CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2021, n. 11099
Tributi – Imposte di registro ed ipocatatali – Atto istitutivo il trust autodichiarato con conferimento di beni anche immobili – Applicazione delle imposte in misura fissa
Premesso che
l’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe sostenendo che la CTR delle Marche abbia violato gli artt. 2, comma 47, d.l. 262/2006, convertito dalla l. 286/2006, 1 del d.lgs.346/90, 2 e 10 del d.lgs.347/90 laddove, sul richiamo alla sentenza di questa Corte di legittimità n. 21614/2016, ha ritenuto soggetto ad imposte di registro ed ipocatatali in misura fissa e non in misura proporzionale – come secondo essa ricorrente le norme avrebbero invece imposto – l’atto registrato il 24 ottobre 2011, con cui la srl E. Costruzioni aveva istituito il trust autodichiarato E. con conferimento in esso di beni (anche) immobili;
3.la società contribuente resiste con controricorso;
4. la Procura generale ha depositato requisitoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
considerato che
1. i motivi, suscettivi di trattazione congiunta in quanto strettamente connessi, sono infondati. L’avviso ha avuto riferimento ad un atto insieme istitutivo del trust e di dotazione o provvista del trust stesso. Il trust di cui trattasi è un trust autodichiarato, connotato, cioè, dalla coincidenza di disponente e trustee. L’atto in questione, ha, per il primo contenuto, effetti meramente preparatori, enunciativi e programmatici; per il secondo contenuto, ha effetti solo segregativi ma non certo traslativi. Già per questo, ed alla luce della considerazione per cui l’applicazione in misura proporzionale delle imposte di registro, ipotecaria e catastale è prevista per le formalità relative ad atti “che importano trasferimento di proprietà di beni immobili o costituzione o trasferimento di diritti reali immobiliari sugli stessi” (Tariffa all.al d.lvo 347/90; in accordo con gli artt.1 e 10, co.2, d.lvo cit.), l’affermazione fatta dalla commissione tributaria regionale, secondo cui per l’atto in parola sono state illegittimamente richieste le imposte in misura proporzionale, risulta corretta. In ordine poi alla tassazione dell’atto sopradetto ai sensi dell’art.2, comma 47, d.l. 262/2000, convertito dalla l.286/2000, la giurisprudenza della Corte si è nel tempo precisata fino a trovare definitivo assetto -come ricordato con sentenza 7 dicembre 2020, n.27995- con alcune sentenze dell’anno 2019 (v., tra altre conformi, nn.15453/2019, 15455/2019, 15456/2019, 16699/2019, 16700/2019 -specificamente in tema di trust autodichiarato-, 16701/2019, 16705/2019, 22754/2019). Gli snodi principali dello sviluppo diacronico possono essere individuati come segue. Con quattro ordinanze del 2015 (la n. 3735, citata nella sentenza impugnata, la n.3737, la n.3886, la n.5322), venne affermata la tesi dell’immediata tassazione in misura proporzionale dell’atto istitutivo del trust, a titolo di imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione. La Corte, interpretando il comma 47 dell’art. 2, d.l. 262/2006, ritenne che l’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del d.lgs. n. 346 del 1990, in quanto compatibili: comma 50 dell’art. 2, d.L. n. 262 del 2006″ (così ancora l’ordinanza n. 3735, in motivazione). Il presupposto impositivo della nuova imposta -fu detto – “è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi“. In altri termini, per questa prima serie di ordinanze, ai fini dell’applicabilità dell’imposta in parola non rileva il trasferimento dei beni a causa della costituzione del vincoli di destinazione; l’imposta, prescindendo dalla traslazione dei beni a terzi, non è correlata all’arricchimento altrui, ma specificamente alla creazione di un vincolo di destinazione. Può ricordarsi che la Corte prese posizione anche in merito alla costituzionalità della normativa così interpretata rispetto agli artt.3 e 53 Cost.. Si legge in proposito nell’ordinanza n.3737: “non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all’utilità economica, che, in quanto indirizzata ad altri, si colloca al di fuori del patrimonio del disponente (oltre che di quello del gerente). E, visto che il referente è l’utilità economica e che questa utilità è destinata ad altri, il peso del prelievo coerentemente va a gravare sull’utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire. Il rilievo della capacità economica, del resto, è correlato al contenuto patrimoniale di atti o fatti, non già al trasferimento attuale di diritti: la capacità contributiva, ha chiarito la Consulta, è da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è correlata (…) La materiale percezione dell’utilità, ossia, secondo la tradizionale impostazione, l’arricchimento, appartiene all’esecuzione del programma di destinazione, che, per conseguenza, non rileva ai fini dell’individuazione del momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini della eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie”. All’orientamento espresso con le quattro, menzionate ordinanze appartiene anche la sentenza del 7 marzo 2016, n.4482, pur essa nel senso che l’atto istitutivo del trust integra in sé il presupposto imponibile ai sensi dell’articolo art. 2, comma 47, I. 286/2006 (che -fu ribadito- è espressione della “volontà del legislatore di istituire una vera e propria nuova imposta che colpisce tout court gli atti che costituiscono vincoli di destinazione”). In questa sentenza venne, sul piano della costituzionalità della norma, affermato che l’atto negoziale istitutivo del vincolo denota una capacità contributiva e giustifica la tassazione a prescindere dalla “identificazione di un qualche “utile” o “vantaggio” percepito da un soggetto e quindi – ad esempio- …[d]alla acquisizione dei beni da parte di un soggetto legittimato ad utilizzarli a proprio esclusivo vantaggio. … L’atto negoziale [istitutivo del vincolo] esprime infatti una capacità contributiva ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno. La gran parte della tassazione indiretta colpisce, del resto, la manifestazione di ricchezza e non (necessariamente) l’arricchimento. Anche nella compravendita l’imposta di registro coinvolge la manifestazione di ricchezza delle parti, senza che si indaghi se ed in quale misura esse abbiano tratto dall’operazione vantaggio economico; che ben può non sussistere se i beni sono ceduti a prezzo di mercato. Mentre l’arricchimento vero e proprio potrà se mai essere inciso sotto il profilo della plusvalenza”. In sostanza, sulla base di un parallelismo tra imposta sulle donazioni e imposta di registro, venne legittimata la tassazione dell’istituzione del vincolo ritenendosi che esso, quale indice o elemento di emersione di una situazione economica di “vantaggio” e dunque di capacità contributiva, fosse sufficiente a giustificare l’imposta.
La tesi propugnata nelle ordinanze del 2015 e nella sentenza n.4482 del 2016, non fu condivisa dalla Corte nella sentenza del 26 ottobre 2016, n. 21614. Con quest’ultima -in cui, sebbene la fattispecie fosse relativa a trust autodichiarato, è ripropoosta l’affermazione di valenza generale, già espressa da Cass. 24578/2015 in base alla quale “il conferimento di beni in trust non dà luogo ad un reale trasferimento imponibile. Un reale trasferimento è all’evidenza impossibile, perché del tutto contrario al programma negoziale di donazione indiretta, che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari” con conseguente inapplicabilità “dell’imposta su donazioni e successioni manca(ndone] il presupposto della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti”- riguardo al significato dell’art.2, comma 47 ss., l.286/2006 venne affermato che “l’unica imposta espressamente istituita è stata l’imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la scontata conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari”. E ciò in considerazione della ratio e di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2, comma 47 e ss. dell’art.2 del d.l. 262/2006: la ratio venne individuata nella volontà del legislatore di evitare che “un’interpretazione restrittiva dell’istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinati mediante il richiamo all’abrogato d.lgs. 346/1990 potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di trasferimento di beni e diritti ai beneficiari, quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie di recente introduzione come quella dei vincoli di destinazione, e quindi niente affatto presa in considerazione dall’abrogato d.lgs. 346/1990”; l’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto dell’art. 53 venne ritenuta ostare ad un’imposta che, non essendo un’imposta semplicemente d’atto (“come per l’essenziale è per es. quella di registro”), non abbia relazione alcuna con un’idonea capacità contributiva quale non è espressa dal trasferimento dei beni o diritti al trustee in quanto trasferimento non pieno e non definitivo. Con la sentenza del 30 maggio 2018, n. 13626, in fattispecie di atto di costituzione in trust a scopo liquidatorio per la quale l’Agenzia delle Entrate aveva preteso il pagamento dell’imposta di successione e donazione in misura proporzionale in base al disposto degli artt. 2 comma 47 e 49 lett. c) del d.L. 262/06, la Corte, in primo luogo, e in dissenso rispetto alle ordinanze del 2015, dichiarò di condividere l’orientamento inaugurato dalla sentenza n.21614 del 2016; in secondo luogo, affermò che l’imposta prevista dal testo unico n.346/90 in tanto è applicabile al trasferimento a favore dell’attuatore, in quanto tale trasferimento realizzi un incremento stabile, misurabile in moneta, del patrimonio dell’attuatore medesimo mentre non è applicabile in caso di trust autodichiarato il quale è del tutto privo di effetti traslativi ed ha invece solo un effetto segregativo, non sufficiente a giustificare l’imposta.
