CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2022, n. 2905
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Spese per incrementi patrimoniali e possesso di beni indice – Onere di prova contraria
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) della Campania (sezione staccata di Salerno), con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino (n. 360/04/11), di accoglimento del ricorso di G.C. contro l’avviso di accertamento, fondato su metodo sintetico mediante il c.d. “redditometro”, che rettificava ai fini Irpef, per il 2005, il reddito dichiarato, sulla base degli incrementi patrimoniali e del possesso di beni indice;
2. in particolare, la Commissione regionale: (i) ha escluso che la contribuente avesse fornito, nel contraddittorio procedimentale e in giudizio, «validi elementi giustificativi dell’inesistenza del reddito presunto»; (ii) ha reputato che non era idonea ad inficiare il calcolo del maggiore reddito effettuato dall’ufficio la tesi della contribuente secondo cui una parte degli investimenti era stata effettuata con i finanziamenti dei suoi famigliari, in difetto di prova dei relativi trasferimenti di somme di denaro provenienti da questi ultimi; (iii) ha negato che, al fine di giustificare gli investimenti, assumesse rilevanza il fatto che la contribuente fosse titolare di redditi provenienti da un’azienda agricola in quanto, testualmente (cfr. pag. 5 della sentenza), «se è pur vero che ai fini reddituali può essere dichiarato solo il reddito dominicale e agrario risultanti in catasto l’esiguità del volume d’affari dichiarato ai fini Iva non può certamente aver consentito il conseguimento di un utile di tale entità da giustificare gli investimenti effettuati.»;
3. la contribuente ricorre con sei motivi per la cassazione della sentenza di appello; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso [«(art. 360 n. 3): Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, 4° e 5° comma, dpr 600/73.»], la ricorrente premette che il presupposto dell’accertamento sintetico è costituito dallo scostamento del reddito accertato, per l’appunto, sinteticamente rispetto a quello dichiarato per due o più periodi di imposta, anche non consecutivi. Indi, ascrive alla C.T.R. di avere omesso di verificare se, nell’atto impositivo impugnato, l’Ufficio avesse o meno allegato il presupposto dello scostamento per due annualità ed avesse completamente identificato le annualità medesime;
2. con il secondo motivo [«(art. 360 n. 3): Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, 4° e 5° comma, dell’art. 42, 2° comma, del dpr 600/73, in relazione all’art. 7 l. n. 212/2000 e dell’art. 3 l. 241/90.»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che ha omesso di verificare se, nell’atto impositivo impugnato, l’ufficio avesse o meno esplicitato (al fine di porre il destinatario dell’atto nella condizione di contestare tale profilo dell’accertamento) le ragioni per le quali non aveva ritenuto congrue le dichiarazioni per due o più annualità;
3. con il terzo motivo [«(art. 360 n. 3): Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, 4° e 5° comma, dpr 600/73, in relazione all’art. 2697 c.c.»], si addebita alla sentenza impugnata l’illegittima inversione dell’onere della prova, poiché la C.T.R. per un verso aveva omesso di verificare se l’ufficio avesse allegato e dimostrato la sussistenza del presupposto dello scostamento per due o più annualità anche non consecutive; per altro verso, aveva stigmatizzato il fatto che la contribuente non avesse adottato «validi elementi giustificativi dell’inesistenza del presunto reddito»;
4. con il quarto motivo [«(art. 360 n. 5): Motivazione omessa o insufficiente circa un punto decisivo della controversia.»], si censura la sentenza impugnata che, a fronte della specifica contestazione della contribuente (formulata sia nel ricorso introduttivo sia nelle controdeduzioni in appello), avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali aveva ritenuto l’atto impositivo sufficientemente motivato in punto di scostamento per due o più annualità e, sotto altro profilo, aveva ravvisato la sussistenza dello stesso presupposto dello scostamento legittimante l’adozione del metodo di accertamento sintetico;
