l’INPS ha depositato procura senza spiegare attività difensiva;
Considerato che
con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 13 L. n. 118/71 in relazione agli artt. 1, 3, 29, 38 Cost., mentre con il secondo ancora la violazione dell’art. 13, sotto diversi profili, e, con il terzo motivo, si censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 115 e 365 cod. proc. civ.;
Il secondo motivo è fondato e deve essere accolto.
Conformemente alla giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass., n. 14415 del 27/05/2019) è opportuno compiere un rapido excursus sul quadro normativo relativo alla questione all’esame in relazione alle due prestazioni di assistenza, pensione di inabilità e assegno mensile.
Al riguardo, è utile rammentare che, nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, la legge 30 marzo 1971, n. 118 previde la concessione – a carico dello Stato ed a cura del Ministero dell’Interno – di una pensione di inabilità, per i soggetti maggiori di 18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di in collocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13). Le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: invero l’art. 12, comma 2 fa riferimento a quelle stabilite dalla legge n. 153 del 1969 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1 prevede che l’assegno mensile è concesso “con le stesse condizioni e modalità”.
Pertanto, considerando quanto previsto dalla legge n. 153 del 1969, art. 26 (norma, quest’ultima che stabilisce le condizioni economiche richieste per la pensione), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità come pure all’assegno mensile; non doveva essere “titolare di redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a L.156.000 annue” (così il testo originario dell’art. 26 della Legge citata).
Successivamente il D.L. 2 marzo 1974 n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974 n. 114) interviene per elevare l’importo annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art. 7) ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili – si tratti della pensione di inabilità ovvero dell’assegno mensile – “sono quelle previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3 dettato in parziale sostituzione; della L. n. 153 del 1969 cit., art. 26) che le condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione sociale consistono nel possesso di redditi propri per un ammontare non superiore a L. 336.050 annue, ovvero, in caso di soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge non superiore a L. 1.320.000 annue. Con il successivo intervento di cui alla L. 21 febbraio 1977 n. 29, articolo unico (di conversione, con modificazioni, del D.L. 23 dicembre 1976 n. 850) i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art.8 (che come già detto, richiama quelli previsti dall’art. 3 dello stesso Decreto Legge per la concessione della pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto della L. 3 giugno 1975 n. 160, art. 3 a L. 1.560.000 per il reddito cumulato e a L. 505.050 per il reddito personale) sono elevati a L. 3.120.000 annui, ma esclusivamente per la pensione di inabilità: testuale è invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli invalidi civili assoluti di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12” mentre nessuna menzione la norma contiene degli invalidi parziali di cui al successivo art. 13.
Per questi ultimi devono quindi, per il momento, ritenersi ancora vigenti i limiti reddituali previsti dal ripetuto D.L. n.30 del 1974, art. 3 come modificati dalla L. n. 160 del 1975, art. 3. E nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento al DL. n.30 del 1974, art. 3 non vi è neppure spazio per una interpretazione del testo normativo che porti ad argomentarne l’intento del legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina previgente, adottando come parametro di verifica del superamento del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto, ancorché coniugato. In definitiva, anche l’intervento legislativo in parola non incide sul principio di sistema, per cui il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto ed esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da considerare ai fini della verifica del superamento (o meno) del suddetto limite. Evidentemente resosi conto dei limiti di ragionevolezza di una scelta che portava a raddoppiare, per questa sola prestazione assistenziale, il limite di reddito da prendere a riferimento, il legislatore, nel convertire il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 con la L. 29 febbraio 1980, n. 33 ha aggiunto la disposizione dell’art. 14 septies (secondo cui: con decorrenza I luglio 1980 “il limite di reddito per il diritto all’assegno mensile in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui agli articoli 13 e 17 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni ed integrazioni, è fissato in lire 2.500.000 annui, calcolati agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte.”), con la quale, nel mentre vengono ancor più elevati i limiti di reddito di cui al il D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (portati a L. 5.200.000 annui rivalutabili annualmente) (comma 4), contestualmente (comma 5), si stabilisce che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17 (l’art. 17, poi abrogato dallaL. 21 novembre 1988, n. :508, art. 6 disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di 18 anni), il limite di reddito da considerare è fissato nell’importo di L. 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e “da calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”. E’ stato innanzitutto rilevato che l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies comma quinto cit., tendeva a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977. Significativo di tale intento è che per l’attribuzione dell’assegno è, bensì, preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma quarto) corrisponde a più del doppio di quello stabilito per l’assegno (L. 5.200.000 annue a fronte di L. 2.500.000 annue). In questa prospettiva è stato ritenuto che il comma quinto dell’art. 14 septies costituisse deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi (vedi Corte cost. sent n. 769 del 1988 e n. 75 del 1991; vedi anche Corte cost. n. 454 del 1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65° anno) e, di conseguenza, non esprimesse alcun principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti disposizioni particolari. Si è quindi ribadito che la formulazione letterale della norma che fa menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non può che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti sia rimasta assoggettata a questa regola.