Con l’ordinanza 5 dicembre 2018, n.31445 (a cui sono esattamente conformate le ordinanze 5 dicembre 2018, n.31446 e 15 gennaio 2019, n.734), la Corte dichiarò di aderire alla tesi per cui il presupposto applicativo dell’art.2, comma 47, del d.l. 262/2006, non può essere ravvisato nella costituzione di vincoli di destinazione in sé e per sé (come sostenuto dalle ordinanze nn. 5322, 3886, 3737 del 2015) essendo l’intentio legis dell’art. 2, comma 47, del di. 262/2006 quello (individuato nella sentenza n.21614 del 2016) di evitare che “un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni, disciplinata, mediante il richiamo al già abrogato d.lgs. 346/90 possa dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiarí quando lo stesso sia stato collocato all’interno di una fattispecie di “recente” introduzione come quella dei “vincoli di destinazione”. Nella ordinanza 31445,, la Corte aggiunse che vi sono tuttavia ipotesi nelle quali il trust ha carattere sin da subito traslativo ossia realizza, sia pure per il tramite del passaggio al trustee, un trasferimento dei diritti in favore di un terzo, unico e ben individuato, senza alcuna previsione di eventuale ritorno dei beni al settlor ed a tali ipotesi va applicata l’aliquota di volta in volta prevista in ragione dei rapporti tra disponente e beneficiario; aggiunse che l’ipotesi di trasferimento immediato può verificarsi anche nei casi di trust auto-dichiarato, nel quale coincidono le figure di disponente e trustee, “se non addirittura coincidono quelle di disponente e beneficiario”; concluse che occorre “valutare caso per caso, soprattutto nel trust auto-dichiarato, se sia o meno riconducibile alla donazione indiretta, considerando che la segregazione, quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale (conformemente alla sentenza n.21614/2016)… Se il trasferimento dei beni al trustee ha natura transitoria e non esprime alcuna capacità contributiva, il presupposto d’imposta si manifesta solo con il trasferimento definitivo dei beni dal trustee al beneficiario e non può applicarsi il regime delle imposte indirette sui trasferimenti in misura proporzionale”. In estrema sintesi, dunque, e come ben espresso, in riferimento all’imposta di donazione, dalla massima ufficiale (“Poiché l’imposta sulle successioni e donazioni ha come presupposto l’arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, ai fini della sua applicazione in misura proporzionale occorre valutare se sin dall’istituzione del “trust” si sia realizzato un trasferimento definitivo di beni e diritti dal “trustee” al beneficiario: in mancanza di tale condizione, l’atto dovrà essere assoggettato alla sola imposta fissa di registro”), in base all’ordinanza 31445/2018, l’atto di dotazione del trust dà luogo ad imposizione sulle donazioni o ad imposizione sui trasferimenti in misura proporzionale se il trust, non autodichiarato o anche autodichiarato, è traslativo, cioè determina il passaggio definitivo dei beni, pur se attraverso il trustee, al beneficiario. Nei termini dell’ordinanza in parola, trust traslativo è quello in cui l’atto di costituzione e di dotazione determina automaticamente il definitivo passaggio dei beni e diritti dal trustee al beneficiario finale. La Corte non precisò quando potersi considerare il trust come avente carattere traslativo nei termini sopra detti; quanto, cioè, potersi ravvisare ipotesi, non elusive, compatibili con l’ontologica transitorietà dell’attribuzione dei beni al trustee, di immediato trasferimento definitivo dei beni al beneficiario. Ulteriore sviluppo della giurisprudenza della Corte si ebbe con l’ordinanza 17 gennaio 2019, n.1131, relativa a fattispecie di trust di scopo sul cui atto di costituzione e dotazione l’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’imposta di donazione in misura proporzionale. La Corte, in adesione all’orientamento espresso delle pronunce n. 21614/2016, n. 975/2018, n. 13626/2018 e 15469/2018, ribadì che i vincoli di destinazione -tra i quali rientra il trust- non sono in sé sempre tassabili ai sensi dell’art.2, I.286/2006, ma lo sono solo se determinano un trasferimento dei beni e diritti a titolo liberale e definitivo, dovendosi quindi, da un lato, escludere la tassazione del trust all’atto della segregazione di beni e diritti (posto che il trasferimento al trustee è gratuito ma non liberale e soprattutto è provvisorio e non definitivo), dall’altro lato, attendere il successivo trasferimento in favore di soggetti beneficiari.