5. con il quinto motivo [«(art. 360 n. 5): Motivazione omessa o insufficiente circa un punto decisivo della controversia.»], si premette che, secondo la decisione d’appello, la contribuente non aveva fornito, né in sede procedimentale né in quella contenziosa, «validi elementi giustificativi dell’inesistenza del presunto reddito». Dopodiché, la ricorrente ascrive alla Commissione regionale di avere trascurato o erroneamente valutato tutti gli elementi istruttori che la stessa parte privata (che li trascrive per autosufficienza nella narrativa del motivo, nel quale inserisce la scansione della correlata documentazione bancaria) aveva dedotto nel giudizio di merito e che erano senz’altro idonei a vincere la presunzione recata dall’art. 38, d.P.R. n. 600 del 1973;
6. con il sesto motivo [«(art. 360 n. 5): Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.»], la medesima censura sollevata con il motivo precedente, è sussunta entro il paradigma del “nuovo” articolo 360, n. 5;
7. il primo e il secondo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono infondati;
7.1. per la Corte (ex multis Cass. 05/05/2017, n. 10972) «Ai fini dell’accertamento sintetico di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’Ufficio non è tenuto a procedere all’accertamento contestualmente per due o più periodi d’imposta per i quali ritenga che la dichiarazione non sia congrua; tuttavia il relativo atto deve contenere, per un determinato anno d’imposta, la pur sommaria indicazione delle ragioni in base alle quali la dichiarazione si ritiene incongrua anche per altri periodi d’imposta, così da legittimare l’accertamento sintetico, con la conseguenza che il giudice tributario, a fronte della specifica eccezione del contribuente, non deve limitarsi ad accertare se l’Ufficio abbia preso in considerazione due o più anni consecutivi, ma deve verificare se dall’atto di accertamento possano desumersi le ragioni per le quali l’Ufficio stesso abbia ritenuto non congrua la dichiarazioni per tali annualità»;
7.2. si è chiarito (Cass. 12/01/2022, n. 693) che «L’obbligo motivazionale dell’accertamento deve dunque ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta e sia dato conto, dunque, degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta e dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, 08/11/2017, n. 26431). Se dunque l’esigenza sottesa all’obbligo motivazionale è quella di rendere edotto il contribuente degli elementi essenziali della pretesa, al fine di consentirgli di predisporre una difesa consapevole e di circoscrivere l’oggetto del giudizio, è evidente che questa non possa dirsi violata quando gli elementi costitutivi della fattispecie contestata emergano dalla contestuale notifica di due avvisi di accertamento, riferiti ad annualità differenti, ciascuno dei quali, con riguardo al requisito delle due annualità, trovi giustificazione nell’altro […]» — ed è quanto è accaduto in questa vicenda tributaria ove, negli avvisi, si dà atto che lo scostamento si è verificato per due annualità successive — «[…] consentendosi in tal modo al contribuente di conoscere a quali anni di imposta si riferisca lo scostamento verificato per ciascuna annualità e di approntare le relative difese, risolvendosi altrimenti l’esame parcellizzato e atomistico degli stessi, ancorché conosciuti dal contribuente e confluiti in un unico procedimento giudiziario, in un inutile formalismo, non funzionale alle finalità perseguite dall’obbligo motivazionale gravante sull’Amministrazione»;
7.3. nel caso in esame, la Commissione regionale, diversamente da quanto opina la ricorrente, si è attenuta a tali princìpi di diritto e, del resto, l’interessata non può fondatamente dolersi della mancanza di conoscenza della contestazione che le è stata rivolta né della lesione del diritto di difesa visto che (come risulta dal controricorso dell’ufficio), nell’ambito dell’unica attività accertatrice, svoltasi nel pieno contraddittorio delle parti (attuato anche tramite la risposta della parte privata ad apposito questionario del fisco), l’ufficio ha rilevato la non congruità della dichiarazione per due anni consecutivi – il 2004 e il 2005 – per i quali è risultato uno scostamento sensibilmente superiore ad un quarto. Ed infatti la contribuente è stata destinataria di due distinti atti impositivi, ad essa notificati in pari data (29/10/2009): quello per cui è giudizio, relativo ai redditi del 2005, e quello relativo ai redditi del 2004, per il quale pende ricorso per cassazione con RG n. 24533/2013, esaminato in questa stessa camera di consiglio;
8. il terzo motivo è infondato;