Una conferma a livello sistematico della esistenza di una disciplina differenziata, quanto al requisito reddituale, per la pensione di inabilità e per l’assegno di assistenza, è stata ravvisata nella legge 30 dicembre 1991, n. 412, art.12 (da titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) nella quale la distinzione tra le due prestazioni continua ad essere mantenuta, disponendo la norma che con effetto dal 1 gennaio 1992 ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili si applica il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali.
Con riferimento alla sostituzione dell’art. 13 L. n. 118 del 1971 ad opera dell’art. 1, comma trentacinque, L. 24 dicembre 2007 n. 247 ( secondo cui « 1. Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con ie stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo 12. 2. Attraverso dichiarazione sostitutiva, resa annualmente all’INPS ai sensi dell’articolo 46 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, il soggetto di cui al comma 1 autocertifica di non svolgere attività lavorativa. Qualora tale condizione venga meno, lo stesso è tenutò a darne tempestiva comunicazione all’INPS.») è stato osservato che “si tratta, all’evidenza, di un intervento con il quale viene ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” richieste per la loro assegnazione. Ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni” stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12″, determinare cioè una equiparazione che si vuole modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, è di per sé, indicativo del fatto che tale disciplina – anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti – è diversa da quella nel frattempo dettata (con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5) per l’assegno mensile — non avendo senso, invero, una simile formulazione normativa ove le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero le stesse previste per l’assegno e, dunque, si dovesse dar rilievo al solo reddito personale dell’invalido, ancorché coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi” (Cass. n. 5003 del 2011). Tuttavia tale ultima affermazione va chiarita in quanto, la norma di cui all’art. 1, comma trentacinque, L. 24 dicembre 2007 n. 247 contiene più che una unificazione delle “condizioni” previste per le due prestazioni assistenziali una mera riproduzione dell’originaria dizione dell’art. 13 e non ha inteso abrogare la disposizione speciale dettata per l’assegno di invalidità, con riférimento al limite reddituale per accedere alla prestazione, introdotta dall’art. l’art. 14 septies comma quinto cit. Del resto che il Legislatore abbia sempre ritenuto che, anche dopo l’art. 1, comma 35, della L. n. 247/2007, per l’assegno di invalidità si dovesse far riferimento solo al reddito personale dell’invalido è chiaramente dimostrato dalla lettera del successivo intervento di cui al D.L. 28 giugno 2013, n. 76, recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti” conv. nella legge 9 agosto 2013 n. 99, che all’art. 10 comma 5 ha inserito dopo il sesto comma dell’art. 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n.33, una ulteriore disposizione con la quale si specifica che «Il limite di reddito per il diritto alla pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui all’articolo 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, è calcolato con riferimento al reddito agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte».
La disposizione si completa con il successivo comma sesto il quale stabilisce che “La disposizione del settimo comma dell’articolo 14- septies del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, introdotta dal comma 5, si applica anche alle domande di pensione di inabilità in relazione alle quali non sia intervenuto provvedimento definitivo e ai procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in vigore della presente disposizione, limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla medesima data, senza il pagamento di importi arretrati. Non si fa comunque luogo al recupero degli importi erogati prima della data di entrata in vigore della presente disposizione, laddove conformi con i criteri di cui al comma 5.”.
Come chiarito in varie pronunzie di questa Corte (ord. n. 27812 del 2013, n. 28565 del 2013 cui ne sono succedute numerose altre), con tale previsione il legislatore ha inteso definire un nuovo regime reddituale senza, tuttavia, pregiudicare le posizioni di tutti quei soggetti che avendo presentato domanda nella vigenza della precedente normativa (da interpretarsi nei termini più sopra riportati) non avessero ancora visto la definizione in sede amministrativa del procedimento ovvero fossero parti di un procedimento giudiziario ancora sub iudice.
Quasi a ribadire il suo carattere innovativo, poi, la norma precisa che il diritto alla pensione, sulla base dei nuovi requisiti stabiliti, decorrerà solo dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (28.6.2013) e soggiunge che non possono essere pagati importi arretrati sulle prestazioni riconosciute precisando quindi che, ove tale pagamento sia già intervenuto, le somme erogate non sono comunque recuperabili purché il loro riconoscimento sia intervenuto prima della data di entrata in vigore del nuovo requisito reddituale e risulti comunque rispettoso dello stesso. In sostanza, resta confermato anche alla luce del D.L. n. 76/2013 conv. in L. n. 99/2013 che per l’ assegno di invalidità, anche nel periodo successivo alla entrata in vigore della L. n. 247/2007, occorre far riferimento al reddito personale dell’assistito con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il predetto -fa parte. Consegue, con riferimento al caso di specie, che il diritto il beneficio in controversia doveva essere riconosciuto solo previa verifica che i redditi personali della ricorrente non superassero la soglia di legge senza che avesse rilievo il reddito del coniuge della stessa.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto restando gli altri assorbiti; la sentenza va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Salerno, che provvederà anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Salerno, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità.
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