L’ordinanza 1131, dunque, per un verso, superando la distinzione tra trust traslativo o non traslativo (fatta dall’ordinanza n.31445 sia dalla sentenza n.13626 e basata, secondo l’ordinanza n.31445, su una valutazione caso per caso, secondo la sentenza n.13626, sulla natura del trust come trust autodichiarato o non auto-dichiarato) negò in radice che la tassazione possa essere legata all’atto istitutivo in sé o all’atto di dotazione mancando in entrambi l’effettivo incremento patrimoniale del beneficiario, unico elemento idoneo ad esprimere capacità contributiva ex art. 53 Cost.; per altro verso, affermò che la tassazione in misura proporzionale è correlata all’esecuzione del programma del trust, allorché il predetto incremento patrimoniale effettivo del beneficiario si concretizza (“in relazione agli atti di dotazione del fondo oggetto di causa (…), il giudice di appello (..) ha correttamente escluso che la costituzione del vincolo di destinazione sulle somme di denaro conferite in trust avesse prodotto un effetto traslativo immediato, solo in tal caso giustificandosi la soggezione dell’atto dotativo all’imposta sulle successioni e donazioni, in misura proporzionale, in quanto sicuro indice della capacità economica del soggetto beneficiato”). Già prima delle pronunce che hanno dato definitivo assetto alla giurisprudenza della Corte, la tesi -seguita dalla commissione tributaria regionale della Lombardia nella sentenza oggi impugnata- secondo cui l’art.2 d.L. n. 262/2006 aveva introdotto un’imposta nuova alla quale sarebbe sempre stato soggetto l’atto di istituzione del vincolo di destinazione, a prescindere dal conferimento di beni o diritti, era stata dunque abbandonata.
Con le decisioni che segnano l’approdo dell’evoluzione della propria giurisprudenza (le già citate sentenze nn.15453/2019, 15455/2019, 15456/2019, 16699/2019, 16700/2019, 16701/2019, 16705/2019, 22754/2019, oltre ad altre conformi), la Corte ha confermato (quanto già rilevato a partire da Cass. 21614/2016 e poi da Cass. 1131/2019 ossia) che l’atto di istituzione del trust non è, in sé, presupposto dell’imposta di cui all’art.2, comma 47, l.286/2006, la quale, a sua volta, non è un’imposta nuova ma è l’imposta sulle donazioni da applicarsi, come la disposizione chiarisce, anche alle liberalità attuate mediante l’istituzione di “vincoli di destinazione”. A tale conferma la Corte è pervenuta sulla base di considerazioni di ordine costituzionale che riprendono ed ampliano quelle già svolte da Cass. 21664/2016 e da Cass. 1131/19 e che, per quanto riguarda, l’atto istitutivo “puro” si sostanziano in ciò che tale atto ha un contenuto solo programmatico e non comporta alcun incremento di ricchezza per chicchessia; ferma restando l’indubbia discrezionalità del legislatore nell’individuare i presupposti impositivi, questa discrezionalità deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza e di non arbitrarietà (Corte Cost. n.4/1954 e n.83/2015), posto che la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, “esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza” (C.Cost.ord.394/08). E’ stato così ribadito il superamento della tesi iniziale secondo cui nella “costituzione del vincolo” è da ravvisarsi un autonomo indice di ricchezza idoneo di giustificare la tassazione (Cass., sez. VI, ord. 24 febbraio 2015, n. 3735; Cass., sez. VI, ord. 24 febbraio 2015, n. 3737; Cass., sez. VI, ord. 25 febbraio 2015, n. 3886; Cass., sez. VI, 7 marzo 2016, n. 4482). La Corte ha altresì chiarito che per tutti i trust, siano essi autodichiarati (e quindi con effetto solo segregativo e non di trasferimento di beni) o con trasferimento di beni, l’atto di dotazione è, per l’imposta sulle donazioni, “neutro” (ferma restando l’applicazione dell’imposta sulle donazioni all’atto del trasferimento al beneficiario finale qualora quest’atto sia non solo gratuito ma liberale e con esclusione invece dell’imposta sulle donazioni in caso di atto non liberale ma in funzione solutoria; in questo caso l’attribuzione del