8.1. ricorda Cass. 29/09/2021, n. 26370, che «in materia di accertamento sintetico questa Corte ha affermato che «Il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ha, altresì, affermato che la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni» (cfr. Cass. nn. Sez. 6-5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016, Rv. 640989-01; n. 21335 del 2015, Rv. 637006-01, n. 930 del 2016, Rv. 638706-01). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva resta individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 21142 del 19/10/2016, Rv. 641453-01; n. 16912 del 2016, Rv. 640968- 01). Questa Corte di Cassazione ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria offerta dal contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere» (cfr. Cass. n. Sez. 6- 5, Ordinanza n. 12889 del 2018; Cass. n. 12207 del 2017; Cass. n. 1332 del 2016; Cass. n. 22944 del 2015; Cass. n. 14885 del 2015). Quanto ai redditi dei terzi che contribuiscono a formare il reddito del contribuente, proprio perché nell’accertamento dei redditi con metodo sintetico, la disponibilità di beni-indice integra una presunzione legale di capacità contributiva, gravando il contribuente di provare la fonte non reddituale delle somme giustificative, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la sintesi reddituale e la prova contraria devono essere esercitate in concreto, anche riguardo a qualificati vincoli familiari (sui quali, cfr. Cass. 17202/2006, Rv. 592319; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6195 del 14/03/2018, Rv. 647326-01), e a rapporti societari (sui quali, cfr. Cass. 12448 dei 2011, Rv. 618423-01)» (Cfr. Cass., V, n. 22846/2020) […] Sempre con specifico riferimento ai redditi dei terzi è stato altresì affermato che «Nell’accertamento dei redditi con metodo sintetico, la disponibilità di beni-indice integra una presunzione legale di capacità contributiva, gravando il contribuente di provare la fonte non reddituale delle somme giustificative (Cass. 19252/2005 Rv. 584597, Cass. 16284/2007 Rv. 599484, Cass. 17487/2016 Rv. 640989); la sintesi reddituale e la prova contraria devono essere esercitate in concreto, anche riguardo a qualificati vincoli familiari (Cass. 17202/2006 Rv. 592319) e rapporti societari (Cass. 12448/2011 Rv. 618423)»;
8.2. nella specie, la C.T.R. ha fatto corretta applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, tra erario e contribuente, in materia di accertamento sintetico mediante redditometro, e, dato atto che l’A.F. aveva determinato il reddito sulla base del redditometro, il che la dispensava da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indice di maggiore capacità contributiva, trattandosi di presunzione legale relativa, con accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ha negato che la contribuente avesse dimostrato l’inesistenza o la minore entità del proprio reddito soggetto a tassazione rispetto a quello presunto;
9. il quarto e il quinto motivo, suscettibili di esame congiunto perché pongono la medesima questione processuale, sono inammissibili;
entrambi i motivi di ricorso attengono alla “vecchia” formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Tuttavia, la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 13/02/2013, sicché trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11/09/2012. In base alla norma novellata ed attualmente vigente, applicabile – come già evidenziato – nella specie ratione temporis, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio dello sviluppo argomentativo sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4, del medesimo art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 6/07/2015, n. 13928; 16/07/2014, n. 16300); va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), secondo cui la richiamata riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia – nella specie non sussistente – si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione;
10. il sesto motivo è inammissibile;
10.1. la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma»;
10.2. nella specie, la ricorrente, solo apparentemente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di cui al n. 5 dell’articolo 360; in realtà, però, chiede a questa Corte, in modo non consentito, di rivalutare il materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito che, come sopra anticipato, non lo ha ritenuto sufficiente a vincere l’accertamento sintetico del reddito operato dall’ufficio mediante il redditometro;
11. in conclusione, il ricorso va rigettato;
12. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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