ricavato della liquidazione del fondo non sarà tassato, la tassazione con l’imposta di registro e, trattandosi di immobili, con le imposte ipotecaria e catastale, dovendo appuntarsi invece sugli atti di liquidazione). La neutralità quanto all’imposta di donazione deriva dalle considerazioni di ordine costituzionale ricordate sopra e che si arricchiscono, in riferimento all’atto istitutivo che comporti anche un vincolo su specifici beni o diritti, delle considerazioni seguenti: l’apposizione del vincolo, in quanto tale, determina per il disponente l’utilità rappresentata dalla separazione dei beni (limitativa della regola generale di cui all’articolo 2740 codice civile) in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale; simile utilità, peraltro, non concreta, di per sé, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee risolvendosi, dal lato del conferente, in una auto-restrizione del potere di disporre mediante segregazione e, dal lato del trustee, in un’attribuzione patrimoniale meramente formale, transitoria, vincolata e strumentale (secondo appunto quanto stabilito dai su riportati artt.2 e 11 della Convenzione); è fallace l’affermazione per cui la prescelta interpretazione dell’art.2 co.47 d.l. 262/06, ne comporterebbe la sostanziale abrogazione giacché, ritenendosi necessario l’arricchimento, l’aggiunta in questione non avrebbe avuto ragion d’essere operando comunque, in sua assenza, le imposte ordinarie; il senso dell’articolo è infatti quello di evitare “che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni, disciplinata mediante richiamo al già abrogato D.Lgs. n. 346 cit., potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie tutto sommato di “recente”‘ introduzione come quella dei “vincoli di destinazione”, e quindi per niente affatto presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” D.Lgs. n. 346 cit..” (Cass.n. 21614/16). Né, in senso contrario, rispetto alla interpretazione adottata può sostenersi che quando il legislatore ha inteso esentare da imposta di successione e donazione il trust, lo ha fatto espressamente, come nel caso del trust di disabilità ex art. 6 I. 112/2016, perché la determinazione dei presupposti dell’imposta dovrebbe giungersi in via diretta, certa e tassativa, e non con argomento a contrario; inoltre, va considerato che la disposizione in parola è sopravvenuta in un momento ed in un contesto interpretativo (anche di legittimità) ancora estremamente variegato ed incerto, in maniera tale che il legislatore del 2016 ben può avere ritenuto di dover comunque esentare in modo puntuale dall’imposta il trust in questione (rispondente ad obiettivi di speciale ed urgente protezione) restando però del tutto impregiudicato il dibattito sulla portata generale dell’articolo 2, co.47, d.l. 262/06. La Corte, ancora, ha superato la tesi per cui possono esservi casi di trust che realizzano un immediato passaggio dal trustee al beneficiario finale (Cass. 31445/2018 per cui tale sarebbe il caso di trust il cui beneficiario è designato già con l’atto istitutivo del trust, così denotandosi ab origine la sussistenza nel disponente della volontà di trasferire a questi il bene in dotazione) perché un trust di tale genere non sarebbe un trust ma una donazione semplice. In continuità con i suddetti arresti, da ultimo, in fattispecie analoga a quella di cui trattasi, la Corte ha affermato: “In tema di imposta di donazione, registro ed ipocatastale, la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, conv. in l. n. 286 del 2006, non costituisce autonomo presupposto impositivo, essendo necessario un effettivo trasferimento di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale” (Cass. 23 aprile 2020, 8082);
3. la CTR si è esattamente attenuta ai suddetti principi;
4. il ricorso va rigettato;
5. le spese sono compensate in ragione del fatto che l’assetto giurisprudenziale richiamato è stato raggiunto in pendenza del ricorso per cassazione;
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
compensa le spese.